Ci voleva tanto? Evidentemente sì, altrimenti i Boston Celtics non si sarebbero ritrovati a dover rimontare una situazione disperata come un 3 a 0 contro i Miami Heat. Il problema è che, sulla carta, la squadra attualmente in svantaggio partiva con tutti i favori del pronostico e, anche adesso, non ci sono troppi dubbi su quale sia l’organico migliore, in termini di talento individuale diffuso.
Il roster a disposizione di Joe Mazzulla è assemblato per arrivare fino in fondo, probabilmente si tratta del più profondo della Lega, ma ha faticato, e non poco, contro l’underdog e la sorpresa per eccellenza di questi Playoffs. E ne siamo felici, perché la pallacanestro giustamente non è una collezione di figurine da mettere in mano a un ragazzino per completare con gaudio l’album di fine anno, ma uno sport “complesso”, dove il coaching e la preparazione delle serie o delle gare influiscono tremendamente sulle prestazioni – o Erik Spoelstra e gli Heat non sarebbero qui.
Ebbene, però, queste due partite hanno dimostrato ampiamente che quel divario fra gli organici esista e, soprattutto, che il margine di 3 partite maturato da subito non rappresenti altro che il limite – mentale, e non – enorme di Boston da diversi anni a questa parte: la continuità.
Per Boston, da un momento all’altro sembra poter cambiare letteralmente tutto. Una parola, pesantuccia, che inizia per “t”, come i tre fattori che hanno svoltato le ultime due partite a favore dei Celtics:
- “T” come Tatum
Finalmente. Non era una serie semplice sulla carta per lui, dal momento che i Miami Heat avevano dimostrato più volte in stagione di poterne mettere in evidenza i suoi già palesi limiti palla in mano, situazione in cui ha compiuto passi da gigante, ma che non gestisce con abbastanza continuità.
Per fornire degli esempi, il trattamento riservatogli da Spoelstra consiste sempre nel porgli davanti una difesa intensa sulla palla, lasciando nelle vicinanze sempre un uomo capace di fare stunt qualora cerchi di trovare una linea di penetrazione, otturandogli il centro del campo. Questo è possibile sia con la difesa a uomo, che con la zona ibrida di Miami, la quale parte 2-3, stringendo la prima linea sul portatore, e facendo salire il terzo sul lato debole della seconda linea, eventualmente, sul passaggio in ala.
Se servisse una dimostrazione di quanto Tatum fatichi con gli stunt degli Heat:
Altra cosa che la difesa degli Heat fa molto bene, invece, è quella di mettere pressione con il lungo sul pick&roll. Se con Adebayo si accetta più volte il cambio o una drop alta, Zeller è stato usato molto più spesso facendo il classico “hedge”, uscendo cioè alto a mettere pressione sulla palla fino al rientro del compagno.
Questo ha messo in super difficoltà sia Tatum, sia i Celtics, non sempre capaci di gestire queste situazioni – nel primo caso, per difetti nel trattamento di palla, nel secondo per mancata prontezza nel ricucire la distanza con il portatore, concedendo una linea di sfogo.
Tutto questo è migliorato, e non poco, in Gara 4 e in Gara 5, quando si è dimostrato molto più pronto nel gestire determinate situazioni, generando sempre buoni tiri per i compagni. La sensazione è che, quando resta aggressivo e attacca dinamicamente, senza trovarsi a fare un palleggio di troppo, sia realmente inarrestabile e capace di generare vantaggio a piacimento. E questa non è una novità.
Tutta la differenza del mondo la fanno quelle situazioni in cui si trova meno a proprio agio, costretto a fermare il palleggio o ad andare in arretramento guardandosi intorno, teoricamente più basilari da gestire, ma più pressanti per un portatore non naturale.
Per il resto, difensivamente il salto consiste prevalentemente nell’effort impiegato. I Celtics hanno continuato a reagire con switch continui, anche contro Butler, lasciando semplicemente un uomo in più nei pressi della linea di penetrazione e mettendo molta più pressione sulla palla.
Sembra quasi che Boston abbia capito di non dover abboccare al “bluff” degli Heat nei quintetti senza tiratori affidabili, dedicando meno attenzione – sia a metà campo, sia in transizione – a profili come Zeller o Highsmith in Gara 5, quindi all’assignment di ciascuno, e molta di più a non concedere canestri facili a uomo battuto.
- “T” come transizione
La transizione – in generale, il ritmo alto – è, a livello di squadra, il vero fattore che per adesso sta tenendo a galla i Celtics. Possessi molto più rapidi, vantaggio creato nei primi secondi dell’azione e palla che si muove in fretta e con criterio. Essenziale, vista la discrepanza di profondità – e, di conseguenza, resistenza sui 48 minuti – dei due roster e le difficoltà di Boston di creare vantaggio palla in mano a difesa schierata.
In generale, guardando ai numeri, i miglioramenti sono stati evidenti sia attaccando a metà campo:
- Gara 1: 82.4% degli attacchi totali a metà campo, 52esimo percentile come produzione – molto contro la difesa schierata e scarsa produzione
- Gara 2: 87.5% degli attacchi totali a metà campo, 56esimo percentile come produzione – molto contro la difesa schierata e scarsa produzione
- Gara 3: 74.4% degli attacchi totali a metà campo, 3° percentile come produzione – meno contro la difesa schierata, ma produzione bassissima
- Gara 4: 76.8% degli attacchi totali a metà campo, 79esimo percentile come produzione – meno difesa schierata, discreta produzione
- Gara 5: 78.9% degli attacchi totali a metà campo, 91esimo percentile come produzione – meno difesa schierata, eccellente produzione
Sia nell’attacco in transizione, dopo un rimbalzo difensivo catturato o da palla rubata (di seguito i dati della somma delle due situazioni):
- Gara 1: 11.5% dei possessi in transizione, 88esimo percentile come produzione – bassa frequenza, che vanifica la buona produzione
- Gara 2: 7.3% dei possessi in transizione, 58esimo percentile come produzione – bassissima frequenza e produzione nella media
- Gara 3: 15.5% dei possessi in transizione, 4° percentile come produzione – discreta frequenza ma pessima produzione
- Gara 4: 22.0% dei possessi in transizione, 51esimo percentile come produzione – altissima frequenza, che alza il valore della produzione nella media
- Gara 5: 15.0% dei possessi in transizione, 68esimo percentile come produzione – discreta frequenza e buona produzione
Quelli sotto sono solo alcuni esempi, dal solo primo quarto di Gara 5, di quale sia stato il ritmo tenuto dai Celtics fin da inizio partita, aprendo in due la difesa di Miami sia nei primi secondi, sia dopo aver forzato un errore al tiro.
- “T” come tenuta
Tutto questo non sarebbe possibile senza una tenuta, mentale e fisica, di altissimo livello. Guardando da fuori ci concentriamo molto spesso sull’esecuzione, sull’impostazione dell’azione e, personalmente parlando, sulle cifre prodotte, senza pensare abbastanza al genere di sforzo a cui ci si trova davanti.
Sotto 3 a 0, fuori casa, i Celtics hanno tirato fuori la loro miglior partita non tanto per aver variato chissà cosa in termini di assetto tattico, ma per pura capacità di esecuzione, elemento non scontato per una squadra con il morale sotto ai piedi, fuori casa e con le spalle al muro. Allo stesso modo, Gara 5 è stata clamorosa fin dal primo momento, sia come approccio, sia come conversione.
Derrick White è stato autore di un primo quarto stellare, assieme al solito Tatum, affiancato dalle ottime prestazioni sia di Jaylen Brown, fenomenale in termini di shot making nella metà campo offensiva, sia di Marcus Smart, influente su entrambe le metà campo – e che ha suonato la carica sin dal primo possesso.
I 4 sopra hanno prodotto 89 dei 110 punti di squadra, animando dei Boston Celtics che hanno messo in campo un’energia che, in teoria, non si addice a una squadra sotto 3 a 1 e che ha toccato anche le tre vittorie di svantaggio giusto qualche giorno prima.
Questo non significa che meritino di vincere la serie (gli errori nelle prime tre ricadono tutti su di loro) o che sarà lo stesso anche in Gara 6, alla quale gli Heat arriveranno con un certo senso di urgenza, tutt’altro che intenzionati a tornare al TD Garden per una Gara 7 con il momentum totalmente rovesciato. Semplicemente, queste due gare sono la testimonianza di quanto grandi debbano essere i rimpianti per un’eventuale uscita, o di quanto ampie siano le possibilità da parte di questo organico di dominare la competizione, se ci fosse continuità.