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Questo contenuto è tratto da un articolo di Aaron Fentress per The Oregonian, tradotto in italiano da Mattia Tiezzi per Around the Game.


Capelli rossi e riccioli, sguardo competitivo, tocco delicatissimo, socialmente consapevole, avvocato della cannabis, camicie tye-die, analyst non convenzionale, vincente. Tutti questi aggettivi, e non solo, descrivono Bill Walton, leggenda di UCLA e dei Portland Trail Blazers, broadcaster di lunga data morto il 27 maggio all’età di 71 anni. Nel mondo dello sport, chi ha avuto il piacere di conoscerlo e di giocarci contro, ha ricordato e pianto ‘The Big Red-Head’, che ha dominato con i Bruins prima di guidare la squadra dell’Oregon al loro unico titolo, nel corso della stagione 1976/77. “Si tratta di un momento difficile, triste, scioccante, ma ha riportato alla luce memorie condivise di molti anni fa”, ha detto il suo ex compagno ai Blazers e amico di lunga data Lionel Hollins. Walton, morto di cancro, ha speso 5 stagioni a Portland, giocando 209 partite, ma considerando il titolo e la vittoria dell’MVP nella stagione successiva, resta nelle conversazioni per il “miglior Blazer di sempre” accanto a Clyde Drexler e Damian Lillard. Senza dubbio, si tratta del più grande “what if” nella storia delle franchigia, parlando di elementi che vi hanno giocato. Se fosse rimasto sano, i Blazers avrebbero potuto creare una vera e propria dinastia negli anni ’80. Invece, quella squadra ha fatto fatica senza un Walton in saluto, che ha lasciato alla fine da free agent la città. “Avrebbe potuto giocare dai 15 ai 20 anni, vincendo più volte l’MVP, magari anche più titoli. E sono sicuro che, se non si fosse fatto male a Portland, avremmo anche un altro anello”, ha aggiunto Hollins.


Leggenda in ascesa

Bill Walton, in uscita da Helix High School a San Diego, California, è andato a UCLA nel 1970, prendendo il posto di un altro grande centro, Kareem Abdul-Jabbar (al tempo Lew Alcindor), appena andatosene dopo aver condotto i Bruins, sotto la guida del leggendario coach John Wooden, a 3 titoli nazionali consecutivi (1967, 1968 e 1969). Walton è arrivato nel campus nel 1970 ma, come anche Abdul-Jabbar prima di lui, non poteva giocare come un vero freshman secondo le regole NCAA.

Walton si è unito alla squadra nel 1971, guidando i Bruins a due titoli nazionali consecutivi (1972, 1973), in entrambi i casi da imbattuti. Nel suo anno da senior, UCLA ha perso in semifinale del torneo NCAA contro North Carolina State, chiudendo con un record di 86-4 con Walton in quintetto. Nell’ateneo, la sua coscienza sociale si è evoluta, e ha raccontato di quanto facesse impazzire Wooden con le sue bizzarrie e l’attivismo – specialmente quando si è fatto arrestare protestando contro la guerra in Vietnam nel corso del suo anno da Junior. Stando a un articolo del 2018 scritto da Dick Weiss, Walton ha raccontato di un Wooden deluso al momento di tirarlo fuori di prigione: sebbene il coach fosse d’accordo con la sua posizione nei confronti della guerra, gli disse che protestare non fosse il modo giusto per opporsi.

Via a Portland

I Blazers hanno scelto Bill Walton con la prima scelta assoluta durante il Draft NBA 1974. Infortuni ai piedi lo hanno limitato a 86 gare nel corso delle prime due stagione, riuscendo a giocarne 65 durante quella 1976/77 e guidando la Lega in rimbalzi (14.4) e stoppate (3.2) a partita, segnando allo stesso tempo 18.6 punti di media. Condotti da Walton, i Blazers riuscirono a vincere il loro primo e unico titolo NBA, battendo i Los Angeles Lakers proprio di Abdul-Jabbar nelle Western Conference Finals, prima di passare per 4-2 sui Philadelphia 76ers nell’ultimo atto della leggendaria run Playoffs.

Nel giorno della morte, Abdul-Jabbar ha postato su X queste parole: “Il mio amico molto stretto, ex Bruin e rivale NBA Bill Walton è morto oggi. E il mondo adesso sembra molto più pesante. Sul campo, Bill è stato un giocatore feroce, ma fuori non si accontentava mai fino a che non avesse fatto tutto il possibile per rendere quelli accanto a lui felici. Era il migliore di noi.”. A guidare i 76ers a quelle Finals c’era invece un’altra superstar, Julius Erving, anche lui attivo su X nel giorno della morte: “Sono triste dopo aver saputo che il mio compagno, nonché uno dei campioni e personaggi più amati nel mondo dello sport, se ne sia andato. Bill Walton si è goduto la vita in ogni modo. Gareggiare contro di lui e lavorare con lui è stata una benedizione. Condoglianze alla famiglia Walton, mancherà anche a noi.”. Walton ha dato credito ai proprio compagni ogni volta che ha potuto, specialmente all’ala Maurice Lucas e a Hollins:

“Il leader della squadra era Maurice Lucas. Si trattava di una forza della natura potentissima e spirituale. Non solo è stato il più grande Blazer di ogni epoca, ma anche la miglior persona che ci fosse. Nessuno mi ha mai aiutato a migliorare come Maurice Lucas.”

– Bill Walton in un’intervista per i Portland Trail Blazers

Quel tipo di umiltà e amore per i compagni che emergeva ogni giorno, secondo il racconto di Hollins: “È stato un grande compagno, giocava per vincere. Ha elevato il livello dei propri compagni e li ha migliorati. Non voleva che gli venisse riconosciuto. Voleva passarla ai compagni che sentiva meritassero i riflettori tanto quanto lui.”. Walton, ha aggiunto Hollins, apprezzava le partite punto a punto, che secondo lui tiravano fuori il meglio dalla squadra. 7 delle 14 vittorie dei Blazers durante i Playoffs 1977 sono arrivate per 5 punti o meno di distacco, inclusa un Gara 6 delle Finals vinta per 109 a 107. Walton mise a referto 20 punti, 23 rimbalzi e 7 assist, con 8 stoppate: “Amava quando le partite si facevano tirate e vincevamo alla fine perché eseguivamo le giocate al meglio e facevamo sempre la scelta giusta” – ha detto Hollins. Durante quei primi anni, Walton si è fatto sentire in città. Sempre Hollins ricorda di esserci andato a correre sul Monte Tabor, poi a sollevare pesi e infine a trovare una palestra per giocare qualche partitella: “Prendevamo chiunque volesse giocare contro di noi, era pura competizione e amore per il gioco. Giocavamo ed eravamo in competizione. E provavamo a battere chiunque si presentasse, ovviamente. Questa era la competitività di Bill.”. Quei Blazers avevano l’aspetto di una dinastia, con Walton al centro del progetto. Hanno iniziato la stagione successiva con un record di 50-10 prima che la stella perdesse il resto della stagione, momento dal quale Portland ha vinto solo 8 partite, perdendone 14. Walton tornò in tempo per i Playoffs, mettendo a referto 17 punti e 16 rimbalzi in Gara 1 delle Western Conference Semifinals contro i Seattle Supersonics, ma questi vinsero comunque per 104 a 95. La star di Portland ha poi giocato solo 15 minuti in Gara 2 prima di saltare il resto dei Playoffs per una caviglia rotta, e i compagni hanno vinto quella partita per 96-93 prima di cadere 4-2 nella serie. Nonostante buona parte della stagione persa, Walton ha ricevuto il premio di MVP dopo aver segnato 18.9 punti di media con 13.2 rimbalzi. L’aver giocato su una caviglia infortunata ha portato a una disputa fra lui e la franchigia, dove i Blazers furono accusati di aver fornito consigli medici sbagliati e cure non consone. Alla fine, Bill Walton chiese la trade, dopo aver dato inizio a Blazermania: la franchigia, a partire dal 1970, aveva vinto un titolo, aveva un MVP come superstar, vendeva sempre tutti i biglietti e le partire venivano mostrate nei cinema locali per far fronte alle richieste del pubblico. Adesso, Walton era infortunato e voleva andarsene. I Blazers hanno rifiutato in un primo momento, portando la stella a sedersi per l’intera stagione 1978/79, prima di firmare con i San Diego Clippers a fine anno.

Nel 2009, Bill Walton si è lamentato di come la sua carriera ai Blazers si sia conclusa: “Mi pento di non essere stato migliore come persona. Come giocatore. Mi pento di essermi infortunato, delle circostanza nelle quali ho lasciato quella che era una famiglia a Portland. Vorrei tanto aver fatto molte cose diversamente, ma non posso. Perciò sono qui per scusarmi, per provare a fare ammenda e cercare di avere un nuovo, migliore inizio.”. Dopo aver lasciato i Blazers, gli infortuni non si sono fermati, anzi, come dice Hollins: “Ha affrontato molte pene a causa delle operazioni chirurgiche e del dolore nel corso della sua vita, qualcosa che posso solo immaginare. Anche io mi sono operato e infortunato, ma non spesso quanto lui e per infortuni così traumatici. Ha resistito a lungo.”. Walton ha giocato in appena 14 gare alla sua prima stagione con i Clippers, poi 88 totali nelle due successive, senza mai tornare alla sua forma da All-Star. La carriera di Walton ha preso una nuova strada con i Boston Celtics, allora guidati da Larry Bird. Come riserva del centro Robert Parish, ha disputato 80 partite nel corso della stagione 1985/86, viaggiando a 7.6 punti e 6.8 rimbalzi di media, venendo eletto Sesto Uomo dell’Anno e aiutando i bianco-verdi a vincere il titolo NBA. Il suo secondo.

La vita oltre la pallacanestro

Hollins, che ha giocato 3 delle sue 5 stagioni a Portland con Bill Walton, si riferisce a lui come leggenda NBA, nonostante la breve carriera: “Bill era un giocatore fantastico, uno dei più grandi di sempre” – ma Hollins ha speso molto più tempo con lui in quanto amico, anziché compagno.

“Era un grande amico, molto leale per tantissime persone. Ha supportato moltissime cause ed era un grande uomo di famiglia, un grande padre e marito. Si curava di tutti ed era sempre coinvolto.” – lo descrive così Hollins. Bill Walton e la sua prima moglie, Susie Guth, hanno avuto 4 figli: Adam, Nathan, Luke e Chris. Il nome di Luke viene da uno dei compagni preferiti del padre, Maurice Lucas, e si tratta del figlio che ha giocato dal 2003 al 2013 in NBA, allenando anche per 6 stagioni fra Los Angeles Lakers e Sacramento Kings. Poi, Walton ha sposato Lori Matsuoka nel 1991.

Bill, dopo aver affrontato un problema di balbuzie a 28 anni, ha ammesso di aver preso coscienza di sé più avanti e di voler intraprendere la carriera come commentatore nel 1990. Ha lavorato per CBS, NBC, ESPN e per il Pac-12 network di recente. Walton ha fatto uso della sua vibrante personalità e del suo vocabolario eloquente per colorare le proprie analisi, fino a diventare uno dei commentatori più unici nella storia della televisione. “Un broadcaster fenomenale, davvero divertente, aveva grande personalità”, dice il solito Hollins. Ma soprattutto Walton è rimasto un attivista, pur facendo cose differenti. Anziché rifiutare l’ordine costituito, Walton si è servito della propria posizione di celebrità per guadagnare di più e poter contribuire meglio a diverse cause:

“Progressivamente è diventato più consapevole di quanto i soldi potessero aiutare a fare cose grandi. Penso che, quando lasciò Portland per andare ai Clippers, si tagliò i capelli e si mise un vestito diventando un ‘born-again capitalist’, citando le sue esatte parole. Credeva ancora fedelmente in quello in cui credeva, ma aveva solo visto una maniera differente di combattere.”

– Lionel Hollins

Grande giocatore, commentatore provocatorio, Bill Walton ha lasciato il segno ma, secondo Hollins, la sua stella brillò più di tutte come persona:

“Era un essere umano gigante in termini di cura per le persone. Quelle che avevano un aspetto differente dal suo, quelle che avevano uno stile di vita diverso dal suo e che non avevano le stesse cose. Mi verrebbe da dire che sarà questa la sua eredità: tutte le persone che ha trovato di cui si è preso cura e per le quali ha fatto di tutto.”

– Lionel Hollins