E non c’è nulla di male ad ammetterlo.

FOTO: ESPN

fallire
fal|lì|re
v.intr. e tr.
av. 1294; lat. fallĕre con cambio di coniug.

  1. v.intr. (avere o essere) di qcn., non riuscire in qcs., non avere successo: ha fallito nell’obiettivo, fallire in un’impresa, in un tentativo
– Dizionario De Mauro

Sì, i Milwaukee Bucks hanno decisamente fallito. E la parola è chiara, non potrebbe esserlo più di così, tanto che ne basta il suo significato più comune. E c’è di più, non c’è nemmeno nulla di male nell’ammettere il fallimento, anzi, è parte integrante di un processo e può, deve risultare formativo.

Giannis Antetokounmpo ha chiarito il proprio punto di vista (per intero QUI):


“Non ci sono fallimenti nello sport, ci sono giornate buone e giornate cattive, giorni in cui puoi avere successo e altri no, a volte è il tuo turno, altre no. E questo è lo sport, non puoi sempre vincere, a volte vinceranno gli altri. Torneremo il prossimo anno, cercando di giocare meglio, avere un comportamento migliore, nella speranza di vincere il titolo.”

Non si tratta di essere cinici, anche perché sfido chiunque a non comprendere la rabbia e la frustrazione di Giannis nel ritrovarsi di fronte a una domanda simile, seppur legittima, con i nervi a fior di pelle. Il punto è che il fallimento non va osservato come un tabù, come un attacco ad personam o uno strumento atto a screditare un risultato, bensì come una parte integrante dello sport.

Non è che non ci sono fallimenti nello sport, lo sport intero è fatto di fallimenti.

E ciascuno di essi è relativo all’obiettivo che viene imposto in partenza – in questo caso, il titolo, le Finals o quantomeno non un’uscita con una squadra limitata uscita per il rotto della cuffia dal Play-In. Semplice. Se i Bucks fossero usciti alle finali di Conference con i Philadelphia 76ers o (soprattutto) i Boston Celtics, due contender ben organizzate, con lo stesso obiettivo, non ci sarebbe stato troppo da aggiungere: armi pari, esito aleatorio, non tutti possono vincere.

Non è un supporto al risultatismo riconoscere il fallimento, anzi, come dice anche Giannis – bene, in questo caso – ogni anno è un passo in più verso il successivo, uno step verso un nuovo obiettivo. Non è una questione di “vinci o muori”, bensì di assegnare a ciascuna squadra una determinata meta e tirare le somme a fine stagione. L’obiettivo deve essere proporzionale alle risorse a disposizione.

Per fare un esempio, l’eliminazione contro Boston dello scorso anno senza Middleton non è stata un fallimento. Più attuale, se i Sacramento Kings dovessero uscire contro i Golden State Warriors, nessuno ne farebbe una questione di stato, essendo andati già ben oltre l’obiettivo stagionale, prendere parte ai Playoffs. Casomai sono i secondi ad avere più urgenza, visto il payroll.

E se di payroll dobbiamo parlare, un indice utile per valutare il fallimento dei Milwaukee Bucks parte proprio da qui: terzo roster più pagato in NBA nel 2022/23, $79.3 milioni da spendere di luxury tax. Solitamente un mercato come questo non si trova a corteggiare determinate cifre se non nel bel mezzo della propria finestra vincente, e non ci sono dubbi che questa sia stata spalancata.

Spotrac / Milwaukee Bucks, salary cap table

Non è stato il fallimento di Giannis Antetokounmpo, di Mike Budenholzer – che hanno comunque le rispettive responsabilità – o di chi volete voi. Si parla di un fallimento per i Milwaukee Bucks, e questo in NBA ha un peso, anche perché ci sono questioni che vanno ben oltre il campo.

Ci sarà da decidere cosa fare con Khris Middleton (un approfondimento QUI), Brook Lopez sarà free agent in estate, così come Joe Ingles o il Jae Crowder arrivato alla trade deadline – dal peso minore. Tutti soldi da spendere o da sostituire, su cui ci sarebbe stato meno da riflettere se l’obiettivo stagionale fosse stato soddisfatto a pieno, mentre adesso sarà tutto diverso. Non dobbiamo stare certo fare salti mortali per spiegare cosa significhi per un ambiente smantellare tutto di fretta dopo una sconfitta, basterà citofonare ai Brooklyn Nets, che proprio dai Bucks sono stati eliminati nel 2021. Addirittura quasi superando il turno nonostante gli infortuni di Kyrie Irving e James Harden, eppure tanto è bastato.

Non ha senso nascondere la polvere sotto il tappeto, ai Bucks serve solo metabolizzare il fatto di essere stati superati sul campo, ripartendo dagli errori per correggerli. Ignorando il problema si rischia solo il panic mode alla prima difficoltà, e non è quello che serve a uno small market, non tutte le franchigie possono riprendersi come a New York o Los Angeles.

I Milwaukee Bucks hanno un roster solido, il quale ha giocato tre partite senza il proprio miglior giocatore e le due successive in cui è stato surclassato dall’incapacità di adattarsi – scegliete voi quale sia il focus tra il (non) trovare risposta alla mole di corpi in difesa del pitturato di Miami, l’uso di Adebayo come portatore e lontano dal ferro (un approfondimento QUI), gli empty side pick&roll fra piccoli e così via. Se il primo fattore è incidentale, l’altro rappresenta il vero fallimento, il punto di riferimento da cui imparare.

Questo Antetokounmpo lo sa, lo deve sapere, perché non si tratta di competizioni come i 3-contro-3 al campetto o il campionato UISP. Ci sono fondi milionari impiegati, materiale umano, energie fisiche e mentali in ballo, tutte questioni che hanno a che fare con quello che è l’NBA e, di conseguenza, con lo sport. I Milwaukee Bucks, al netto di questo, hanno fallito.

Starà a loro decidere come approcciarsi alla questione.