Le chiavi tattiche e situazionali del diciottesimo sweep nella storia delle Eastern Conference Finals, con un occhio al prossimo turno

FOTO: NBA.com

E’ stata la storia di tutta la stagione, non solo dei Playoffs: chiunque, specialmente dopo il mancato rientro di Antetokounmpo, passasse dal TD Garden, sembrava fosse destinato ad essere una vittima sacrificale o poco più. E così è stato.

La regular season dei Celtics è stata una delle più dominanti di sempre, fissando il record di vittorie di 30 o più punti a 17, la striscia più lunga di vittorie consecutive della stagione ad 11 – in parità solo con i Rockets – e il miglior offensive rating dal ’98, ovvero l’inizio della play-by-play era, a 122.2. Ovviamente, ciò ha portato alla seed #1 senza alcun patema, anche considerando il ritorno del complesso d’inferiorità dell’Est.

E quindi è toccato ai Miami Heat, che pur senza Butler, sembrano essere arrivati al capolinea di questo ciclo: 4-1 grazie ai 45 combinati di Caleb Martin e Tyler Herro, e davvero poca storia nelle altre 4.


Squadra più complessa da leggere i Cleveland Cavaliers, che pur senza Jarrett Allen qualche problema in più l’hanno creato in quel di North Station – ironico che entrambe le sconfitte dei Celtics in questa postseason siano arrivate in Massachusetts. Non c’è stato modo di vedere se Donovan Mitchell avesse ancora benzina per continuare quello che sarebbe stato un autentico miracolo, se valutiamo le due squadre pound per pound, eppure anche qui i ragazzi di Joe Mazzulla non sono mai stati davvero sotto pressione.

Arriviamo quindi agli Indiana Pacers, scampati per poco al play-in, capaci di sfruttare in fretta l’assenza di Antetokounmpo – e tutte le altre nel corso della serie – al primo turno, di vincere una serie più anni ’90 degli anni ’90 stessi, nella quale l’unico sprazzo di nuovo secolo è stata l’ennesima uscita al secondo turno di coach Tom Thibodeau, e capaci di tornare nel Yellow State con più di un rimpianto dopo uno sweep contro la finalista annunciata. Con una delle età medie più basse della lega e il fardello di essere la seed #6. Non era per niente facile, vediamo come ci sono riusciti.

Gara 1: il peggior finale della stagione

Il dibattito più americano degli sport americani, ovvero rust vs rest, in gara 1 ha dato il meglio di sé: i Pacers venivano da una gara 7 epica al Madison Square Garden , nella quale avevano fatto segnare la miglior percentuale dal campo nella storia dei playoff in una gara 7, 67.1%, mentre i Celtics erano a riposo da una settimana mal contata.

All’inizio, sono evidenti le farfalle nello stomaco per i ragazzi di coach Rick Carlisle, che cominciano la partita con uno 0-5 dal campo – di cui tre layup – e 5 palle perse: Boston ringrazia e vola subito sul 12-0.

Tuttavia, non c’è nessun blowout in vista, anzi: a metà terzo quarto il parziale dice +15 Indiana, e negli ultimi due minuti del quarto periodo la percentuale dal campo dei Pacers è superiore a quella dei Celtics del 16.5%. Sì, è un fast-forward, ma ciò che accade negli ultimi sette minuti di partita – overtime incluso – è qualcosa a metà tra l’assurdo ed il grottesco.

Sul +3 con palla in mano ad un minuto e mezzo dalla fine, Haliburton inopinatamente prende un tiro contestato contro Horford, e il mancato fischio per infrazione di passi porta al fallo a rimbalzo di Pascal Siakam su Jaylen Brown, mandando in lunetta a cronometro fermo il futuro MVP di queste Eastern Finals. Non è finita qui, nuovamente sopra di tre con 40 secondi da giocare, ancora Tyrese Haliburton perde un pallone non sanguinoso, ma letale: errore non forzato, per una fretta inutile e anzi dannosa in tale fase di partita. Tatum sbaglia il secondo tiro del suo crunch time, e spende subito l’ultimo fallo di squadra. Accade allora l’imponderabile:

Da qui si arriva al punto più alto della stagione dei Celtics e a quello nettamente più basso della stagione dei Pacers: un buonissimo set di Mazzulla con doppio blocco di Derrick White libera Brown dall’angolo, con McConnell che colpevolmente lo ignora e Siakam che arriverebbe anche in tempo per fare fallo, ma decide di contestare – dilemma molto più evidente dal divano che nel secondo che ha avuto a disposizione il camerunese sul close-out. Com’è evidente, Indiana sapeva di aver buttato all’aria un’occasione unica già prima dell’inizio del supplementare.

Altro fattore chiave, di gara 1 e di tutta la serie, sono stati i pick & pop di Al Horford, che finora non ha mai fatto rimpiangere il rientrante Kristaps Porzingis. Quella dei Pacers sembra una scelta, e aldilà di ricorrenti errori di esecuzione per quella che ricordiamo essere una delle squadre più giovani delle 30, se così è stato ha pagato pochissimi dividendi.

Un ulteriore punto focale è stata la disparità in lunetta: 24/30 per i padroni di casa, un misero 9/10 per gli ospiti, Oltre alle classiche valutazioni a riguardo, va detto che si tratta di chiaro retaggio della regular season, con i Celtics secondi overall anche per liberi concessi e i Pacers addirittura ultimi in entrambe le categorie.

Ci sono quindi gli argomenti per far gravare la sconfitta in primis su una cattiva difesa di squadra di Indiana, assunto strano tra l’altro considerano i singoli messi insieme da Larry Bird. Uno su tutti, nonostante un paio di rubate importanti, viene in rilievo: sì, ancora Tyrese Haliburton, con Jrue Holiday protagonista nell’approfittarne maggiormente.

Gara 2: le contromosse di Mazzulla

Il primo, tanto per importanza quanto per ordine cronologico, adjustment del coach ex Fairmont State University è stato quello di accoppiare Jaylen Brown su Myles Turner, colpevole di averne segnati 23 di cui oltre la metà in veste di bloccante, rendendo estremamente più agevole il cambio sistematico sul centro scuola Longhorns.

Inoltre dall’altro lato della sideline coach Rick Carlisle non ha avuto gioco facile – nonostante un personale teoricamente più che adatto – nel trovare contromisure all’imperterrito corner crush di Boston, che ha prodotto ben 7 rimbalzi offensivi nel corso del solo primo tempo.

Sempre in argomento riguardo alle scelte sui cambi, Mazzulla ha provato anche a scommettere sul 21% da tre fino a quel punto di TJ McConnell, piazzandogli addosso Luke Kornet: la risposta è stata quella di coinvolgere il centrone in p&r continui con Haliburton per sfruttarne la scarsa mobilità, e va segnalato anche che McConnell ha risposto meglio di come possano aver fatto in questa postseason i vari Josh Giddey o Evan Mobley, concludendo con il 40% di Fg.

Il terzo periodo diventa una questione personale tra Jaylen Brown e Pascal Siakam, con il primo che guida un 17-0 (!) in apertura di secondo tempo, e il camerunese in grado di evitare che la partita finisca prendendo più isolamenti in quei 10 minuti che nel resto della serie combinato. Tuttavia, il terzo periodo è anche il momento in cui il tendine del ginocchio di Haliburton lo costringe a fermarsi, spianando ai ragazzi scelti da Brad Stevens non solo la strada verso il 2-0 – ironicamente prima volta in questa postseason- ma anche per lo sweep.

Mazzulla infatti sente l’odore del sangue, e con la lineup 5 out riesce a far crollare una difesa in transizione dei Pacers già traballante, facendo anche accendere un Jayson Tatum fino a quel momento in piena crisi realizzativa – 0 punti in partita quando marcato da Obi Toppin. Il boxscore finale vede Boston a 10 perse e Indiana a 16, di cui 9 nel secondo tempo, ovvero quando la lineup senza lunghi si è potuta permettere raddoppi quasi sistematici su tutti i ball handler, vista l’assenza forzata dell’ex Sacramento. Vediamo come:

Gara 3: il massimo sforzo

Con piena coerenza verso i Celtics dell’ultimo lustro, la gara decisiva – nessuno è ancora riuscito a riuscito a risalire la china da un 3-0 – senza l’iniettore degli avversari, ci se la gioca all’ultimo possesso. L’eroe di giornata – 39 punti e 9 assistenze – sembra essere di nuovo Andrew Nembhard, l’ultima guest star degli incubi dei newyorkesi. Eppure, questa è l’unica squadra della Lega capace – anche senza Porzingis – di avere in campo 5 tiratori affidabili, 5 ball handler capaci di attaccare dal palleggio o ribaltare, e soprattutto 5 tremendi da battere in 1 vs 1. Epitome di questa lettura è ancora Jrue Holiday, che ferma la villain season di Nembhard con una rubata da veternao vero, mettendo la serie definitivamente in ghiaccio.

“Quella rubata è il suo marchio di fabbrica, la prende sempre con la mano interna. Big time play”.

Joe Mazzulla

Per Cleaning the Glass, dopo essere finiti sotto addirittura di 18 nel terzo periodo, da metà di quest’ultimo Boston ha contestato ben 24 degli ultimi 36 tentativi dal campo di Indiana. Decisamente il modo più efficace di dare il via ad una rimonta, che sta fruttando ben 9 giorni di riposo in vista dell’apertura delle Finals al Td Garden la sera del 6 giugno.

Menzione d’onore un’ultima volta – sembrano esserci buoni segnali in ottica Finals dal lettone ex Dallas – per Al Horford. 7 triple sono quelle che aveva messo insieme nelle sue prime due postseason ad Atlanta, mentre è stato chiave nella rimonta davanti al solito pubblico da college dell’Indiana con un 7/12 dall’arco, di cui 4 arrivate da situazione di pick&pop, come precedentemente trattato.

Irving sul luogo del delitto, Porzingis finalmente nel suo habitat: cosa attendersi

Se possibile, gli aspetti emotivi sono più rilevanti anche rispetto a ciò che delle Finals rappresentano a prescindere da chi arriva a giocarle. Tatum torna sul palco più importante per la seconda volta in carriera ma dopo 8 anni cui per 7 volte i Celtics con il prodotto di Duke al comando hanno raggiunto quelle di conference; Jason Kidd ha riportato Dallas all’ultimo round per la prima volta dal 2011, quando il joystick lo gestiva dal campo, come playmaker di Dirk Nowitzki e di quello che ancora ad oggi risulta la campagna forse più abbacinante di sempre, avendo eliminato, nell’ordine: i Lakers di Kobe campioni in carica, i Thunder che l’anno successivo vinceranno la Conference con James Harden sesto uomo e in finale la prima versione dei Big Three di Miami.

Anche la sceneggiatura risulta squisita: Kyrie Irving che torna al TD Garden dopo una serie di disavventure culminate nel calpestio del logo, reato di competenza federale da quelle parti; e anche Porzingis aldilà delle speculazioni forse con Luka Doncic non si è lasciato benissimo.

Tornando sul campo, una squadra ci ha messo tre partite più dell’altra a qualificarsi, e già questo basterebbe a far partire i Celtics favoriti. Va considerato anche come, aldilà del mero sforzo fisico, a livello mentale i Mavericks hanno giocato ogni partita consapevoli di come il suo esito potesse cambiare volto alla stagione. Difficile, anche con tutte le attenuanti del caso, fare lo stesso discorso per i Celtics.

Un’altra differenza sostanziale è nella costruzione dei roster: Boston è esattamente dove si aspettava di essere, con al comando gli uomini di cui si è fidata nell’ultimo lustro e delle trade che a guardarle oggi è quasi facile definire truffe, quali quelle per Holiday e White. Più tortuoso il percorso dei Mavericks, che a metà stagione hanno dato asset a squadre disperate come gli Hornets e i Wizards per acquisire Pj Washington e Daniel Gafford, sui quali in pochi avrebbero scommesso all’ora della primavera; nello stesso periodo, coach Kidd ha riportato in quintetto Derrick Jones Jr, arrivando a creare una difesa che nell’ultimo mese e mezzo ha concesso nel pitturato un misero 53,5%.

Tuttavia, con il ritorno di Porzingis Boston potrà contare su una rotazione ad 8 che conta tutti gli effettivi non come tiratori affidabili, bensì pericolosi. A ciò si aggiunge la possibilità di iniziare con due difensori – per quanto possibile – cuciti su misura per il backcourt più esplosivo della Lega come Holiday e White, e soprattutto il lusso di cambiare con Tatum e Brown, con Porzis da free safety per tentare di arginare l’epidemia di lob in arrivo dal Texas.

Forse il numero più spaventoso dei verdi in questa postseason è quello dei tiri dall’angolo concessi: quello che è in teoria il tiro preferito di qualsiasi attacco di quest’epoca, ha pagato un terrificante 26,5%. Per Dallas questa è una categoria chiave – grazie soprattutto ai ribaltamenti celestiali di Doncic, per secondspectrum lo sloveno ha scaricato nell’angolo 318 passaggi in regular season, 71 più del secondo – e ai playoff ad oggi si attesta sul 40%.

Dall’altro lato, potrebbe risultare fondamentale il ritorno di un altro europeo, Maxi Kleber. Il tedesco è nettamente il lungo più mobile a disposizione di Kidd, e la sua abilità nel marcare il pick&pop potrebbe infastidire il lettone invece di ignorarlo come da scelta obbligata fatta su Chet Holmgren.

Per Dallas, infine, c’è un’altra statistica tanto ovvia quanto chiave in questi playoff: per ESPN, quando Doncic ha tirato con il 38% o meglio, i Mavs sono 5-0 – in tutte le occasioni è successo contro i T’Wolves. Quando la percentuale si è abbassata, volatilità estrema, 6-5.