Il racconto di come una “semplice” chiacchierata al telefono con la propria amante abbia scatenato uno dei più potenti terremoti mediatici e sociali della storia della Lega.

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Nel mondo della teoria, al giorno d’oggi trovare qualcuno che si dichiari apertamente razzista dovrebbe essere affare piuttosto complicato.

Sicuramente un personaggio pubblico premiato più volte dal NAACP (National Association for the Advancement of Colored People, l’associazione per la promozione dei diritti delle persone di colore), sempre in teoria, non lo farebbe mai.

Si aggiunga che il personaggio in questione prenda il nome di Donald Sterling, che di professione sia avvocato, uno dei più ricchi imprenditori della California, e l’ultratrentennale proprietario dei Los Angeles Clippers e il trinomio dovrebbe essere completo.


Eppure non sempre la mera teoria va a braccetto con la materiale realtà.

Stiamo parlando di un vero miliardario. I suoi sapienti investimenti negli anni ’60 nel mercato immobiliare losangelino gli valsero il titolo di quarto imprenditore più potente degli Stati Uniti, con un patrimonio stimato di circa 4 miliardi di dollari – secondo People Money.

Un uomo molto potente, che non avrebbe mai immaginato di bruciare la propria reputazione e una parte del patrimonio per colpa di una banale telefonata.

Era stata una chiacchierata veloce, tra Donald e la sua amante V. Stiviano, che risaliva al settembre 2013. Un battibecco scatenato da un post Instagram della ragazza (circa cinquant’anni in meno di Sterling) con una foto che la ritraeva con Magic Johnson. La chiamata era stata registrata da lei stessa e “offerta” al sito di gossip TMZ, che l’aveva poi resa pubblica il 26 aprile 2014, il giorno prima di Gara 4 tra Clippers e Warriors.

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Donald Sterling: «Sul tuo fottuto profilo Instagram non devi farti vedere con gente nera. Mi dà molto fastidio che tu pubblicizzi che li frequenti. Devi proprio farlo? Lontano dai riflettori puoi fare qualunque cosa tu voglia, puoi addirittura dormirci assieme se vuoi. L’unica cosa che ti chiedo è di evitare di promuoverli… e non portarli alle mie partite.

Lo sai che la gente ha certe opinioni sugli Ispanici, così come le ha sui Neri o altra gentaglia. Storicamente è sempre stato così, e sempre così sarà. Perciò evita di postarlo [Magic] sul tuo Instagram perché tutto il mondo lo veda e io così venga coinvolto. E non portarlo alle mie partite.»

V. Stiviano: «Ma lo sai che hai un’intera squadra formata da persone di colore che giocano per te?»

Donald Sterling: «Mi chiedi se lo so? Li sostengo, do loro cibo, vestiti, automobili, case. O lo fa qualcun altro? Who makes the game? Do I make the game, or do they make the game?».

Piccolo particolare: la signorina Stiliano è per metà nera e per metà messicana.

Queste parole scateneranno una delle più grandi proteste – se non la più grande – della Lega, che troverà la forza di compattarsi contro Donald Sterling e l’opinione da lui rappresentata.

Facciamo un passo indietro.

Sterling entra nel mondo cestistico nel 1981, acquistando i San Diego Clippers per 12.5 milioni di dollari. L’anno successivo tenta subito di spostare la franchigia a Los Angeles, sicuramente una vetrina migliore di San Diego.

È la prima volta che Donald si rivela il villain della NBA e viene colpito da un’indagine promossa da una commissione composta da 6 proprietari NBA.

Questa termina con una richiesta di sospensione dalla carica di presidente dei Clippers, perché si scopre che ha anche diversi debiti e non paga regolarmente i propri giocatori.

Esito finale dell’indagine: Donald lascia l’incarico.

Ma nel 1983 David Stern – allora vice president della Lega – lo salva non solo annullandogli la sospensione, ma anche lasciandogli spostare nell’84 i Clippers da San Diego a L.A., facendogli pagare una multa “irrisoria” di 6 milioni di dollari.

Prima di quel 26 aprile 2014, quando quella fatidica telefonata diventa pubblica, Sterling non si può dire che abbia un curriculum senza macchie. Anzi, pare che le opinioni discriminatorie siano radicate nella sua logica e modi di pensare.

A suo carico ci sono stati diversi casi d’incriminazioni per discriminazioni razziali e abusi sessuali; spicca tra tutte un’azione legale mossa nel 2011 dall’Hall of Famer ed ex GM dei Clippers, Elgin Baylor, che accusa Sterling di avere una plantation mentality, una mentalità schiavista. Tacciandolo di aver proferito la seguente frase:

«Personalmente, preferisco avere un allenatore bianco del Sud ad allenare dei poveri Neri.»

Non a caso Donald Sterling, in quella celebre telefonata con la signorina Stiviano, sostiene che i suoi giocatori abbiano molto più bisogno di lui che viceversa:

«Do I make the game, or do they make the game?»

Addirittura era stato precedentemente citato in tribunale da 19 inquilini e dal Centro dei Diritti per la Casa. Il motivo? Un mal celato ostruzionismo nell’affittare case a determinate etnie. Non soltanto si rifiutava di affittare – spiuttosto singolarmente – ai non Coreani, ma mentiva spudoratamente sulla disponibilità dei propri appartamenti agli Afroamericani e ai Latini, sostenendo che i suoi condomini losangelini fossero sempre e sistematicamente sold out.

Durante la causa era emerso da alcune testimonianze che Sterling nei suoi appartamenti non voleva assolutamente Neri, Americani-Messicani, bambini – chiamati “marmocchi” – e beneficiari dei sussidi del governo per la casa. Secondo le testimonianze degli inquilini, i dipendenti di Sterling rendevano sistematicamente impossibile la vita ad alcune categorie di affittuari: rifiutavano di proposito le mensilità per poterli poi accusare di non pagare regolarmente i canoni. Si rifiutavano di fare riparazioni agli inquilini neri e li vessavano con visite a sorpresa, minacciandoli di sfratto per violazioni dei regolamenti di condominio.

Sarebbe arrivato persino a dire che un suo palazzo avesse un cattivo odore “per colpa di tutti i Neri del condominio: puzzano, non sono puliti. E non dimentichiamoci dei Messicani: sono sempre lì seduti a fumare e bere. Dobbiamo mandarli via da qui.”

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Una cosa è certa: per gran parte del periodo in cui è un owner NBA (1981-2014), Sterling è sempre – per oscuri motivi – protetto da David Stern.

Ma la fortuna – o sfortuna, dal punto di vista di Donald – vuole che le registrazioni diventino pubbliche esattamente 90 giorni dopo che il nuovo commissioner NBA è diventato Adam Silver, che si ritrova subito tra le mani uno dei casi più drammatici e bollenti della storia della Lega.

Come reagiscono invece i giocatori?

In questi frangenti, cioè quando si parla di discriminazione razziale, non sono abituati a stare in silenzio.

E la rivolta contro Donald Sterling ha inizio.

«Nel nostro gioco non c’è spazio per tutto questo. Non è importante se sei bianco, nero, ispanico o qualsiasi altra cosa», dice Lebron James, che in quei tempi – aprile 2014 – gioca a Miami.

«Credo che l’organizzazione Clippers sapesse, e sono sicuro che soprattutto l’NBA fosse a conoscenza del marcio», gli fa eco Matt Barnes, ex ala dei Los Angeles Clippers. «Finalmente Donald Sterling ha fatto una ca***ta. E ora abbiamo le prove».

Il miliardario si è nascosto per 33 anni dietro un velo, ora una registrazione è riuscita a strapparlo.

E alle proteste di Barnes e del Re si aggiungono molti altri giocatori – da Iguodala a Griffin, passando per Kobe Bryant e Magic Johnson – tanto che il caso mediatico diventa d’importanza nazionale.

Perfino Barack Obama, allora Presidente USA, interviene: «Gli Stati Uniti d’America continuano a combattere contro il razzismo, il colonialismo e la segregazione, elementi ancora presenti nella nostra società. Sono sicuro che l’NBA andrà a fondo in questa storia.»

La ribellione contro Sterling cresce, così come l’idea dei giocatori di non voler entrare sul parquet almeno in una partita della serie tra Clippers e Warriors (le prime tre erano già state disputate). Se la serie fosse stata a Gara 1, in pochi avrebbero tentennato nel boicottare il primo appuntamento: una partita si sarebbe potuta tranquillamente riprogrammare. Ma Gara 4 era schiava delle televisioni e del denaro che girava attorno ad essa. Bruttissimo dirlo, ma “The show must go on”.

«Avevamo tutti famiglie, amici, persone comunque vicine che ci dicevano: “Ragazzi, non dovete giocare!”. Ricordo che Q-Tip di A Tribe Called Quest – noto collettivo hip hop afroamericano (n.d.r.) – mi disse: “Ragazzi, non potete giocare. È qualcosa di più grande di voi. Avete l’occasione per mandare davvero un messaggio.”» Jamal Crawford

Gara 4, però, si gioca. Inevitabilmente. Il 27 aprile a Oakland la franchigia di Los Angeles, dopo una lunga discussione tra i giocatori – racconta CP3 – scende in campo nel pre-gara con felpe rosse al contrario, per coprire il logo della squadra, e con polsini e calze nere in segno di lutto.

Ovviamente la partita è destabilizzata dalla difficile atmosfera.

I Clippers perdono di 21 punti e vanno sul 2-2.

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Il giorno di Gara 5 è probabilmente uno dei momenti più belli di sempre per tutta l’NBA.

Il 29 aprile 2014 comincia con la conferenza di Adam Silver all’Hilton Hotel di New York City e si chiude con la partita a Los Angeles.

«Ho deciso per la squalifica a vita di Donald Sterling, il quale verrà anche multato di 2.5 milioni di dollari, il massimo per le norme NBA. Inoltre ho chiesto ai proprietari NBA di avviare una mozione per costringere Donald Sterling a vendere il suo club», dice Silver.

Il Commissioner, infatti, non è il padrone della Lega, ma “dipende” dai proprietari. Quindi, sebbene abbia il potere di prendere decisioni, anche drastiche, per una faccenda di questa gravità deve ottenere il consenso della maggioranza degli altri 29 colleghi di Sterling. Silver quindi cita l’Articolo 13D della NBA Costitution, che stabilisce che un proprietario possa essere destituito con tre quarti dei voti del Board of Governors: «Ci sarà bisogno del 75% dei voti favorevoli dei proprietari, ma credo che lo raggiungeremo».

È un momento di svolta per l’intera Lega. I giocatori protestano e “i poteri forti” non solo li ascoltano ma, coalizzandosi per la prima volta con gli atleti, vanno addirittura contro uno di loro, un proprietario.

Quel giorno migliaia di tifosi sono fuori dallo Staples Center con cartelli recanti slogan di ogni sorta. Qualunque tipo di pubblicità legata ai Clippers viene rimossa. Così come gli sponsor, decisi a fare un passo indietro nei confronti di una franchigia che non si sentono più di appoggiare.

La situazione è drammatica, ma allo stesso tempo positiva. Tutto il popolo americano non sta in silenzio, ma reagisce a un simile oltraggio.

Grazie a questa reazione, Los Angeles batte Golden State e la serie va avanti fino a Gara 7, con i Clippers che, per la terza volta nella storia, superano un turno ai Playoffs.

Effettivamente il 75% dei voti necessari per sospendere a vita Donald Sterling arriva, ma Mark Cuban – tutt’ora proprietario dei Dallas Mavericks – solleva una nuova polemica:

«Dovremmo davvero condannare le persone per quello che dicono in privato?»

Dargli torto è piuttosto complicato, d’altronde a casa nostra siamo liberi di dire quello che vogliamo (più o meno). Ma è anche vero che, in questo caso, oltre ad esser stato punito un dialogo privato, simbolo d’ignoranza e inciviltà, è stata punita la storia di un proprietario che non ha mai rispettato niente e nessuno.

L’ennesimo esempio dell’inadeguatezza di Donald Sterling è arrivato poche settimane dopo lo scandalo. Durante un’intervista alla CNN, dopo aver chiesto scusa pubblicamente (per la prima volta) agli afroamericani, sostenendo di non essere razzista – ricordate quanto detto all’inizio? – ha fatto l’ennesima gaffe, clamorosa e fuori luogo, di nuovo su Magic Johnson.

«Dovrebbe vergognarsi di essersi beccato l’Aids». In realtà era risultato soltanto sieropositivo al virus Hiv, gli ha fatto notare il giornalista. Quindi Donald replica «Che tipo di persona è uno che va in giro ovunque e fa sesso con ogni ragazza che incontra e si becca l’Hiv?».

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Dopo un primo momento di pura confusione, la Lega ha consegnato le chiavi della squadra alla moglie Shelly Sterling, poi l’ha costretta a vendere la franchigia al migliore acquirente: l’ex CEO Microsoft Steve Ballmer.

La cosa incredibile è che con l’addio all’NBA la famiglia Sterling ha guadagnato circa 2 miliardi di dollari, la più grande somma di sempre ricevuta dalla vendita di una società sportiva.

Donald, dopo la disastrosa espulsione, ha subito intrapreso le vie legali contro la Lega, la moglie, V.Stiviano, Adam Silver e due medici che gli avevano dato dell’incapace nell’amministrare i Clippers, richiedendo in tutto circa un miliardo di dollari per i danni subiti.

Tutte queste cause, però, magicamente spariscono una dopo l’altra entro il novembre 2016, quando quella contro la Lega termina con un “quiet settlement”. I dettagli di tale accordo non sono mai stati resi pubblici.

Un mese prima dell’uscita delle registrazioni è concluso un processo tra V. Stiviano e Shelly Sterling: quest’ultima aveva accusato l’amante del marito di aver ricevuto dei regali – come una Ferrari, una Bentley e una Range Rover – pagati con il patrimonio comune. Il giudice ha deciso quindi che Stiviano avrebbe dovuto restituire circa 2.5 milioni di dollari alla signora Sterling.

Cosa sarebbe successo se David Stern, così profondamente legato a Donald, fosse stato ancora il commissioner quando è stata resa pubblica la telefonata?

Cosa sarebbe successo se questo caso fosse uscito, ad esempio, nel 2019, con Donald Trump in carica?

Cosa sarebbe successo se V. Stiviano fosse stata in silenzio, senza mostrare nulla a nessuno?

Avremmo ancora un tale uomo in uno dei sistemi sportivi più affascinanti del mondo?

Queste domande, di fatto, appartengono alla categoria dei “What If”. Ciò che tutta questa vicenda ci ha lasciato è che sono determinati uomini, in altrettanto determinati frangenti, a decidere le sorti del canovaccio. Molto probabilmente con attori diversi Donald Sterling sarebbe ancora a capo di una franchigia senza le attuali prospettive – inutile rimarcare il nettissimo upgrade di livello portato in dote dalla passione e dal denaro di Steve Ballmer.

Così come non sapremo mai con certezza quali fini – se personali o morali – abbiano spinto la signorina Stiviano a denunciare un amante così influente alla pubblica piazza, né quali particolari rapporti intercorressero tra quest’ultimo è il commissioner più potente che la Lega abbia mai conosciuto.

Tutto ciò che appassionati e addetti ai lavori possono fare è prendere atto del fatto che, per una volta, un uomo solo è riuscito – seppur involontariamente – a riunire un fronte unico nei confronti di una delle più grandi piaghe sociali degli Stati Uniti. Ottenendo una risposta forte e coesa in un Paese nel quale la discriminazione sociale è tutt’altro che superata: la NBA, così attenta all’inclusione e alle iniziative umanitarie, non accetta alcuna forma di razzismo o emarginazione, né nel suo movimento né nell’idea di sport e società che si propone di diffondere. Il che non è affatto scontato e banale.