I Golden State Warriors e una retrospettiva sul fallimentare esperimento James Wiseman

Dopo tre anni a dir poco difficili, James Wiseman è stato definitivamente scaricato dai Golden State Warriors. Scelto con la seconda chiamata assoluta del Draft 2020, al terzo anno in NBA Wiseman non era ancora riuscito a entrare stabilmente nelle rotazioni di Steve Kerr, e la cessione è stata la scelta più logica.

Il prezzo di sole cinque scelte al secondo giro rende bene l’idea del valore praticamente nullo acquisito da Wiseman in questi anni. Con il senno di poi, possiamo sicuramente considerare fallimentare la sua scelta e il suo sviluppo da parte degli Warriors, anche al netto delle inevitabili problematiche fisiche.

Riavvolgendo il nastro però, possiamo tentare di capire tutto ciò che è andato storto, per entrambe le parti in causa.


Wiseman era davvero la scelta giusta?

Per ragionare al meglio sulla scelta presa da Golden State dobbiamo tornare al 18 novembre 2020, giorno del Draft.

Dopo un anno di pausa dalla competitività, gli Warriors si preparavano per tornare prepotentemente nel lotto delle migliori. Quel giorno stesso, però, Klay Thompson subì la rottura del tendine d’achille, nel corso del recupero dall’infortunio al legamento crociato delle Finals 2019. Non sappiamo quanto abbia realmente influito, ma immaginiamo che il Front Office abbia pensato di poter avere un anno in più a disposizione per sviluppare un prospetto più grezzo.

Si è andati allora nella direzione del talento. Con Anthony Edwards promesso sposo della prima scelta assoluta, il ragazzo più appariscente era proprio Wiseman, lungo con capacità fisiche e atletiche estremamente intriganti, già parecchio esaltato dai media.

Dietro al velo dell’innegabile fascino di un prospetto con certe doti naturali, si nascondevano diversi rischi non esattamente trascurabili

Prima di tutto, Wiseman aveva giocato solamente tre partite al college; seppur tenendo medie da 20 punti a partita con il 77% dal campo, rimane un campione estremamente basso. La sua valutazione si basava unicamente sulla carriera all’High School (con avversari non proprio di alto livello) e tre partite al college.

Passando poi al fit con gli Warriors, parliamo di una squadra che, nell’era di Stephen Curry e Steve Kerr, è arrivata al successo grazie a una pallacanestro innovativa, resa funzionante proprio dall’uso atipico dei lunghi. I lunghi “tradizionali”, nella figura di Andrew Bogut, potevano stare in campo in momenti importanti solamente se provvisti di grande intelligenza cestistica, specialmente nel posizionamento offensivo e nel fondamentale del blocco. Per tutto il resto, c’erano i lunghi “adattati” molto meno tradizionali, come Andre Iguodala e, soprattutto, Draymond Green, con cui Golden State ha cambiato il gioco.

Pur mettendo nel calcolo l’infortunio di Thompson, nel 2020 Curry e Green erano ancora relativamente giovani, ed eventualmente pronti ad un ulteriore assalto al titolo (concretizzato poi nella passata stagione). Perché l’idea degli Warriors è stata quella di andare contro la natura del sistema che li ha resi vincenti, scegliendo un lungo tradizionale?

Oltre a non possedere certo un dono naturale per la comprensione del gioco, Wiseman non aveva avuto la possibilità di svilupparla al college. E con questa base di partenza abbastanza precaria, è stato catapultato nel contesto più complicato possibile da apprendere per un centro.

Per concludere con un’altra contraddizione, nelle tre partite al college era già apparso abbastanza evidente come Wiseman non avesse la rapidità laterale per marcare gli esterni sul perimetro difensivamente. Essendo una caratteristica prettamente fisica, praticamente impossibile da migliorare, poteva rappresentare un campanellino d’allarme. In una pallacanestro sempre più orientata verso i cambi difensivi e la versatilità (e anche in questo caso, la tendenza è stata promossa dagli Warriors stessi a partire dal 2015), scegliere Wiseman significa accettare il rischio che possa poi rivelarsi inutile nelle serie importanti ai Playoffs.

Lungi da me giudicare un Front Office che si è dimostrato a più riprese estremamente competente negli ultimi 10 anni, ma gli interrogativi sopraelencati erano già presenti all’epoca del Draft. Anche lasciando da parte Lamelo Ball e Tyrese Haliburton, si poteva optare per un’azione di trade down (scambiare la seconda scelta per una scelta più bassa) e puntare magari su Onyeka Okongwu, lungo dalle caratteristiche molto più compatibili al sistema degli Warriors.

La sfortuna, sì, ma anche i disastri in campo

Se i tre anni di Wiseman a San Francisco si possono certamente definire fallimentari, l’alibi c’è, ed è legittimo: il nuovo giocatore dei Detroit Pistons ha giocato solamente 60 partite in tre anni, a causa di ripetuti infortuni, e ha saltato per intero quella che sarebbe stata la stagione da sophomore. Non ha mai avuto la possibilità di trovare un’apparenza di continuità.

Al netto dell’alibi, che come abbiamo detto è indubbiamente parecchio condizionante, nelle sessanta partite in campo Wiseman è stato un vero e proprio disastro; dati alla mano, uno dei giocatori con l’impatto maggiormente negativo in NBA.

StagioneNet Rating degli Warriors con Wiseman in panchinaNet Rating degli Warriors con Wiseman in campo
2020-21+4.6-13.1
2022-23+2.7-19.8

Ha insomma avuto l’infelice potere di peggiorare istantaneamente e pesantemente qualsiasi quintetto in cui veniva incluso, in due stagioni differenti. Cosa c’è dietro a questi numeri?

Difensivamente, il prodotto di Memphis University è apparso quasi sempre impacciato e in totale confusione, soprattutto nella difesa del Pick&Roll e nella protezione del ferro. Oltre a questo, non è mai riuscito a evitare di commettere una marea di falli: 5.2 per 36 minuti nella stagione 2020-21, 5.4 per 36 minuti nella stagione 2022-23.

I più grandi problemi, tuttavia, li portava probabilmente nella metà campo offensiva. Come accennato prima, nel sistema degli Warriors il centro funge spesso da direttore dell’azione, sia per tempismo che per svolgimento, e il posizionamento è tutto; basti pensare a come opera Kevon Looney.

Wiseman non è mai stato in grado di introiettare gli ingranaggi allestiti da Kerr, finendo spesso per bloccarli.

Insomma, per riassumere: totale incapacità di giocare per gli Warriors, in entrambe le metà campo, e scarsi miglioramenti nel corso delle 60 presenze collezionate.

Il divorzio era la soluzione più ovvia per entrambi

Se è vero che Wiseman non stava affatto contribuendo alla causa Warriors, è anche vero che la franchigia gli stava facendo a sua volta un disservizio. Come ogni giovane molto grezzo e inesperto, il 21enne ha enorme necessità di minuti in campo, di esperienza diretta contro giocatori NBA.

Per forza di cose, era un’opportunità che Golden State non poteva più concedergli. I Pistons, invece, possono farlo.

Il talento e le capacità fisiche che lo hanno portato in NBA sono rimaste, e vanno solamente sprigionate nel modo corretto. In un attacco più semplice rispetto a quello dei Dubs, strutturato in gran parte da Pick&Roll in cui il compito è limitato al blocco e alla corsa verso il canestro, Wiseman potrebbe presto prendere fiducia e diventare uno scorer da buoni numeri.

Con minuti e spazio in un contesto con meno pressioni, non è escluso che, nel giro di un anno o due, Wiseman diventi un giocatore effettivamente solido, magari da candidatura all’All-Star Game.

Ma anche se ciò accadesse, chiamarlo rimpianto sarebbe comunque un errore. I Golden State Warriors, in questo momento, non erano la squadra giusta per lui, e probabilmente non lo erano fin dal principio.