FOTO: Basketball Network

Il Collective Bargaining Agreement (CBA) è un contratto fra NBA (intesa come il proprietario della Lega e gli owner delle franchigie) e NBPA (National Basketball Players Association, o associazione giocatori) che regola tutto ciò che riguarda la regolamentazione interna della Lega, da stipendi, a salary cap fino all’NBA Draft.

Il corrente accordo risale all’1 luglio 2017, con scadenza prevista al termine di questa stagione, per l’esattezza il 30 giugno 2023. Le cose, però, non stanno esattamente così: NBA e NBPA si sono accordate per un’uscita entro il 15 dicembre 2022, riducendo il lasso di tempo per trovare un accordo.

A poco più di un mese e mezzo di distanza da questa data, le discussioni si sanno già infittendo, legate principalmente all’aspetto finanziario e a questioni di salary cap. Adam Silver, Tamika Tremaglio (NBPA executive director) e tutte le parti interessate dovranno lavorare al meglio per impedire una situazione come il lockout – ultimo dei quali risalente al 2011, sotto David Stern, con la sospensione della stagione da luglio a dicembre e una riduzione delle gara da 82 a 66.


Consci di quanto tutto questo danneggerebbe l’equilibrio interno alla Lega, andiamo a scoprire quali saranno i punti più urgenti sui quali porre l’attenzione.


  • “Upper spending limit

Partiamo dal punto che susciterà, e sta suscitando, più polemiche. Il sistema del salary cap NBA, il limite di spesa di ogni singola squadra, si basa sul concetto di “soft cap”, no ponendo ciò alcun veto sul possibile superamento di questa soglia, ma “punendolo” con alcuni svantaggi, restrizioni e penali, il più efficace dei quali è la Luxury Tax. Grazie ad alcune eccezioni, come ad esempio – per citarne una – la Larry Bird Exception, alcuni giocatori con determinati requisiti possono essere ri-firmati dalle rispettive squadre anche qualora esse si trovino abbondantemente oltre la soglia del cap (vedi Golden State Warriors). Questo porta a situazioni di questo tipo:

“Dei $696.5 milioni di tasse che verranno spesi quest’anno, il 61.6% è distribuito fra tre squadre: Warriors, Clippers e Nets, con ciascuna che pagherà oltre $100 milioni. Per intenderci, i $176.5 milioni di luxury tax che gli Warriors spenderanno sono solo $14 milioni in meno di quelli impiegati per pagare il loro roster di quest’anno.”

Yossi Gozlan, HoopsHype

Per limitare squilibri di questo tipo, secondo un report di Adrian Wojnarowski di ESPN, la NBA avrebbe proposto di eliminare la luxury tax, sostituendola con una soglia massima di spesa (“hard cap”), che ha preso il nome di “upper spending limit”. Fissare, cioè, un limite di spesa massimo, più alto di quello attuale, che non possa essere valicato, con eventuali conseguenti adattamenti ad hoc.

Sempre secondo ESPN, mentre questa proposta verrebbe dalla fazione della NBA, stanca di questa disparità dettata dal potere di spesa, la NBPA si starebbe opponendo con ogni mezzo, e avrebbe addirittura rifiutato di iniziare le discussioni.

Il motivo di questa opposizione è semplice – e, secondo l’umile parere di chi scrive, sensato: perché una squadra che, magari, dovesse fondare le proprie fortune sul Draft, selezionando, per assurdo, quattro scelte, anche di basso livello, le quali poi si rivelino quattro superstar, dovrebbe rischiare di perderle a causa di un limite massimo, anziché poterle estendere e accettare una spesa maggiore? Non dovrebbe essere, teoricamente, il processo di costruzione da incentivare maggiormente e il più funzionale per gli small market?

Secondo Marc Stein, infatti, questa proposta non sarebbe unanime nemmeno internamente alla NBA, e alcune fonti del giornalista avrebbero già accennato a un possibile lockout. Si capisce che, stando così le cose, un’eventuale crisi non potrà che derivare da questo punto.

Più sensata sembrava la proposta iniziale, riportata anche da Shams Charania su The Athletic, di inasprire ulteriormente le penali, innalzando il rapporto tra dollaro speso-dollari da pagare dopo un ridimensionamento della struttura della luxury.

  • “one and done” rule

Il secondo punto maggiormente rivoluzionario riguarda, invece, l’NBA Draft, con la possibile eliminazione della “one and done” rule a partire dal Draft 2024. Questa regola, risalente al 2005, servirebbe a prevenire il passaggio direttamente da High School a NBA, imponendo un’età minima di 19 anni per l’eleggibilità al Draft. Con il nuovo CBA, l’età minima tornerebbe nuovamente a 18 anni, con la possibilità di compiere nuovamente il salto direttamente dalla High School (una riflessione più ampia QUI).

  • fondo giocatori

Un punto passato sotto traccia, ma citato da Shams Charania in un report su The Athletic, riguarda una proposta della NBPA per un fondo riservato solo ai giocatori, da cui questi possano attingere a fine carriera per entrare a far parte dei gruppi di proprietari di franchigie, qualora siano in vendita. Secondo Tamika Tremaglio, questo aiuterebbe molto nello stabilire un nuovo modello di business che faccia passi in avanti nella eguaglianza fra giocatori e proprietari. La NBA, nel report di Charania, non si è espressa a riguardo.

  • mental health

Casi come quello di DeMar DeRozan o Kevin Love hanno fatto da apripista a questioni come quelle discusse in questo punto, mentre il rumore derivato dal caso Simmons ha funto probabilmente da spartiacque. Secondo Shams Charania, NBA e NBPA vorrebbero discutere la possibilità di equiparare problemi di salute mentale a infortuni fisici, dando la possibilità ai giocatori di prendersi cura di questi problemi accedendo a un secondo parere o a visite apposite.

BONUS

Non riguarda strettamente il CBA, ma una delle possibili rivoluzioni previste per la stagione 2023/24 sarà l’allestimento di un In-Season Tournament, con queste modalità: