La firma dell’ex Bucks e Pacers non è stata fra le più rumorose dell’estate, ma potrebbe essere una chiave di volta per il sistema costruito dei Celtics.

FOTO: Union Leader

L’ultimo pezzo di un puzzle, l’ingranaggio chiave di un orologio inserito delicatamente o la caduta perfetta del tassello finale di un domino, e chi più ne ha, più ne metta. Per tutti noi NBA addicted – a anche, concedetecelo, nerd wannabe – queste figure rappresentano all’incirca quello che la firma di Malcolm Brogdon per i Boston Celtics ha significato fin da subito in offseason.

Finalmente un secondary creator e un playmaker vero, non costruito o adattato, in un sistema che ne aveva bisogno come il pane. ‘Come mai? Eppure la squadra ha fatto le Finals’, direte giustamente voi. Prendiamola un po’ “alla larga”.

Negli anni si è passati attraverso la motion di Brad Stevens, la gestione un po’ più austera, ma comunque legata a tratti alla motion (ricordiamo, scuola Pop), di Ime Udoka, per poi finire con l’attuale gestione Mazzulla, ma la costante è stata sempre una.


Half-court OPTS/100 poss.PTS/100 plays% of Plays
2014/1514°15°
2015/1614°14°
2016/1710°
2017/1811°14°
2018/1912°11°
2019/2010°
2020/21
2021/2210°10°11°
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La tabella, relativa ai Playoffs, mostra i punti per 100 possessi e quelli per cento “plays” (qui la differenza dal possesso) segnati a metà campo, mentre in fondo è segnalata la quantità di possessi che Boston gioca a metà campo, contro la difesa schierata – in questo caso, più la posizione è bassa, più attacchi a metà campo vengono giocati, in accezione negativa dato che questo tipo di manovra presuppone una difesa schierata.

L’attacco a metà campo (half-court O) di Boston è difettoso. Fatta eccezione per la stagione 2020/21, inflazionata dalle sole 5 gare giocate contro Brooklyn, si può notare come i Celtics si classifichino molto spesso sul fondo della classifica a 16 squadre – 20, da quando c’è il Play-In – calcolata da Cleaning the Glass. La posizione significa poco e nulla, dato che si mettono in relazione squadre con più e meno gare, ma è significativa perché, in realtà, dimostra che Boston rende molto peggio rispetto a squadre arrivate nello stesso range ai Playoffs – o, comunque, almeno al secondo turno.

Senza andare ad approfondire anno per anno, le ragioni generiche individuabili sono svariate: cambio degli interpreti, decision making degli stessi, adattamento reciproco tra coaching staff e giocatori, o per ultima il cambio di allenatore. Ma, anche qui, la costante è una.

La squadra ha dimostrato negli anni una predisposizione all’isolamento, tendenza decisamente non buona per un attacco a metà campo. Nonostante questo, la semplice quantità di isolamenti in sé e per sé non è un problema, a patto che si mantenga una certa efficienza.

Efficienza che, negli anni, ha faticato a palesarsi nei Playoffs, anche a seguito talvolta di Regular Season di buon livello. Il secondo grafico nei Tweet sottostanti mostra piuttosto nitidamente la differenza di produzione (legata ai punti-per-possesso in isolamento) tra Regular Season e Playoffs – senza, ancora una volta, farsi trarre in inganno dal 2020/21, chiuso con un’eliminazione poco fortunata in 5 gare contro i Nets.

Qual è il punto di elencare tutto questo? Jayson Tatum, primary creator di questa squadra, è anche uno dei giocatori in NBA che si serve dell’isolamento con maggior frequenza per le sue conclusioni. Si capisce che, qualora si voglia impostare un attacco a metà campo solido, soprattutto applicando motion concepts, prendere una quantità di tiri in isolamento sopra la media e assegnare il compito di iniziare l’azione o di creare vantaggio palla in mano a un giocatore che si serve di iso-ball ad alta frequenza risulta piuttosto contraddittorio. A tratti deleterio, se lo fa a bassa efficienza.

Non è un caso che, con l’aumentare della sua Assist% (26.3% dei canestri dei compagni assistiti, dopo un picco massimo di 21.1%) e soprattutto dei suoi assist in relazione alla usage%, i Boston Celtics siano arrivati fino alle Finals. Così come, però, non è un caso che si posizioni al quarto percentile per turnover% (palle perse durante un possesso) anche nel corso della miglior Playoffs-run della sua vita fino ad ora.

Tutto ciò succede perché tanto Tatum, quanto Jaylen Brown, sono scoring first guys, giocatori più dediti allo scoring, dotati di una certa off ball gravity e di caratteristiche che li possano rendere i primary creator di una squadra competitiva solo se inseriti nella loro zona di comfort – ad esempio, al volo, ricezioni dinamiche o action apposite.

Qualora diventino i creator primari on ball (sulla palla, o dal palleggio, che preferiate) di un team, sarà perché adattati, in un certo senso, in maniera “artificiale”. Il miglioramento enorme di Tatum, ma anche di Marcus Smart, per dirne un altro, non è sufficiente a sopperire alle mancanze di un roster dalla struttura difensiva perfetta, ma anche molto prevedibile, a tratti stagnante, offensivamente.

Queste difficoltà si riflettono anche su altre fasi diverse dall’isolamento, quali, ad esempio, il pick&roll. Ai passati Playoffs, i tre maggiori portatori di palla sul pick&roll hanno sfruttato poco e male questa situazione di gioco, con una bassa produzione, oltre che altamente inefficiente. Tra i dati a disposizione non c’è la produzione per altri, sicuramente di alto livello da parte di Tatum, ma non utile a colmare il gap tra il suo carico on ball e la conversione dei vantaggi creati o che viene richiesto di creare.

P&R, portatoreM. SmartJ. TatumJ. Brown
Possessi/G3.16.93.7
Punti/possesso0.710.770.94
eFG%41.743.949.3
%ile30°43°70°
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Con tutti questi difetti nella creazione palla in mano da parte delle due star e con le numerose problematiche legate al playmaking e alla qualità nella gestione dei possessi, già dall’immediato istante della trade con San Antonio sembrò cosa ovvia che l’arrivo di Derrick White potesse aiutare. Oltre che reduce dal sistema Spurs, White è un attaccante versatilissimo, capace sia di agire da spot-up shooter, sia di mettere palla a terra con continuità, iniziare l’azione e, all’occorrenza, prendersi i propri tiri.

Affiancare un giocatore di questo tipo ai JAYs già di per sé migliora la produzione da ambo le parti, immaginate aggiungere quello che è il suo upgrade. Oh, esatto, finalmente e faticosamente siamo arrivati a Malcolm Brogdon. Quest’ultimo è un secondary creator di altissimo livello, capace di creare vantaggio – prevalentemente per sé, ma anche per altri – dal pick&roll, oltre che un playmaker nato e cresciuto come tale. Non perché sia un generale in campo, ma perché capace di leggere il vantaggio creato, da sé e da altri, anche ad un livello avanzato.

La gara contro i 76ers

Se vi foste stancati di sentir parlare di numeri, dati e quant’altro, ecco allora un po’ di azione. Innanzitutto, abbiamo detto che l’integrazione di un giocatore di questo tipo a un core già dotato di due minacce off ball di alto livello può migliorare il rendimento da ambo le parti.

Ad esempio, nella clip qua sotto, la difesa previene bene la ricezione comoda di Tatum al gomito passando forte sopra il cross screen di Vonleh e chiudendo il pitturato. Ecco allora che, anziché avventurarsi in un isolamento statico, si ributta la palla fuori: è qui che lo skillset on ball di Brogdon entra in azione.

Per aiutare a capire la differenza tra quello che è un playmaker e un primary ball handler da sempre e tra uno che lo è diventato, prendiamo le clip seguenti. L’impostazione è simile, con il solito cross screen nei pressi del pitturato per facilitare la ricezione di Brown o Tatum, ma nel primo caso, dopo che la palla arriva in punta a Smart, si gioca un pick&roll che permette di arrivare a centro area con discreta facilità.

Ora, dato che Brown si alza, le opzioni di passaggio sono tre:

  • la prima, più immediata, il pocket pass al rollante
  • la seconda, chiusa da Maxey, è ributtare la palla fuori
  • la terza, dopo che Harris era rimasto spaesato a seguito dello scambio Brown/Brogdon, arrestarsi ed effettuare un passaggio in angolo, dato che Brogdon si stava mettendo in visione in basso a sinistra

Sia chiaro, l’esecuzione di Smart è buona e vanificata solo da recupero eccezionale di Tucker, ma è la più basilare.

Nel secondo caso, invece, dopo la stessa uscita di Tatum si gioca ancora un pick&roll centrale, e Brogdon arriva nella stessa zona di Smart in una situazione simile. Questa volta, a differenza di Harris, Harden è rimasto concentrato mettendosi a metà tra il rollante e l’uomo in angolo, così da recuperare in entrambi i casi.

Ma la difesa è ormai alterata e a White basta effettuare un drive&kick per generare un tiro wide open. Per lo stesso Malcolm Brogdon, rimasto libero a seguito di un cambio malfatto, dettato dall’urgenza, fra Harrell e Melton.

Ma il vantaggio di avere Brogdon va ben oltre la lettura delle linee di passaggio in fase dinamica. L’ex Pacers, ad esempio, è una delle combo guard che più mette pressione al ferro, seppur non con il massimo della efficienza a seguito di svariati infortuni. Questo rappresenta la perfezione per una squadra, i Celtics, classificatasi 22° nella passata stagione per frequenza di tiri al ferro.

La sua tendenza a crearsi tiri e ad attaccare il pitturato, combinata alle letture da playmaker, gli consente di variare sul tema calcolando con la precisione di un computer le alternative in situazioni di gioco simili. Di seguito, ad esempio, ci sono tre clip che dimostrano la stessa identica impostazione: un ram screen di Horford per Tatum, che si alzerà ad effettuare uno slip sul pick&roll con Brogdon. Nelle prime due, l’ex Pacers sfrutta il vantaggio per attaccare l’area prendendosi il suo tiro; nell’ultimo caso, invece, legge la situazione con un semplice passaggio. Queste immagini sono significative perché si tratta di 3 possessi consecutivi, molto simili fra loro, con tre soluzioni diverse e ognuna consequenziale all’altra.

Si può notare come nel primo caso la difesa sia totalmente concentrata sull’uscita di Tatum, tanto che Embiid viene colto di sorpresa quando si vede sfrecciare a fianco un ormai irraggiungibile Malcolm Brogdon. Nel secondo, invece, il lungo – memore del possesso precedente – chiude la linea di penetrazione, ma Brogdon è comunque accoppiato in 1-contro-1 con Melton, e sfrutta la sua rapidità e il suo corpo per creare separazione per il jumper.

Alla fine la difesa, consapevole di non poter continuare così, decide di alzare il livello di pressione on ball (Melton su Brogdon) e off ball (House su Tatum), passando anche forte sul ram screen. Il risultato è che, adesso, ogni linea di penetrazione è chiusa, ma questo porta a tornare al punto iniziale: il desiderio di Boston è proprio dare a Tatum la stessa ricezione che Philadelphia voleva impedire in prima istanza.

E così, c’è spazio per un pull-up di Tatum, sì contestato, ma che porta Embiid fuori dall’area e apre al rimbalzo offensivo di un attivissimo e consapevole Horford.

La sua esperienza e consapevolezza lo rendono anche un importante riferimento vocale per i compagni. Nella seguente clip, ad esempio, in basso a sinistra indica a Derrick White di restare in angolo, andando a rilocarsi dalla parte opposta.

Quel che ne viene è un attacco 5-out, con Tatum che deve solo entrare per effettuare un drive&kick al momento giusto, con Williams che effettua un blocco orientato verso la linea di fondo e Griffin che non deve far altro che chiudere con l’extra-pass. A difesa alterata, per Malcolm Brogdon è un gioco da ragazzi attaccare il ferro.

Avere a roster un giocatore così affidabile a poter avviare l’azione è un plus non indifferente per i Celtics, che possono sgravare dei compiti di creation on ball i JAYs costruendo il maggior numero possibile di uscite dal gomito e ricezioni dinamiche.

Avere un ventaglio di soluzioni più ampio aiuta molto l’attacco a metà campo, che respira a pieni polmoni senza soffocare in possessi stagnanti che abbiano come unico esito e punto di partenza l’isolamento.

Qualora dovesse restare integro e non avere un calo improvviso, Malcolm Brogdon sarà una delle chiavi – se non la chiave – della stagione dei Boston Celtics (della quale abbiamo parlato anche QUI), soprattutto nella metà campo offensiva, sebbene anche difensivamente sia in grado di battersi con i pari ruolo, e non solo.