L’attacco dei Golden State Warriors non è più inarrestabile: il punto debole

Se è vero che la base dei successi ottenuti dai Golden State Warriors negli ultimi otto anni è l’efficacia difensiva, è altrettanto vero che anche l’attacco ha saputo essere inarrestabile quando necessario. Per cinque stagioni consecutive, dal 2014 al 2019, gli Warriors hanno occupato uno dei primi due posti per Offensive Rating in NBA.

I problemi creati alle difese avversarie derivavano prima di tutto dalla presenza di shot maker letali: prima Stephen Curry e Klay Thompson, poi l’arrivo di Kevin Durant. Il sistema di Steve Kerr ha tuttavia sempre saputo sfruttare le attenzioni attirate dai suddetti tiratori per arrivare a concludere nei pressi del ferro con discreta frequenza e altissima efficienza. Nonostante il cambiamento del gioco, il tiro al ferro è rimasta la conclusione matematicamente più proficua, e non può mancare nella dieta di un attacco vincente.

Aldilà delle apparenze, gli Warriors non sono mai stati del tutto il “jump shooting team” che veniva dipinto dai media, mantenendo una frequenza di tiri nella restricted area superiore al 30%.


Quest’anno, per la prima volta nell’era Kerr, i Dubs sono scesi sotto quella soglia, concludendo al ferro nel 25% del totale: per distacco la percentuale più bassa in NBA. Non è un caso che l’attacco registri “solamente” il 12esimo Offensive Rating della lega, non abbastanza quando puoi contare su una tale quantità di minacce offensive.

Cosa c’è dietro all’involuzione

Essendo la pallacanestro, specialmente se parliamo di quella giocata dagli Warriors, estremamente connessa nelle due metà campo, alla base dell’involuzione offensiva non può che esserci quella difensiva. Prima di ogni altra cosa, in stagione Golden State non è riuscita finora a mettere in campo la solita intensità difensiva. Di conseguenza, il ritmo offensivo alimentato direttamente dalle continue transizioni è parzialmente venuto a meno.

Le caratteristiche degli attaccanti sono il secondo fattore determinante. Nessuna delle bocche di fuoco presenti a roster ha come caratteristica dominante l’attacco del ferro. Inoltre, Stephen Curry e Andrew Wiggins sono apparsi meno aggressivi nel particolare rispetto alla passata stagione: la frequenza del primo è passata dal 18% al 15%, quella del secondo dal 26% al 21% (i loro infortuni, altro aspetto da considerare, non hanno aiutato).

Per il finale di stagione, la ricerca del pitturato deve necessariamente diventare più costante. A guidare il cambiamento delle cattive abitudini devono essere Curry, Wiggins e Jordan Poole. Una crescita del minutaggio di Jonathan Kuminga e il ritorno di Gary Payton II, con lo straripante atletismo a loro disposizione dei due, può sicuramente aiutare.

Per mantenere alte le ambizioni, considerata anche la scomoda posizione di classifica, gli Warriors non possono affidarsi unicamente alle percentuali al tiro, soggette per definizione ad alta varianza. Anche quando hai a disposizione i migliori tiratori della lega.