FOTO: NBA.com

I Denver Nuggets sono alle NBA Finals, eppure sono ancora una delle squadre peggio “trattate” nel mondo dei media NBA. E non è una polemica gettata sul nulla, purtroppo, ma che emerge dai diretti interessati, sia giornalisti, sia giocatori e allenatori.

Coach Michael Malone, ad esempio, ha posto l’accento sulla discrepanza di trattamento dopo la vittoria maturata in Gara 1 delle Conference Finals, per cui, nonostante la loro sconfitta, non si parlasse di altro dei Los Angeles Lakers e del fatto che avessero ottenuto alcune certezze da Gara 1. Col senno di poi, è successo esattamente l’opposto.

E questo, facendo un brevissimo approfondimento generale, perché i giallo-viola rappresentano un big market, estremamente prezioso per la Lega, hanno una copertura e una fanbase più ampia, e giocatori molto più mediatici – vedi LeBron James, che ha dirottato completamente le conversazioni su se stesso dopo lo sweep tramite qualche dichiarazione sul ritiro, abbastanza da mandare nel panico la NBA intera (la trovate QUI).


“Abbiamo vinto Gara 1, e quello di cui tutti parlavano riguardava i Lakers”, ha aggiunto Malone dopo la vittoria in Gara 2, facendo leva sullo scarso rispetto per la squadra e per le prestazioni di Nikola Jokic da parte dei media generalisti, rincarando la dose anche in queste ore. Jamal Murray si è espresso a riguardo in un’intervista, dichiarando di “voler zittire tutti” (la trovate QUI). Questione che sembra la classica lamentela, se non fosse che non è taciuta nemmeno dai media stessi.

A far rumore, più di qualsiasi altra cosa, ci sono ad esempio le dichiarazioni di Chris Mannix, autorevole giornalista di Sports Illustrated, su The Rich Eisen Show, che inizia introducendo il discorso:

“Non penso che possano giocarsi la carta ‘nessuno crede in noi’, perché in molto hanno parlato di Denver come possibile vincente della Western Conference. Non si può dire che nessuno rispetti Nikola Jokic, dopo che i media lo hanno votato come MVP in due degli ultimi tre anni. La carta a disposizione dei Nuggets è ‘nessuno parla di noi, nessuno perde tempo a discutere di noi, nessuno scrive di noi’.”

E termina con quella che è una crudissima dichiarazione sulla scarsa appetibilità dei Denver Nuggets di fronte al mercato televisivo e mediati statunitense:

“Anche perché, francamente, i Nuggets non sono molto interessanti. Nikola Jokic è probabilmente il miglior giocatore del mondo ad ora, ma non è un tipo che si fa molto conoscere al di là delle interviste richieste dalla NBA. Non si vedranno mai molte cose scritte su di lui. Jamal Murray, giocatore fenomenale, non è particolarmente interessante. Michael Porter Jr., altro giocatore eccellente, non è particolarmente interessante. Almeno, non quanto quelli di alcune squadre che si sono qualificate nella seconda metà del tabellone. A Los Angeles il ‘drama’ avviene su base settimanale. Ci sono i Suns, al loro primo anno, le disfunzionalità dei Warriors, i Clippers. Il problema dei Nuggets è che non sono rispettati, nessuno parla di loro. Le persone non li trovano interessanti come alcune squadre nella seconda parte del tabellone.”

Un discorso dalle implicazioni terrificanti, che non tiene conto del tipo di copertura richiesta a determinati livelli, ma che affonda le proprie radici in una logica del profitto legata al contrasto fra big market e small market da non ignorare quando si parla di NBA e di testate americane, soprattutto ESPN, ad esempio, essendoci accordi televisivi a due parti. Un’etica rivedibile, ma che privilegia una scelta precisa.

Un problema simile riguarda i Milwaukee Bucks, di cui abbiamo parlato QUI, e in generale gli small market. La copertura generale, di per sé, già non arriva alla “periferia” NBA, nessun media enorme ha interesse a coprire squadre che non aumentino i numeri della piattaforma, o che interessino a poche persone, indipendentemente dalle prestazioni.

Questo non significa che non ci siano implicazioni etiche abbastanza gravi, solo in parte compensate – fortunatamente – dalle coperture locali. Implicazioni che comprende anche una delle voci meno “preparate” della televisione generalista americana: Charles Barkley, che ha avuto il coraggio di lamentarsi in mondovisione della gestione mediatica dell’approdo dei Nuggets alle Finals:

“Ero così arrabbiato questa mattina che ho spento la TV. Questo perché i Nuggets, che sono stati la miglior squadra del mondo per tutta la stagione, hanno superato i Lakers con uno sweep e sono arrivati per la prima volta alle Finals. Conoscete Mike Malone, lo amo, e ha ragione. Tutti amiamo LeBron, ma non ha detto che si ritirerà. Quando lo farà, faremo tutti le nostre cosette. Ma avremmo dovuto parlare solo dei Denver Nuggets, del Joker, di Jamal Murray, MPJ e via dicendo.”

Questo accodandosi a JJ Redick, che sta rivestendo un ruolo spesso rivoluzionario per il tipo di opinioni e contenuti portati sulle piattaforme generaliste. L’ex giocatore ha mosso una critica a sé stesso e a tutta la crew:

“Non facciamo un buon lavoro nel vendere l’NBA, composta da 30 squadre, 450 giocatori e numerose superstar. Il fatto che tutti adesso dicano ‘Oh, wow, non avevo realizzato che Jokic fosse così forte’… Mettiamo di più in TV! Parliamo più di lui!”

Le parole di Mannix possono risultare fastidiose, ma non dicono nulla di falso. Opinabile, certo, ma tutt’altro che falso. La copertura mediatica della NBA, a livello generalista, è per forza di cose dipendente dall’appeal generato da certe piazze. Quali sono? Quelle che hanno un seguito più ampio e che generano più introiti per la Lega.

Il circuito mediatico parte dall’interesse massivo per un determinato elemento, lo elabora, lo eleva e ne ritrasferisce le informazioni a quell’enorme bacino di partenza, alimentando una trasmissione a circuito chiuso, che si ampia con l’aumentare dei fan, ma non si espande mai, radicandosi su un punto preciso.

Per fortuna, i social aiutano moltissimo i tifosi alla formazione di idee personali, così come la diffusione streaming a livello globale, facendo in modo di smascherare determinate dinamiche con la giusta preparazione autonoma. Il discorso di Mannix è sacrosanto e legato a dinamiche economiche, ma parte dai media – quindi da lui in prima persona – e finisce con essi.

JJ Redick ha definito questo periodo un “punto di svolta su come vendere la NBA” alle generazioni future sul proprio podcast, confrontando Gilbert Arenas – uscitosene con l’ennesima dichiarazione sulla “noiosità” di Jokic. Personalmente parlando, la percezione è che abbia ragione a metà: il periodo storico consente una rivoluzione sul tipo di contenuti, ma non il mercato.

Le TV, che hanno raccolto ottimi dati in questi Playoffs, sono legate necessariamente alle dinamiche di profitto, avvantaggiando mercati come quelli di Lakers, Clippers, Warriors, Celtics, Knicks, o piazze in uscita come i Phoenix Suns. I media generalisti andranno sempre dietro, come una falena con una luce, a queste realtà, e difficilmente le cose cambieranno.

La sola speranza per gli appassionati – ricordando che si tratti in questo caso di un discorso legato prevalentemente alle fonti di informazione americane – è che, come scritto sopra, si inizi a formare un pensiero critico comune tramite approfondimenti personali o seguendo giornalisti, anche molto preparati, di testate locali o freelance, ancora slegati dalle logiche del piano superiore. O, molto più semplicemente, che tutti guardino le partite, essendocene – eccome – di cose da vedere, soprattutto ai Playoffs.