O, perlomeno, nessuno con la canotta dei Nuggets.

FOTO: ESPN

“It ain’t over, I promise you.” (“Non è finita, ve lo giuro.”)

Queste le parole di Anthony Edwards al termine di una brutta sconfitta in Gara 3 subita dai Minnesota Timberwolves, che sembravano destinati – al netto dell’atteggiamento nel corso della partita, più che altro – al più inevitabile degli sweep. Sconfitta talmente dolorosa che lo stesso Ant non ha rilasciato dichiarazioni ai media, ma lo abbiamo potuto sentir parlare soltanto come sottofondo all’intervista di Mike Conley, nel bel mezzo di un discorso motivazionale ai compagni.

Ora, queste parole non sono assolutamente da incidere nella pietra, si tratta solo di un ventunenne estremamente talentuoso che ha dalla sua infinita sfrontatezza e ancor più inevitabile ottimismo per il futuro. Ma sono parole che, per chi ha avuto la sfortuna di seguire un po’ o – possa il cielo concedere loro la grazia – addirittura di affezionarsi a questi Timberwolves, hanno un peso specifico immane per Minnesota.


Anthony Edwards non è infatti una presenza essenziale solamente in campo. Al di là di discorsi malsani su leadership, durezza mentale e bla bla bla, che già di per sé si prestano a mille sfaccettature e dei quali siamo distanti letteralmente un oceano intero, è innegabile che, dopo una trade al limite del boicottaggio, dopo praticamente una stagione intera senza il proprio punto di riferimento offensivo, i Timberwolves siano carenti di un’identità. Dentro e fuori dal parquet.

Ecco, in questo Anthony Edwards è stato l’interruttore di Minnesota, intesa come squadra e Target Center. Si tratta di corrente alternata, certo, ma che corrente (audio on):

Ma, per quanto anche nelle interviste post-gara (e nel video bombing) stia facendo un ottimo lavoro sia come collante di squadra, sia come ricarica emotiva, nulla è paragonabile a quello a cui ci sta abituando in campo nelle ultime 2 partite e mezza. Sì, perché quell’interruttore sembra essersi acceso dopo l’intervallo di Gara 2:

  • Gara 1: 18 PTS, 6/15 FG, 1/4 3PT, 5/6 FT, 1 TOV
  • Gara 2+Gara 3+Gara 4: 37.0 PTS, 50 FG% su 24.0 FGA, 42.4 3PT% su 11.0 3PTA, 86.2 FT% su 9.7 FTA

Perché proprio dall’intervallo? Perché è da lì che Ant sembra aver compreso alla perfezione il proprio compito: martellare il ferro alla prima occasione buona. Se c’è una cosa, su tutte, che Edwards non è capace ancora di fare bene offensivamente è attaccare il ferro con continuità senza fermare prima palla o accontentarsi del jumper, che sia dalla media o da tre punti.

Perché questo è importante? In primo luogo, perché per il suo sviluppo necessita di tirare più liberi, come successo con i 15 tentativi dalla lunetta in Gara 3; in secondo luogo, perché i Denver Nuggets in stagione sono 29esimi per percentuale avversaria concessa al ferro; in terzo luogo, perché gli apre strade infinite per compiere la sola lettura sviluppata in situazioni di vantaggio creato, il drive&kick.

Proprio questa soluzione, diventata fondamentale soprattutto nell’ultima gara di Play-In contro OKC, quando Edwards era nel pieno di un momento di calo al tiro, probabilmente per problemi alla spalla, apre la strada a milioni di altri vantaggi in fase di creazione, il tutto legato – è bene non dimenticarlo – alla rim pressure.

Ad esempio, anche per un giocatore come lui, senza la capacità di percepire in toto il campo, inteso come distribuzione dei compagni e rotazioni difensive, attirare l’attenzione di un’intero quintetto avversario apre a un ventaglio di casi impossibili da ignorare. Di seguito c’è forse uno dei pochi accenni di lettura sopra la media per i compagni, dal momento che la difesa ruota negando il passaggio in angolo, e così Edwards è capace di trovare il taglio di Towns in un pitturato completamente sguarnito:

Tornando a noi, dunque: sì, l’attacco al ferro è importantissimo sia per sé, sia per la squadra. E, se armato in maniera adeguata, da questo punto di vista nessuno può fermare Anthony Edwards.

Ma cosa è cambiato da Gara 2? Chi ha acceso l’interruttore? A questo è difficile dare risposte certe ma, probabilmente, lui stesso. Nel primo tempo della seconda partita a Denver, infatti, Edwards ha sì chiuso con ottime percentuali, ma grazie al solito shot making sopra la media, che gli permette di convertire discretamente anche conclusioni di qualità inferiore.

Non per rompere la scatole ai cultori dell’estetica, ma questo pull-up dalla media è qualcosa di completamente inutile dopo che il blocco di Gobert si è portato via il marcatore. Nikola Jokic, con tutto il bene che gli si possa volere, già non è un fulmine di guerra nel proteggere il ferro in situazioni più favorevoli, figurarsi contro un corpo eventualmente lanciatogli contro con il peso e la velocità di una jeep.

Sembra assurdo, ma attaccare il ferro in questi casi significa tiri liberi, e liberi significano falli, e falli significano decisioni da prendere per gli avversari sia in termini di aggiustamenti, sia di rotazioni. Si può preferire godersi l’esperienza, insomma, ma anche vincere non fa proprio schifo.

Qui si nota come Jokic non sia assolutamente in grado di tenerlo su quel pick&roll

Forse ve ne sarete già accorti dalle clip precedenti, ci stiamo girando un po’ intorno e il rischio è quello di annoiare, ma la costante è solo una: nessuno può fermare Anthony Edwards, in particolare nessuno dei Denver Nuggets.

Per adesso non c’è un singolo difensore che abbia dimostrato di poterlo arginare anche in situazioni di semplice pick&roll. Il rimprovero, se così si può chiamare, fatto a Edwards sul non attaccare il ferro e accontentarsi del “piacersi” è necessario perché questa è la sua serie, in tutto e per tutto.

Ciò che è cambiato da Gara 2 è che giocate come quella nella clip precedente non sono diventate un’eccezione, ma la regola. Al di là del pick&roll con Gobert, è stata chiara l’idea di cercare di coinvolgerlo molto di più palla in mano e, soprattutto, di tirare dentro Jokic in ogni circostanza. A volte sono bastati dei semplici hand-off dopo un’uscita:

Altre, Minnesota ha optato per degli “Horns” screen (QUI il nostro glossario) appositi, dei quali ci sono un paio di esempi nelle clip sottostanti. Nella prima, pur senza le spaziature di Towns, è Gobert a tagliare via l’aiuto di Jokic, “Gortat-eggiando”.

Nella seconda, il serbo viene letteralmente bruciato da Edwards e, in una lineup così ben spaziata priva del lungo francese, difficilmente arriverà l’aiuto o lo stunt di Porter Jr. senza che Ant – ci permettiamo questa fiducia cieca nei suoi mezzi – la ceda in angolo a un buon tiratore come Prince.

Il suo utilizzo palla in mano è necessario anche per attirare il più possibile fuori dall’area Jokic e soprattutto i suoi show/blitz, creando spazio prevalentemente per Gobert. Che sia con dei (rari) passaggi sul pick&roll o letture sullo short-roll da parte del francese, migliorato molto in questa situazione per adeguarsi al nuovo attacco.

Un po’ inspiegabilmente, non si sono visti molti set per innescarlo in ricezione dinamica (in situazioni come quella descritta QUI è devastante), ma si è cercato comunque di trarne il meglio con pin-down o stagger screens, come quello nella prima clip qua sotto.

A fare tutta la differenza del mondo, vero manifesto dell’attitudine di Anthony Edwards dopo Gara 2, è l’aggressività nell’attaccare in transizione, fase nella quale è assolutamente inarrestabile. Vederlo correre subito dopo un rimbalzo “vale il prezzo del biglietto”, nel senso che compensa l’attesa a cui ci ha costretti prima di vederlo così convinto e aggressivo.

Infierire in transizione, inoltre, è in questo caso anche sinonimo di intelligenza, dato che Denver in stagione si posiziona 24esima per punti avversari aggiunti su 100 possessi da rimbalzo difensivo e addirittura terzultima per punti concessi su 100 azioni in transizione.

Oltre alla transizione, dunque, se si vuole correre è bene farlo attaccando nei primi secondi dell’azione, anche questa situazione nella quale Anthony Edwards si sta rivelando un vero e proprio bug per la difesa dei Nuggets.

Il meglio arriva in situazione di drag (seconda clip sotto) o double drag, specialmente con KAT in quintetto, il quale attira spesso fuori il proprio difensore, sebbene a volte basti semplicemente cogliere Jokic impreparato mentre rientra in difesa. Nella seconda clip qua sotto si può notare il lungo serbo ignorare del tutto Gobert per coprire la linea di penetrazione, salvo però essere aggirato senza nessuna fatica. Forse c’erano almeno un paio di passaggi da fare prima di penetrare, ma chi fa da sé fa per tre (due, qui) e, soprattutto, per l’amore del cielo fate che non smetta di attaccare così.

Ma se c’è una cosa in tutto questo che fa venire le lacrime agli occhi, si tratta delle penetrazioni sui closeout. Per chi avesse seguito poco Anthony Edwards in stagione, basti sapere che il ventunenne tende a prendere talvolta scelte scellerate al tiro quando entra in ritmo, croce e delizia del suo gioco.

Il repertorio prevede tiracci in semi-transizione dal palleggio, spin move improbabili, talvolta fade-away in post che, se entrano, sono capaci di far gridare la folla; in caso contrario, di farla gridare, sì, ma non in senso buono. In tutto l’estro di Anthony Edwards rientra anche un’eccessiva fiducia nel tiro da fuori, che converte con buone percentuali, ma mai come quelle che tiene arrivando al ferro alla massima velocità.

Non esiste essere umano in grado di contestarlo una volta staccato da terra, tanto che nella prima clip Jokic è spazzato via e nella seconda cerca lo sfondamento. Questo perché si tratta, come detto anche prima, di una jeep che ti viene incontro a qualche decina di chilometri orari.

Il vantaggio di peso di Edwards si fa valere anche per altre ragioni, come quelle evidenziate nel video qua sotto:

  • numero 1: Caldwell-Pope gli cede chili e stazza, al punto che viene distrutto dal post in quello che è un vero e proprio mismatch;
  • numero 2: accoppiato contro Bruce Brown, forse quello che fisicamente può stargli più dietro, lo semina con una virata degna del suo passato da runningback/cornerback;
  • numero 3: sì, quello che prende a spallate e con cui tiene il contatto sul terzo tempo è Aaron Gordon, non proprio una guardia sottodimensionata.

Hey, tutta questa insistenza sul macinare corpi e parquet non significa che non si apprezzi la bellezza di un suo pull-up o quei fade-away mortiferi che fanno impazzire qualunque social. Anzi, a proposito, c’è una vera e propria chicca che lo vede urlare in faccia a Bruce Brown mentre tira cadendo indietro, in quello che è un gesto tanto spettacolare stilisticamente, quanto irriverente – o esaltante, se anche voi siete fan di questo genere di stravaganza.

Ma che lo shot making sia stellare lo si sa già bene, semplicemente deve essere coordinato con una serie di scelte e letture che possano innalzare il ceiling di Anthony Edwards come attaccante al gradino successivo. Per adesso, tanto il Play-In dello scorso anno, che ha giocato con stessa intensità e decision making di queste ultime gare, quanto (sprazzi del)la serie contro Memphis e le ultime tre gare non possono che far ben sperare, aprendo le porte a un potenziale di tutto rispetto come scorer, coordinato a miglioramenti difensivi da non sottovalutare.

I difetti come creator, quali scelte offensive sbagliate o mancate letture per i compagni, e soprattutto i vuoti lontano dalla palla ci sono ancora, non sono certo mascherati dalle abilità nello scagliare la palla dentro il canestro. Ma c’è pure tutto il resto. E comunque, se anche questa versione dovesse rivelarsi quella approssimativamente definitiva, vorrà dire che ci saranno solo alcuni momenti nei quali verrà premuto l’interruttore, sempre momenti in cui nessuno potrà fermare Anthony Edwards.