Dall’amato Thanksgiving Day al passaggio ai Miami Heat: Kyle Lowry si è raccontato a The Undefeated, con l’essenza da Raptor ancora dentro di sé.

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Questo contenuto è tratto da un articolo di Marc J. Spears per The Undefeated, tradotto in italiano da Alessandro Di Marzo per Around the Game.


Trasferta durante il giorno del ringraziamento? Nessun problema, almeno in casa Heat: Kyle Lowry, infatti, farà cucinare un tacchino al suo chef nell’hotel in cui Miami alloggerà. Simbolo di un legame per niente nuovo per la nuova point guard dei finalisti NBA 2020, dato che, con i suoi Raptors, faceva lo stesso.


“So che avere un gruppo unito e cenare insieme è importante”, ha spiegato Lowry a The Undefeated. “Bisogna uscire, parlare e coinvolgere tutti per questa occasione. Non ha senso ordinare del tacchino in camera, è meglio condividerlo e stare insieme. Questo sono io, non mi importa di ciò che dicono, questo è parte di me.”

Lowry è stato soprannominato “Mr. Raptor” dopo i lunghi anni aToronto, dove ha dato tutto dentro e fuori dal campo. Durante il periodo cestistico in Canada ha collezionato 6 All-Star Game, con medie di 17.5 punti, 7.1 assist e 4.9 rimbalzi nei suoi 9 anni in maglia Raptors. In più, ovviamente, c’è anche il titolo del 2019, per cui il numero 7 ha offerto un contributo incalcolabile. L’altra sua grande vittoria è stata coltivata fuori dal parquet, dove il nativo di Philadelphia ha fatto sbocciare il suo spirito filantropico, organizzando tra le altre cose una festa per il Thanksgiving Day per i meno fortunati.

Dopo l’esperienza con i Raptors, Lowry ha firmato un triennale da $85 milioni con i Miami Heat con l’obiettivo di agguantare il suo secondo titolo NBA insieme a stelle come Bam Adebayo e Jimmy Butler.

A causa della pandemia, l’ultima delle 601 partite di Regular Season giocata a Toronto da Lowry risale al 28 febbraio 2020: per il 2020/21, infatti, i Raptors hanno giocato “in casa” a Tampa, in Florida, per tutta la stagione. Il giorno del ritorno a casa (il prossimo 3 febbraio) non sarà uno qualunque:

“Potrei piangere, quel giorno. Ne ho parlato anche con DeMar DeRozan recentemente, so che mi verrà dimostrato molto affetto in quel giorno, e io ricambierò. Non so come andrà davvero, mi incuriosisce. Al ritorno a Memphis e Houston le emozioni non sono affatto mancate. Ma qui sarà diverso, perché Toronto è dove sono cresciuto come persona. Nove anni passati con la stessa franchigia, parliamo di moltissimo tempo.”

(Kyle Lowry)

Anche il suo fedele ex-compagno Fred VanVleet ha parlato del suo addio:

“Gli hanno offerto un ottimo contratto, sono stato felice per lui. In un certo senso, sapevamo che sarebbe finita in questo modo. È difficile spiegare a parole cosa ha fatto per la squadra e per il Canada.”

(Fred VanVleet)

In questa intervista per The Undefeated, Lowry ha spaziato tra vari temi, dal non perfetto addio a Toronto al suo rapporto con Masai Ujiri ed i suoi ex compagni, passando  per Miami, il Giorno del Ringraziamento ed altro ancora. Ecco le sue parole.

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Quanto è stata dura giocare prima nella Bubble di Orlando, e poi a Tampa per tutta la scorsa stagione?

È stato orrendo. Avevo casa a Toronto, io e la mia famiglia avevano tutto lì, inclusi gli oggetti scolastici dei miei figli. È stato bruttissimo non giocare lì da febbraio del 2020. Ricordo che eravamo nel mezzo di un road trip, e tutto è stato interrotto… Da lì sono andato direttamente a Philadelphia, è stata molto dura.

Toronto è stata la mia casa. Ci restavo da settembre fino a giugno, perché i miei figli andavano a scuola lì. Non poterci tornare mi ha fatto pensare che forse non sarei più riuscito a godermi la città. Fortunatamente ci sono stato nell’ultima offseason, ci ho cenato e ci ho passato un po’ di tempo. E durante questa stagione, credo che staremo 3 giorni in città. Non vedo l’ora.

Scegliere di andare a Miami è stata una decisione difficile?

Dopo il 2019 e la sconfitta contro Boston nella Bubble, abbiamo perso Ibaka e Gasol, e grazie al rapporto che ho con con Ujiri e Bobby [Webster, General manager Raptors, ndr] ho potuto parlare in modo chiaro con loro, insieme al mio agente. Sento ancora entrambi, non c’è niente che non ci siamo detti.

È stato difficile, perché non ho mai voluto andarmene per davvero. Ho pensato anche ai miei figli, ho messo in primo piano la loro crescita e la loro serenità. Ad ogni modo, non credo che avrei vissuto in Canada per sempre, dato che serve anche ottenere la cittadinanza. Ma ci tornerò, ormai è una seconda casa. L’ho già detto e lo ripeto: quando mi ritirerò, firmerò un contratto di un giorno con i Toronto Raptors e concluderò la mia carriera come uno di loro.”

Vorresti lavorare nell’organizzazione dopo il ritiro?

Non so ancora se vorrò continuare nella lega. Tutti dicono che sarebbe bello: rispetto l’NBA, anche se ad oggi vorrei qualcosa di ancor più grande. Il mio obiettivo è quello di creare benessere.

Un lato positivo della mia partenza è la maggiore attenzione di cui ora godono VanVleet, Anunoby e Siakam. Ho lasciato la franchigia in mano a loro, sono davvero come dei fratelli minori per me, come una famiglia. Pascal è diventato un All-Star, tornerà a giocare alla grande. Freddy migliorerà ancora, anche come leader, così come OG. Sono ancora giovani, ma ora il mondo è loro. Avevo paura a lasciar loro queste responsabilità, ma la franchigia è in buone mani.

Guardo ancora le loro partite e li sento spesso, parlo anche con Norman Powell [partito verso Portland alla trade deadline]. Si sono creati legami che resteranno per sempre. Parliamo di ragazzi giovani, ma già veri uomini per il quale tiferò sempre.

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Ed ora, la rincorsa a quello che sarebbe il tuo secondo titolo NBA.

È ciò per cui giochiamo. Se non giochi per vincere, allora per cosa lo fai? Siamo pagati, ed è fantastico, ma l’obiettivo più grande è sempre il titolo. Chiedete ad altri che hanno vinto, vi spiegheranno che non c’è nessuna sensazione migliore.

Ho la competizione nel sangue, voglio ancora essere riconosciuto tra i migliori al mondo. Ho anche vinto un oro olimpico, ma voglio dannatamente tornare a vincere l’anello.

Perché hai scelto gli Heat?

È l’ambiente giusto, anche a livello di fit: a loro serviva un giocatore con le mie caratteristiche da aggiungere al tanto talento già presente. Abbiamo Butler, Adebayo, Herro, Robinson, Morris, Strus, Vincent e PJ Tucker, che è stato un arrivo a sorpresa. E c’è anche Haslem. Sono tutti ragazzi consapevoli di ciò che vogliono e disposti a lavorare duro. A partire da Spoelstra e Pat Riley, ovviamente. Il coach è bravo nello sfidarci e nel capire ciò di cui abbiamo bisogno.

Non mi importa dell’età, penso di poter ancora dare il mio contributo ad alti livelli. Lavoro per rendere gli altri e la squadra migliori.

Immagino sia ancora strano vestire una maglia diversa da quella dei Raptors, dopo tutte queste stagioni.

Sì, molto. Anche Joe Ingles me l’ha detto. Cerco di non pensarci, ora è tutto più normale, ma per il primo mese è stato molto strano. 

Per 5 anni consecutivi a Toronto tu e tua moglie Ayahna avete donato 200 cene e regali per il Thanksgiving alla comunità canadese [il Canada festeggia il secondo lunedì di ottobre, ndr]. Da cosa è partito tutto ciò?

Trascorrevo la maggior parte del mio tempo a Toronto e volevo dare qualcosa alla città in cui giocavo e per la quale sudavo ogni giorno. Volevo avere un impatto anche fuori dal campo. Non si tratta solo di lavorare, ma anche di vivere in un determinato luogo, dove i tuoi figli crescono. Il Canada è meraviglioso, ma c’è comunque della povertà.

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Come passavi il Giorno del Ringraziamento a Philadelphia? 

Molto bene, con tutti i miei parenti dalla parte di mia madre. E’ una festa importante.

Stavamo bene non solo per la festa in sé, ma anche per il tempo trascorso con la famiglia, dove il legame con il popolo afroamericano si faceva sentire ancor di più. Era un modo di riunire tutti, da 7/8 persone a 25, tutti nello stesso posto in una piccola casa di campagna a nord di Philadelphia.

È stato difficile non poter raggiungere i parenti quest’anno?

Non ho potuto passare il compleanno di mia figlia con lei perché ero nella Bubble, e non credo che questo potrà essere ancora più duro.

Ci sono varie occasioni in cui ci perdiamo qualcosa: un mio zio è recentemente mancato, a mia nonna è toccato lo stesso nel 2019. E per me è brutto non poter essere accanto a chi ami nelle occasioni importanti. Fortunatamente la tecnologia ci sta aiutando, siamo in grado di videochiamare chiunque, anche per parlare solamente un paio di minuti.