Questo contenuto è tratto da un articolo di Teddy Greenstein per Chicago Tribune, tradotto in italiano da Marco Cavalletti per Around the Game.


Jerry Krause non ha mai fatto parte della squadra. E Michael Jordan glielo ha sempre ricordato.


Krause ha costruito la dinastia Bulls scegliendo Horace Grant, rapinando Scottie Pippen e finalizzando la trade per l’indomabile Dennis Rodman, ed è stato anche l’artefice dell’assunzione di Phil Jackson – lo yin al suo yang – e Tex Winter, il gran maestro del triangle offense. Eppure, l’architetto della dinastia Bulls non si è mai visto riconoscere niente dai fan… in parte per colpa sua.

Di seguito, cinque cose da sapere su Jerome “Jerry” Krause, il nativo di Chicago morto nel 2017 all’età di 77 anni.

1. Era un lavoratore

Per Krause, la giornata perfetta era quella passata su una barca a pescare o in una qualche palestra fatiscente. Rilassarsi sulle rive di un lago pacifico era il suo hobby, ma fare scouting dalle gradinate era la sua essenza.

Dopo aver giocato a baseball alla Taft High School e aver studiato a Bradley, Krause ha iniziato a lavorare come scout per i Baltimore Bullets. Alcuni gli attribuiscono il merito della scoperta di Earl “The Pearl” Monroe alla Winston-Salem State; inoltre, a suo tempo, aveva invitato i Bullets a scegliere anche un’ala da North Dakota di nome Phil Jackson, ma la squadra ha rifiutato.

Krause era lo scout dei White Sox quando, nel 1985, il presidente dei Bulls, Jerry Reinsdorf, lo ha chiamato e gli ha chiesto di tornare alla pallacanestro e di succedere a Rod Thorn come General Manager.

2. Era difficile da amare

Secondo le parole di Sam Smith nel suo “The Jordan Rules”:

“C’era Jerry Krause, un uomo insipido che viveva per il suo lavoro, ed era l’oggetto della rabbia di diversi giocatori dei Bulls quando si trattava di soldi. Sovrappeso, e permaloso in materia, Krause era stato il tipico ragazzino che faticava a farsi degli amici.”

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Krause era scorbutico. Era paranoico. Provava a intimorire gli agenti durante le negoziazioni. Era insicuro. Jordan lo aveva soprannominato “Crumbs”, per l’aspetto trasandato.

Era anche, però, un amico leale e un uomo di famiglia, che ha sempre amato sua moglie Thelma e i loro figli, Stacy e David.

“Ritengo di avere un cuore tenero sotto questa pelle dura, che mi permette di amare gli altri”, ha dichiarato in un’intervista per Chicago Tribune nel 2002.

“Quelli che mi conoscono sanno che sono un uomo affettuoso. Quelli che non mi conoscono pensano che io sia solo un vecchio burbero e scorbutico.”

3. È stato il migliore per quasi 20 anni

Krause è stato General Manager dei Bulls dal 1985 al 2003. Ha vinto sei anelli ed è stato nominato due volte NBA Executive of the Year, riuscendo a mettere assieme uno strepitoso supporting cast da affiancare a Jordan, approdato ai Bulls un anno prima dell’inizio della sua gestione.

“Io ho lavorato per costruire un’organizzazione da zero. Avevamo Michael e altri 11 che non volevamo. Niente scout. Niente allenatori. Niente.”

Krause è stato protagonista di mosse geniali: ha soffiato Pippen ai SuperSonics nel Draft del 1987, ha scelto Toni Kukoc e ha scambiato Charles Oakley per Bill Cartwright (quest’ultimo affare non era stato particolarmente gradito da Jordan, che si vedeva così privato della sua “guardia del corpo” in campo).

Ovviamente in altre situazioni Krause ha anche sparato a salve, ad esempio scegliendo giocatori come Brad Sellers, Mark Randall e Marcus Fizer.

4. Era (troppo) impaziente di avviare il rebuild

Al termine della stagione del 1997, la coppia Krause-Jackson aveva portato a Chicago cinque titoli. Eppure, il rapporto fra i due era così irrimediabilmente compromesso che, secondo le fonti, Krause disse al coach: “Non mi importa se vinci 82 partite quest’anno, tu qui hai chiuso.”

Questo sarebbe stato l’atto di nascita della ormai famosa stagione, “The Last Dance”, del 1997/98, conclusasi con l’ultimo titolo.

FOTO: NBA.com

A Krause viene attribuita la colpa di aver avuto troppa fretta di smantellare la squadra… e di aver fallito miseramente nel tentativo di ricostruirla. Dopo l’ultimo anello, infatti, ha assunto il compagno di pesca Tim Floyd come allenatore, e ha poi continuato scegliendo Elton Brand, Ron Artest, Jamal Crawford e Jay Williams al Draft. Ha poi scambiato Brand per i diritti su Tyson Chandler, che ha successivamente affiancato a un altro teenager, Eddy Curry.

E, per farla brave, non ha funzionato.

Nelle ultime cinque stagioni di Krause, i Bulls hanno ammassato un record di 96-282 (.254). I detrattori considerano questo ignobile finale la prova ultima che la famosissima affermazione di “Crumbs” – “Non sono i giocatori e gli allenatori a vincere i titoli, ma le organizzazioni.” – non fosse altro che follia. Senza grandi giocatori, le organizzazioni non possono nulla.

Come ha detto Jordan durante il suo discorso di inserimento nella Hall of Fame:

“Non ho mai visto organizzazioni giocare con la febbre sul campo degli Utah Jazz. Non ho mai visto organizzazioni giocare con una caviglia infortunata.”

Krause, però, ha tenuto fede alle sue parole, affermando che i Bulls avevano alcuni dei migliori giocatori di contorno della NBA, nonché trainer, marketer e guru del salary cap di primissimo livello. E, alla fine, il lavoro di Krause ha ottenuto il meritato riconoscimento, con l’inserimento del general manager nella Naismith Memorial Basketball Hall of Fame l’8 settembre 2017, sei mesi prima della sua morte.

Meno di un anno dopo il decesso, invece, Jason Hehir, il regista di “The Last Dance”, ha ricevuto la conferma della partecipazione di Michael Jordan al suo documentario.

5. Era un negoziatore

Ora un’esperienza personale: ho coperto un allenamento dei Bulls il 15 maggio 1997, durante una pausa di sette giorni tra due serie di Playoffs.

Phil Jackson aveva dichiarato che avrebbe considerato l’ipotesi di prendersi un anno sabbatico al termine della stagione, o di accettare un’offerta quinquennale per $30 milioni da parte dei Magic. Il malcontento di Jackson era dovuto al suo rapporto con Krause:

“Jerry e io non ci siamo trovati d’accordo rispetto al futuro della squadra. Non sono stato io a creare questa situazione. Io ne faccio solo parte.”

Io ho chiesto a Krause un commento sulla vicenda, e lui mi ha risposto così:

“Sono stato fedele a Phil fin dal giorno in cui l’ho chiamato, quando non allenava e non aveva un lavoro.”

Ma queste non sono state le sue esatte parole. Originariamente, Krause aveva detto: “… quando viveva per strada e non aveva un lavoro”. Mentre lavoravo alla storia, infatti, avevo ricevuto una chiamata dalla segretaria di Krause: “Jerry è in linea per Lei. Attenda, prego”.

Che strano, ho pensato. Che fosse lui a chiamare me. Krause aveva un tono molto amichevole. Gli serviva un favore. “Potrei cambiare ‘viveva per strada’ con ‘non allenava’, per favore?”.

Beh, io avevo terminato gli studi di giornalismo tre anni prima, e conoscevo tutte le regole. Lo “off the record” non si applica retroattivamente, deve essere dichiarato prima. Ma d’altro canto, ho pensato: non sarebbe più utile sul lungo periodo poter annoverare il General Manager dei Bulls tra le mie fonti? Quindi ho detto a Krause che avrei effettuato la modifica a una condizione: doveva darmi il suo numero di cellulare.

Così ha fatto. Ma poi non l’ho mai usato. Quindi, alla fine, mi ha fregato…