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La vox clamantis delle prime quattro gare di questo secondo turno, una guerra senza esclusione di colpi (lo avevamo anticipato QUI), codificata nei numeri di Devin Booker risuona tonante nel deserto dei Phoenix Suns.

16:9 – 4

I numeri surreali, che scrive su ogni referto di questa serie, non sono però abbastanza per rendere giustizia al giocatore che sembra essersi investito del ruolo di pastore di anime. Anime che nelle prime due uscite, su campo avverso, sembravano sorde al suo Verbo e alla sua guida. Verbo che nel deserto dell’Arizona sembra stia facendo proseliti, finalmente, tra le fila dei suoi compagni di squadra.

Per meglio comprendere l’impatto messianico del gioco del prodotto di Kentucky, alla sua terza post-season, è bene ribadirlo, dobbiamo però calarci in quello che è il gioco vivo.


Il primo punto da analizzare può sembrare un’ovvietà, eppure le conseguenze e gli equilibri che ne scaturiscono sono tutt’altro che scontati. I tiri che sta segnando D-Book sono estremamente difficili, spesso con più uomini addosso, in sospensione e con ritmo altissimo.

Risulta chiaro che la naturale conseguenza siano i punti accumulati dal giocatore nato a Grand Rapids, ma negli equilibri di partita questo costringe uno spostamento di attenzione della difesa avversaria che ha un peso specifico estremamente gravoso. Uno dei benefici più grandi che Phoenix ha tratto da questa versione della sua stella è quello di vedere impennare la quantità di punti provenienti dalla panchina (40 quelli in gara 4, a fronte di 22 in Gara 1 e 4 soli punti in Gara 2), nonostante il passaggio di Cam Payne nel quintetto titolare dopo l’infortunio di Chris Paul.

Nello specifico, tiratori come Shamet o Terrence Ross hanno banchettato sulle scelte difensive avversarie, soprattutto sul Double Drag (QUI il nostro glossario) con Booker da portatore, soluzione che ha fornito ai gregari della Valley spazi mai visti nelle partite precedenti.

La reazione impostata da Coach Malone in queste situazioni è stata, come al solito, quella di far salire Jokic al livello del blocco, o addirittura oltre esso, per permettere al difensore sulla palla di recuperare e riaccoppiarsi con Booker, costretto a palleggi extra.

Questo però fornisce tanta aria per il rollante, con uno tra Murray e MPJ a dover gestire una situazione sotto numero e spesso sotto taglia, con Deandre Ayton troppo profondo nel pitturato per essere impensierito da uno dei due giocatori avversari. Da non dimenticare poi lo spazio negli angoli, che sono stati serviti spesso da skip pass che Booker ormai esegue con una certa naturalezza.

Al di là delle uscite sul Double Drag, comunque, i Nuggets hanno optato per un raddoppio sistematico su Booker, il quale ha sempre gestito alla perfezione queste situazioni, cedendo palla ai compagni a vantaggio spesso praticamente già creato.

Il giocatore che ha meglio approfittato, in Gara 4, di questa libertà concessa è stato il già citato Landry Shamet, autore di 19 punti con un ottimo 6/9 dal campo in trenta minuti di gioco.

Di fatto ogni giocata ed ogni situazione positiva è partita dalle mani o dall’impostazione di D-Book, che non solo ha iniziato a far proseliti tra i comprimari e i gregari, ma ha risvegliato un altro predicatore di qualità offensiva ineffabile, Kevin Durant.

La necessità per Denver di raddoppiare uno dei due, che sul parquet non distavano mai più di un passaggio l’uno dall’altro in Gara 4, costringe a situazioni sotto numero non sostenibili nel lungo periodo e quindi ad una pressione sulla difesa, che può di fatto sgretolarsi con facilità nel momento in cui sia Booker che Durant sono tornati anche a leggere i raddoppi con la velocità altissima a cui ci hanno abituati.

KD in particolar modo ha fatto uscire la palla quasi sempre con i tempi giusti dai raddoppi in post, forzando raramente tiri e cercando spesso il compagno lasciato libero fuori dall’area. Per un giocatore della sua gravity, anche effettuare passaggi molto basilari come quelli che vedrete nella prossima clip è essenziale per regalare tiri ad alta percentuale ai compagni.

Che Durant sia stato più reattivo lo si è notato anche nella gestione delle collaborazioni a tre, come nel caso dei passaggi al lungo sulle Chicago Action, visti poco e male nelle gare precedenti, ma anche in quelle a due, ad esempio sui pick&roll o drag screen.

Anche in questo caso, Jokic si comportava uscendo al livello del blocco, lasciando aperti spiragli per il passaggio schiacciato a Ayton, che Booker ha dimostrato di saper gestire alla perfezione sin da Gara 2 e che KD ha letto così da Gara 4:

Tutto l’impegno profuso dalla difesa di Denver sulle due superstar dei Suns ha fatto sì che, in fase di transizione, si siano venuti a creare anche pesanti svarioni. Qua sotto si può notare:

  • Clip 1: Gordon tiene d’occhio Durant fino a che ha la palla, mentre raddoppia come da game plan Booker al momento del passaggio; quest’ultimo la rimette nelle mani di KD, lasciato completamente solo dagli altri tre che si stavano ancora aggiustando.
  • Clip 2: sul lato debole, Durant taglia l’area per andare a occupare l’angolo opposto, attirando l’attenzione di Jokic; il serbo, distratto, sale allora tardi sul ball screen di Ayton, consentendo a Booker di completare l’infilata per il proprio lungo, che schiaccia indisturbato – Gordon ha giustamente occhi solo per KD, MPJ è troppo lontano dal lato debole.

Ci si aspetta chiaramente una reazione da parte dei Nuggets, a partire dal loro centro, ormai consacrato a leggenda, Nikola Jokic, ma il rebus offensivo proposto potrebbe essere complicato da decifrare anche per una squadra del livello di quella del Colorado.

Adesso che i Suns hanno compreso come trovare tiri aperti, potrebbe aver senso tornare agli show sul pick&roll di Booker e sostituire i raddoppi preventivi con degli stunt aggressivi, in modo da non sbilanciarsi troppo, sperando che lo shot making del prodotto di Kentucky si “normalizzi”. Stesso discorso per Durant, che può comunque essere messo alla prova contro gli Aaron Gordon, Jeff Green e Christian Braun del caso, soprattutto dal post.

Lato Phoenix, l’ulteriore sensazione su Booker è quella che non solo si stia divertendo e caricando le sorti della squadra sulle spalle, ma che stia sopperendo a quel buco di leadership che è stato lasciato dal martire Chris Paul. Ruolo che chiaramente sta portando in maniera egregia e con giocate di qualità estremamente solide, in attesa che Point God – per chiudere con i riferimenti biblici – si rialzi come Lazzaro e cammini di nuovo verso la terra di Canaan, dove il Larry O’Brien lo attende.