Nella delicata situazione tecnica e mentale in casa Golden State Warriors, l’unico modo per evitare il baratro è muoversi sul mercato

Stephen Curry mette una tripla delle sue a 20 secondi dalla fine e i Golden State Warriors sono avanti di 3 in casa degli Oklahoma City Thunder, ancora una volta vicini ad una vittoria che darebbe fiducia e morale. Tutto ciò che li separa dall’undicesimo successo stagionale è un possesso difensivo, situazione che, dopo tutti questi anni, dovrebbero conoscere a memoria. I Thunder mettono in gioco il pallone, e Draymond Green commette fallo su Chet Holmgren durante l’azione di tiro: il rookie mette tutti e tre i liberi, e all’overtime vincono i Thunder.

Sconfitte a dir poco rocambolesche di questo genere sono ormai una costante per questi Warriors da circa un anno, e non può più essere un caso, come non lo sono le 28 palle perse accumulate durante la partita nel tentativo di far funzionare il sistema offensivo proprio dei Dubs da ormai nove anni. E ora, il record dice 10-12.

Certo, la squadra di coach Steve Kerr ha giocato ben 19 partite su 22 contro squadre con record positivo, ma una striscia di vittorie fungerebbe solamente da specchietto per le allodole. Le evidenze di campo urlano un messaggio molto chiaro: Golden State non può vincere il titolo.


I problemi

Lasciamo per un attimo da parte i discorsi sulle energie mentali e la lucidità dei protagonisti. Troppo difficile valutarli da fuori, e spesso non sono altro che una diretta conseguenza dei problemi di natura tecnico-tattica.

I numeri parlano di una squadra mediocre sotto ogni punto di vista: 15esima per Offensive Rating (115.1), 14esima per Defensive Rating (114.4). E la notizia curiosa, ed in controtendenza rispetto alla passata stagione, è che a peggiorare Il Net Rating è proprio quello più utilizzato, composto da Curry, Thompson, Wiggins, Green e Looney: su quasi 300 possessi giocati la lineup titolare perde di 8.3 punti su 100 possessi, con un attacco da 35esimo percentile e una difesa da 23esimo percentile.

Dietro alle difficoltà del ‘core’ principale ci sono i giganti passi indietro di Andrew Wiggins e Kevon Looney. In difesa, Golden State si affida alla drop coverage, senza però poter contare su giocatori abili del passare sui blocchi (né l’attuale Wiggins, né l’attuale Thompson né tantomeno Curry lo sono) e sul tradizionale lungo che preferiresti non sfidare al ferro (Looney non è abbastanza alto e atletico per esserlo). Kerr non ha più a disposizione la solita varietà di coverage difensive da poter utilizzare, e i risultati si vedono.

Nell’altra metà campo, gli Warriors non riescono a ottenere granché dalla transizione (22esimi nella lega per frequenza) e mostrano la solita immancabile dipendenza da palle perse (26esimi nella lega per Turnover Percentage). L’attacco a metà campo, 18esimo in NBA per efficienza, non è più in grado di mettere una pezza ai problemi, a causa della totale mancanza di creation on-ball. Se escludiamo Stephen Curry dall’equazione nessun giocatore di Golden State è in grado di costruirsi un tiro, caratteristica semplicemente insostenibile per una squadra che vorrebbe arrivare in fondo ai Playoffs.

Le cifre realizzative di Klay Thompson e Andrew Wiggins, rispetto alla passata stagione, sono impietose:

PPGFG%3PT%True Shooting %
Thompson 2022-2321.944%41%58%
Wiggins 2022-2317.147%40%56%
Thompson 2023-2415.840%35%54%
Wiggins 2023-2412.642%28%48%

Mi chiederete voi: allora perché non mollare completamente la presa?

Semplice: perché i segnali positivi non mancano. Curry è ancora Curry, in grado di viaggiare a quasi 30 punti di media con il 67% di True Shooting a 35 anni, e Green, quando non perde la testa, è ancora Green. Inoltre, continuano ad arrivare segnali più che incoraggianti dalla panchina, dal solidissimo Dario Saric ai giovani Moses Moody (16.1 punti di media x36 minuti), Brandin Podziemski e Jonathan Kuminga. Insomma, il contorno giusto sembra esserci, manca solamente il secondo di qualità.

Trade obbligatoria

Se il front office degli Warriors crede almeno quanto i giocatori nell’ennesima corsa al titolo, l’unica soluzione percorribile è esplorare il trade market, con l’obiettivo di portare a San Francisco un lungo e, soprattutto, un altro creatore di gioco palla in mano in grado di vivacizzare l’attacco.

Sulla carta, Golden State ha una discreta quantità di asset sufficienti per intavolare discorsi di mercato piuttosto interessanti. Uno su tutti il contratto di Chris Paul, molto oneroso (30 milioni di dollari) e soprattutto non garantito per la prossima stagione, e dunque perfetto per qualsiasi squadra in fase di rebuilding che abbia bisogno di creare un buco salariale in estate. Anche il draft capital è abbastanza ricco, potendo contare sulle prime scelte negli anni 2027, 2028 e 2029.

Nel caso ci fosse sul piatto qualcosa di ghiotto (ad esempio un All-Star del calibro di Pascal Siakam, che porterebbe alla causa sia taglia che scoring), al mazzo dei sacrificabili si potrebbero aggiungere Kuminga (6 milioni) e Looney (7.5 milioni). E’ da monitorare anche lo sviluppo della stagione di Wiggins (24 milioni), qualora si dovesse stabilizzare su un livello prestazionale scarso.

Sono invece da escludere categoricamente le cessioni di Green e Thompson, troppo importanti per la storia della franchigia e, soprattutto, per Curry, che mai approverebbe la loro partenza.

Pensare al futuro, come gli Warriors hanno fatto anche fin troppo negli ultimi due anni, è lecito, ma il numero 30 merita ancora una chance, e la strada per concedergliela passa attraverso un’operazione chirurgica al roster prima della trade deadline.