©️ The Knicks Wall

 

La scorsa stagione dei Knicks è stata terribile. Sembravano un’auto che viaggiava a 200 km/h giù da una scogliera. Chiunque stesse assistendo alla scena sapeva che sarebbe finita malissimo, ma distogliere lo sguardo era impossibile. In questo scenario tragico, l’unico eroe che sembrava almeno tentare di riportare la macchina in carreggiata era Mitchell Robinson.

 

A soli 20 anni e alla prima stagione in NBA, a molti sembrava di rivedere nei suoi 216 cm la reincarnazione di Dikembe Mutombo: un robot creato in laboratorio con il solo scopo di respingere ogni qual tentativo di tiro che avesse la presunzione di avvicinarsi al ferro. Tra i giocatori ad aver presenziato ad almeno metà delle partite, è stato il secondo rookie della storia ad aver mantenuto una Block Percentage sopra il 10% e l’unico ad aver fatto registrare una True Shooting sopra il 68%.

 

Il suo impatto, seppur su una squadra tremenda, è stato immediato. La nota dolente erano i suoi 5.7 falli per 36 minuti, numeri che lo avrebbero probabilmente costretto ad abbandonare la partita anzitempo praticamente ogni sera se David Fizdale non ne avesse gestito il minutaggio. Nulla di cui preoccuparsi troppo: è risaputo che i problemi di falli per i big man alle prime armi siano un fenomeno diffuso.

 

Una delle sfide per la nuova stagione era proprio quella di limitare i viaggi in lunetta concessi ai suoi avversari, così da imporsi come leader difensivo di squadra. E’ normale che ora, nella sua seconda stagione, tutti si aspettino il salto di qualità. Purtroppo però i falli continuano a tormentarlo: i numeri sono addirittura peggiorati (5.8 per 36 minuti); ha raggiunto i 6 falli in quattro partite e in altre tre si è “fermato” a 5. Questo ha significato dover abbandonare il campo, o comunque essere estremamente limitato dai falli, in più di un terzo (il 36%) delle partite giocate in stagione.

 

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Sono due gli accorgimenti necessari affinché la stella di Robinson torni a brillare: uno è legato allo stile di gioco dei Knicks, l’altro alle abitudini del giocatore.

 

 

IL TUNNEL DEI KNICKS

 

Le squadre che godono di big man abili nel difendere il ferro solitamente cercano di spingere l’attacco avversario a mandare in penetrazione il portatore di palla verso il loro centro, creando un vero e proprio tunnel che li faccia infrangere contro di lui. Gli altri giocatori si concentrano nel chiudere tutte le opzioni di passaggio. In questo modo l’attacco si trova costretto all’uno-contro-uno, potendo solo tentare un floater o giocarsi il tutto per tutto al ferro. Questo, per esempio, è quanto ha permesso ai Jazz di confermarsi la seconda miglior difesa della Lega per due anni consecutivi.

 

Tuttavia, invece di costruire uno schema difensivo che massimizzasse i punti di forza dei più importanti giovani talenti dei Knicks, l’ormai ex coach David Fizdale si è inventato un sistema per enfatizzare le principali debolezze di Robinson. Anche quando non ce n’era nessun bisogno, i Knicks continuavano instancabilmente a cambiare ad ogni blocco e, non appena gli avversari superavano la linea del tiro da tre, diventavano eccessivamente aggressivi sugli aiuti. Un approccio che di certo limita i tiri dalla media distanza, ma che di contro concede molte triple aperte.

 

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Ci si chiede se i Knicks vantino qualche esperto di statistiche abbastanza intelligente da far presente che tre è maggiore di due. E’ evidente che concedere triple sia parte integrante della difesa di New York: i Knicks concedono la seconda più alta percentuale da tre punti e sono terzi in tutta l’NBA per triple subite a partita.

 

Robinson fatica in questo contesto perché è chiamato a far fronte a troppe responsabilità: proteggere il pitturato e al contempo non concedere triple aperte. E’ difficile trovare una buona posizione per stoppare un tentativo di tiro se sei costantemente chiamato a rincorrere avversari con tiri aperti nelle mani.

 

Invertire il piano-partita riducendo le triple concesse e spingendo gli avversari verso canestro aumenterebbe significativamente il rendimento di Robinson. Il ragazzo dà il meglio di sé quando ha tempo di mettersi in posizione, ma i Knicks si sono divertiti a farsi del male e trattarlo come un giocatore qualsiasi, non sfruttando il suo talento da stoppatore. Sebbene “Mitch” potrebbe non essere ancora pronto a prendersi la leadership difensiva della squadra, dovrebbe essere compito di New York quello di fare tutto il possibile per metterlo nelle condizioni di rendere al meglio.

 

 

TROPPE STOPPATE?

 

Tra i giocatori con un minutaggio da 20 o più minuti a sera, Mitchell Robinson in questo momento vanta la seconda miglior Block Team % (64.6%) della Lega, dopo Rudy Gobert (66.2%). Respinge 1.8 tiri degli avversari in 22 minuti: proiettando questo dato su 36′ o 48′, siamo assolutamente nell’élite dei rim protector.

 

Sebbene sia un’ottima statistica personale, però, questo suo desiderio di stoppare ogni singolo tiro che gli passa intorno risulta piuttosto limitante per l’efficacia difensiva sua e dei Knicks. Soprattutto perché Robinson non riesce quasi mai a rimanere in campo per più di 24/25 minuti.

 

Non importa dove sia: se un avversario tenta un tiro, Robinson comparirà per cercare di rimandarlo al mittente. Nonostante la sua competitività sia una benedizione per un roster che sembra disprezzare tutto ciò che non siano statistiche individuali, non ogni tiro merita di essere stoppato. I migliori rim protector hanno la capacità di capitalizzare il loro talento anche solo alzando le braccia sopra la testa: i Jazz concedono solo il 25% sotto canestro agli avversari, ben sotto la media della NBA.

 

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Essere un difensore solido non significa semplicemente stoppare tutto ciò che passa intorno, ma avere consapevolezza di quando sia meglio stoppare, quando sia sufficiente contestare il tiro alzando le braccia in verticale e quando tenerle completamente ferme. Ad oggi, Robinson va contro tutto e tutti, e questo include i corpi degli avversari. E, dunque, i fischi degli arbitri…

 

Sebbene abbia solo 21 anni, “Mitch” è uno dei giocatori più importanti della squadra ed è importante che rimanga in campo più minuti, anche a costo di limitare alcuni aspetti del suo gioco. Non ha ancora la reputazione dei migliori difensori della NBA, ma la sua sola presenza in campo risulta minacciosa per la maggior parte degli avversari. Imparare “semplicemente” a tenere le braccia verticali, resistendo ogni tanto alla tentazione di sbatterle contro palla o avversari, aumenterebbe sensibilmente i suoi minuti in campo. La sola presenza del suo corpo sul parquet indurrebbe più di un avversario a rinunciare ad alcuni tiri per il solo timore di essere stoppato, e questo vale molto di più di qualsiasi numero a tabellino.

 

La stagione di Mitchell Robinson è stata fin qui piuttosto deludente. I Knicks non lo hanno di certo messo nelle migliori condizioni, ma è tempo che il ragazzo faccia il definitivo salto di qualità.

 

A New York c’è urgente bisogno di lui.

 

 

 

 

 

 

©️ The Knicks Wall

 

Questo articolo, scritto da Zach Locascio per The Knicks Wall e tradotto in italiano da Riccardo Pilla per Around the Game, è stato pubblicato in data 12 dicembre 2019.