Croazia, Italia, Stati Uniti e Grecia: un viaggio nella carriera di un giocatore che ha letteralmente trasformato il ruolo di centro.

Dino Radja

Si ringraziano Flavio Ciriaci e Jelena Adzic per il contributo.

Due ricordi non si possono dimenticare per chi visita Spalato. Uno riguarda le ginestre, le piante con i fiori gialli che circondano e danno il nome alla seconda città più importante in Croazia oltre che il colore alla squadra di riferimento del posto: la Jugoplastika. L’altro è Dino Radja, un giocatore che è diventato leggenda quando negli anni Ottanta mostrava un modo di giocare mai visto prima. Ricopriva il ruolo di centro, ma in realtà si muoveva come un’ala grande. Una visione del basket che non esisteva in precedenza, che però sarà utilizzata sempre più spesso dopo. Ed è anche per questo motivo che entrerà nella Hall of Fame nel 2018: terzo croato nella storia dopo Krešimir Ćosić e Dražen Petrović, e ottavo europeo. Ma Dino Radja è conosciuto anche per altre ragioni, tanto che Michael Jordan l’ha considerato il più forte giocatore d’Europa.

Dino Radja: l’inizio con la pallamano, il nuoto e la pallanuoto

Il pivot di 212 centimetri nasce a Spalato il 24 Aprile del 1967. La città è un grande centro per il basket. E lo sarà dagli anni Sessanta fino a metà degli anni Novanta. La Jugoplastika è la squadra simbolo del posto. Radja ci arriva a 15 anni, nel 1983-1984, dopo aver giocato a pallamano, nuoto e pallanuoto.


Ma già due anni dopo sulla panchina c’è un cambio. La stagione 1985-86 non è delle migliori. La squadra è in zona retrocessione. E la società, allora, sostituisce il coach Slavko Trninic.

Ora c’è Zoran “Moka” Slavnić. “Prima del suo arrivo – racconta Dino Radja in un’intervista al canale televisivo K1 Televizija – lavoravamo come cani ma non giocavano bene”. Slavnić li cresce, ma c’è anche il momento dell’abbandono.

Avevamo 19 anni – prosegue Radja – era appena passato un anno e mezzo da quando ci aveva iniziato ad allenare. È venuto negli spogliatoi nel giorno della partita, ma noi non sapevamo che si era dimesso. Ci eravamo affezionati, era un genio, la persona giusta al momento giusto. Lavoravamo anche 10 ore al giorno. Moka ha cambiato il ritmo degli allenamenti, ha tanti meriti su come siamo cresciuti. Siamo rimasti sotto choc.”

I successi con la nazionale

Nel frattempo il giovane centro muove i primi passi in Nazionale. E per l’EuroBasket del 1987 ad Atene, l’allenatore della Croazia Cosic lo chiama insieme ad altre tre grandi prospetti: Kukoc, Divac e Djordjevic.

Tornano a casa con la medaglia di bronzo, ma ad agosto c’è una nuova competizione ad attenderli. Che stavolta riguarda, però, la squadra U19 della Croazia. C’è il Mondiale U19 a Bormio. Lì vincono la medaglia d’oro battendo due volte gli USA allenati da Larry Brown, che schierava in campo Kevin Pritchard, Larry Johnson, Gary Payton, Scott Williams, Stacey Augmon, Dwayne Schintzius, Brian Williams e Stephen Thompson.

Nella partita per il titolo, Pesic punta tutto sul gioco interno: e la coppia Divac-Radja brilla con rispettivamente 21 e 20 punti.

Con la Nazionale vince anche un argento alle Olimpiadi di Seoul del 1988 e una d’oro, in Italia, all’EuroBasket del 1991. Un altro argento arriva un anno più tardi: nel 1992. Quando Radja gioca con la Croazia le Olimpiadi di Barcellona e conquista il secondo posto dopo aver perso in finale contro il Dream Team USA.

Ma i successi con la Nazionale non finiscono qui. Nei tre anni successivi Radja vince medaglie di bronzo con la Croazia agli EuroBasket del 1993 in Germania (17,1 punti), del 1995 in Grecia (13,9 punti e 5,7 rimbalzi) e anche ai Mondiali del 1994 a Toronto (22,4 punti e 8,5 rimbalzi).

La Jukoplastika dei sogni

I risultati, però, arrivano anche con la Jugoplastika. Tre Euroleghe di fila, dal 1989 al 1991, insieme a Toni Kukoc. Anche se, all’inizio, c’erano molti dubbi sul nuovo allenatore.

Si aspettavano tutti un grande nome – spiega Radja – e invece arriva Božidar Maljković, che aveva fino a quel momento allenato nelle leghe minori. C’era grande sfiducia. Non solo in me, ma in tutti i giocatori.”

Il giocatore nato a Spalato non si tira indietro e ne parla apertamente con la società:

“Perché avete scelto come coach Maljković? Si deve esercitare su di noi?”

Ma basta un allenamento con quello che è soprannominato da tutti “Bozo” per convincerli. Radja e Kukoc vengono lanciati.

Nel 1987-88 la Jugoplastika vince il primo di quattro titoli consecutivi.

Per avere successo, però, ci sono dei segreti.

Ci vuole disciplina e tanto lavoro”, racconta Radja in un’intervista a un’emittente locale.

Inoltre, agli allenamenti, nessuno poteva arrivare in ritardo.

“Boža parlava con tutta la squadra degli avversari e voleva anche sentire l’opinione di ognuno. Ha introdotto nuovi metodi, portando anche ‘il professore’ Nikolic”.

Si tratta di Aleksandar Aca Nikolić. Bozo lo chiama Nikolic senza aver paura di scegliere qualcuno che fosse più bravo di lui su alcuni aspetti. Con Nikolic si inizia a lavorare di più sulla psicologia: c’era più sforzo mentale. Un approccio che segna Radja.

“Dopo Jugoplastika era difficile allenarsi con altri allenatori. Mi è successo spesso che mi rendevo conto di sapere più cose degli altri coach e, a 23 anni, mi sono sentito più competente dell’allenatore.”

Nel 1989 conquista la prima Eurolega alle Final Four di Monaco, e la squadra di Spalato diventa un simbolo di quel periodo. Anche perché riesce a vincere senza nessun giocatore straniero. Un evento che non ha paragoni con i team di oggi. Ma per Dino Radja suonano le sirene dell’NBA.

L’NBA negata

Fine giugno 1989. Il 22enne viene scelto dai Boston Celtics al secondo turno con la numero 40. Dino è pronto a raggiungere nella lega americana i compagni jugoslavi Vlade Divac, Dražen Petrović e Žarko Paspalj.

Ma Josip Bilić, direttore generale della Jugoplastika, si oppone.

“Rađa è sotto contratto fino al 1992. Non si muove.”

Anche Božidar Maljković chiede alla federazione jugoslava, la Jugoslav Basketball Association (KSJ), di adottare politiche di salvaguardia dei propri giovani: e così impedire ai giocatori di età inferiore ai 26 anni di trasferirsi nelle squadre NBA. Radja, però, forza la mano. A inizio agosto va Stati Uniti, firma un contratto di un anno con i Celtics e si inizia ad allenare. La Jugoplastika non molla la presa e passa alle vie legali. L’udienza è fissata il 26 settembre 1989. Il giudice Douglas Woodlock della corte del Distretto del Massachusetts si pronuncia a favore della squadra croata, impedendo così a Rađja di giocare per i Celtics. Torna alla Jugoplastica: ed è l’anno migliore.

Quando guadagnava più di Maradona

Con la squadra di Spalato vince la coppa jugoslava, il campionato e, ancora una volta, l’Eurolega, stavolta a Saragozza, in Spagna.

L’estate successiva, tuttavia, il contratto gli scade. È libero.

Ma non sceglie l’NBA, bensì il Messaggero Roma. Anche perché gli offre un contratto migliore rispetto alla lega americana. Se il giocatore più pagato in Italia nel 1991 è Kukoc, che il 14 maggio firma un contratto da 15,3 milioni di dollari in cinque anni con la Benetton, Dino Radja è il secondo: con 15.

Più di Diego Armando Maradona e Ruud Gullit, che prendevano rispettivamente 13,7 milioni al Napoli e 12,8 milioni al Milan.

“Rispetto allo Jugoplastika, dove si guadagnava poco, quando arrivi al momento in cui ti offrono i milioni pensi solamente ad andare laddove ti offrono più soldi: che sia l’Italia, l’NBA o in Afghanistan. Tuttavia, dopo quel contratto con Roma i soldi non erano più importanti per me, perché facevo contratti per meno soldi ma andavo dove volevo giocare. Quando sono andato al Messaggero sono andato per i soldi.”

È l’Italia dei grandi investimenti. E il gruppo agroalimentare Ferruzzi, proprietario della Virtus Roma, vuole creare una squadra per vincere tutto. Manca però qualcosa.

“Avevo problemi quando sono arrivato in Italia: ero abituato con Boza ad allenarmi 10 ore al giorno e quando sono arrivato al Messaggero loro si allenavano un’ora e mezza due volte a settimana.”

Dopo due mesi non riesce più a primeggiare contro gli avversari: prende allora un personal trainer con il quale lavorerà poi per 12 anni.

La coppa Korac con il Messaggero Roma

La squadra gioca male, nonostante i tanti soldi investiti.

“È venuto allora il proprietario della squadra e ci ha chiesto quale fosse il problema? Io ho gli ho risposto che il problema era che non facevamo niente. Lo sapevo perché prima lavoravo tanto e avevo raggiunto quei risultati per i quali mi avevano portato lì; lì mi stavo allenando solo al 20% rispetto a quanto facevo prima.”

“Come vi aspettate dei risultati con così poco allenamento?”

Dichiarazioni che era meglio evitare.

A quei tempi, l’allenatore di Roma era una leggenda in Italia – Valerio Bianchini, ndre tutti si sono arrabbiati contro di me: chi ero io per parlare così male a 23 anni di una leggenda? Anche i giornalisti se la sono presa con me. Tuttavia, il proprietario era intelligente e ha eliminato subito l’allenatore”.

Arriva Paolo Di Fonzo. Ma anche con il nuovo coach non trova subito la sintonia giusta.

È poi subentrato l’assistente del vecchio allenatore, nonchè suo migliore amico, che mi odiava a sua volta. Ma poi ha capito anche lui di aggiungere più allenamenti e subito si è notata la differenza”.

I risultati, però, non sono quelli che il gruppo Ferruzzi si aspettava. Dal 1990 al 1993 la società giallorossa vince solo la coppa Korac (1992).

I quattro anni con i Boston Celtics

A 26 anni suona ancora la sirena oltreoceano. Sono di nuovo i Boston Celtics a chiamarlo nel 1993.

“In quel momento, andare in NBA era uguale ad andare su Marte. Non sapevi cosa ti aspettasse. Noi li immaginavamo tutti come alieni che mangiavano la gente. E’ stato il mio trasferimento più coraggioso.”

Nella Lega delle stelle gioca anche contro Michael Jordan, che lo ritiene “il più bravo giocatore dell’Europa”. Ma Radja, che è un centro, gioca anche contro Shaquille O’Neal. Che sensazione ha provato?

“Come spingere un camion. Non puoi marcarlo da solo, devi avere sempre due persone contro Shaq. Puoi solo limitarlo, ma quando lo marchi da solo comunque segna lo stesso.”

Nei quattro anni a Boston Radja ha una media di 16,7 punti a partita e oltre 8 rimbalzi. Anche se non vince neanche un titolo.

“Quando sono andato a Boston, avevo uno stipendio cinque volte inferiore a quello di prima. Ma avevo più ambizione. Per me i soldi non erano più essenziali. Certo, è bello avere certe comodità: ma alla fin fine è uguale guidare da Spalato a Zagrabia, che sia una Golf o una Ferrari”.

La Grecia e il pugno al presidente dell’Olimpiakos

Nell’estate del 1997 passa ai Philadelphia 76ers. Ma i medici dubitano che le sue ginocchia possano sopportare quattro partite a settimana. Radja, allora, chiede di tornare in Europa.

Atterra in Grecia, dove gioca per il Panathinaikos. E in due anni vince due campionati greci. Nella stagione 1999-2000 torna però in patria. Ma non con il KK Split (l’ex Jugoplastika), bensì il KK Zadar.

Un anno più tardi sceglie come destinazione Il Pireo e firma per l’Olympiakos.

Il 16 ottobre 2000, contro il Real Madrid, Dino Radja diventa il primo giocatore a segnare un canestro nella nuova Euroleague.

Dall’Olimpiakos va però via perché ha uno scontro con il figlio del presidente arrivando a tirargli persino un pugno in faccia.

Con i tifosi si trovava bene (“mi è piaciuto molto stare ad Atene in quei tre anni, ho molti amici lì”) ma non con i coach.

“Volevo aiutarli, soprattutto l’allenatore del Olimpyakos che era giovane e non voleva sentire i miei suggerimenti. Mi incazzavo, rompevo tutto e sbattevo quello che avevo intorno. All’allenatore dell’Olimpiakos non piaceva il mio comportamento. Ci siamo incontrati poi dopo 10 anni e mi ha detto che io ero il miglior giocatore che avesse mai allenato, ma in quel momento non se ne rendeva conto.”

Dopo un anno all’Olympiakos, Radja torna in Croazia e firma con il Cibona, anche se per un breve periodo. La sua ultima stagione, però, decide di giocarla con la squadra con cui ha iniziato. Portando il KKSplit (ex Jugoplastika) alla vittoria e interrompendo così la striscia di 11 titoli consecutivi del Cibona.

È il momento per ritirarsi. Radja alza il titolo, si fuma un sigaro e festeggia la sua carriera.

Una vita da leggenda.