Dopo tanti momenti bui, sotto la guida di Mat Ishbia la città e la squadra sono pronte per compiere il grande passo.

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Questo contenuto è tratto da un articolo di Brendon Kleen per Bright Side of the Sun (via SB Nation), tradotto in italiano da Alessandro Di Marzo per Around the Game.


 

Verso la fine della guerra civile americana, dopo l’arrivo di nativi, mormoni e immigrati messicani, un cercatore di nome Jack Swilling viaggiò dalle Culture Mountains dell’Arizona fino alla Salt River Valley, e a ciò che oggi è la città di Phoenix.


La storia del posto è caratterizzata da fertili suoli e un clima temperato: tutto ciò che mancava era l’acqua. Swilling fondò dunque un’impresa vicino ai canali e ai sistemi agricoli che avrebbero reso la città davvero vivibile. Inizialmente la città doveva avere il nome di un generale americano, ma un collega la volle più “eterea”: “Una nuova città nascerà come una fenice dalle rovine della passata civilizzazione”, disse.

La popolazione quadruplicò nel corso degli anni ’50 grazie al progresso militare, produttivo e agricolo. Il lavoro fioriva, così come la tecnologia che permetteva agli abitanti di sopravvivere alle brutali estati in modo più sicuro. Fu inaugurato anche un nuovo aeroporto, e magnati come le famiglie McCormick e Wrigley comprarono grandi porzioni di terreni nelle periferie per trascorrerci l’inverno.

Non troppo tempo dopo, un assistente dei Chicago Bulls, conosciuto per essere un grande lavoratore, venne assunto per diventare il primo General Manager dei neonati Phoenix Suns, prima squadra professionistica della città. Il suo nome era Jerry Colangelo, e sarebbe finito per comprare l’intera franchigia nel 1987. Guidò la squadra a un grande successo negli anni ’90, che culminò con l’arrivo di Charles Barkley nel 1992 via trade e le NBA Finals contro Chicago. Una serie da cui uscirono sconfitti, ma ciò non tolse la voglia di festeggiare ai loro tifosi: furono infatti più di 300mila le persone che si fecero trovare in strada per ringraziare i Suns al ritorno dei giocatori in città.

Nel luglio 2004, Colangelo fece ritornare Steve Nash in Arizona dopo averlo scelto al Draft 1996 e averlo visto successivamente crescere a Dallas. Gli mise accanto a un nuovo allenatore: Mike D’Antoni. Dopo queste firme, però, la sua era finì: cedette la franchigia a un gruppo capitanato da un banchiere di San Diego, di nome Robert Sarver

Per anni, a Phoenix, il nome Sarver fu sinonimo di “economico”. Dal 2005 al 2010, gli anni del prime di Nash, Sarver si sbarazzò di diversi talenti guidato dall’alleggerimento del salary cap: ad esempio, si lasciò scappare Joe Johnson e Shaquille O’Neal per risparmiare in totale 6 o 7 milioni. Sarver era più di ciò per cui viene ricordato (non certo in modo positivo) oggi: era anche allergico alle spese.

Nel 2004, la popolazione della città era di nuovo raddoppiata dall’arrivo di Colangelo, e il bacino d’utenza continuvava ad allargarsi, facendo emergere i Suns sempre di più come la franchigia di un mercato prolifero. Nonostante ciò, Sarver si rifiutava di muoversi come un big market. Un posto vicino a Las Vegas e Los Angeles, un pubblico molto affezionato, tasse agevoli e terre edificabili a non finire… ma non bastava.

Raja Bell, storica ala Suns, raccontò che Sarver andò a cena con lui e Steve Kerr, allora GM, per discutere di un nuovo contratto… ma Sarver disse subito che non avrebbero mai trovato un accordo, quella sera. “Vuoi sapere perché?”, gli chiese. “Perché non ne ho bisogno.”

Dopo la trade di Goran Dragic nel 2015, invece, la guardia slovena fu intervistata e spiegò che il proprietario aveva festeggiato la mancata convocazione all’All-Star Game di quell’anno: se avesse partecipato, gli avrebbe dovuto pagare $1M di bonus…

Ma da febbraio 2023 la musica è cambiata. Dopo l’acquisto della franchigia da parte di Mat Ishbia, numero uno del colosso dei prestiti ipotecari United Wholesale Mortgage, l’aggressività sul mercato è stata senza precedenti: subito Kevin Durant, poi Bradley Beal in estate e tanti, tanti soldi che verranno spesi per il nuovo nucleo, soprattutto considerando il nuovo CBA. Solo con questi due, in aggiunta a Devin Booker, i Suns pagheranno (almeno) $560M di stipendi nei prossimi 4 anni. Una cifra più alta di quella che è servita a Sarver per acquistare i Suns nel 2004, a cui aggiungere Deandre Ayton e tutto il roster.

Gli insider NBA sapevano che questi cambiamenti erano dietro l’angolo. Dopo l’8-0 nella bolla di Orlando nel 2020, Brian Windhorst (ESPN) chiamò l’organizzazione “un gigante dormiente”, spiegando che, durante l’era-Colangelo, “le persone amavano essere a Phoenix, e la città ha tanti vantaggi”. L’unico punto debole, appunto, era la proprietà, che stava scalfendo questi benefici.

Quando Ishbia è arrivato, per risvegliare il gigante, non ha sbagliato: “Qui trovo una città da sogno, un’opportunità da sogno, un’organizzazione da sogno”, ha detto nella sua prima conferenza stampa. “E anche tra me e me, non avrei mai creduto che tutto questo fosse possibile.”

Nonostante un’altro, estenuante uscita ai Playoffs al secondo turno, il prossimo anno Phoenix sarà ancora più preparata e talentuosa. Durant ci sarà da inizio stagione, ed è arrivato anche Beal al posto di Chris Paul. Dopo l’arrivo di BB, i Suns hanno dovuto riempire i buchi mancanti con contratti al minimo salariale: avevano le mani legate, ma ne sono usciti benissimo.

Sono arrivati: un veterano di esperienza e talento, e ancora affidabile in contesto Playoffs, come Eric Gordon; il tiratore Yuta Watanabe, che ha avuto ottime percentuali in stagione ed è già stato compagno di KD a Brooklyn; role player interessanti e funzionali come Keita Bates-Diop (contratto di due anni) e Drew Eubanks. Una serie di nomi interessanti, insomma, “rubati” a mercati che negli ultimi anni erano considerati più attraenti, come Los Angeles o San Francisco.

In concomitanza con la fine dell’era Nash-D’Antoni, la citta era caduta nel buio per diverso tempo. Per quattro anni consecutivi, il valore delle case è diminuito nel corso della grande recessione, le azioni di Western Alliance Bancorporation (di proprietà di Sarver) sono crollate da 39 a 3 dollari, e una generale crisi ha investito ogni settore economico e finanziario dell’Arizona. Oggi, però, c’è un nuovo inizio per The Valley.

Il caldo è sempre molto forte e la siccità sta impattando, ma lo sviluppo continua: negli ultimi anni, in tanti privati dalla California e dal Texas ha iniziato a muovere verso Phoenix, in cerca di qualcosa di nuovo e di più economico. E ora la città programma di accogliere un altro milione di residenti, e di pari passo nuovi investimenti e capitali.

Tornando all’NBA, anche i Suns sono sprofondati insieme a Phoenix e insieme a Saver, ma ora l’opportunità è davanti ai nostri occhi, con Ishbia alla guida delle operazioni. “Ishbia vuole rendere i Suns e le Mercury franchigie di primo livello nel mondo dello sport”, aveva spiegato il nuovo CEO, Josh Bartelstein. “Il suo desiderio è trasformare Phoenix nella più grande città cestistica in America.”

Dalle parole, ai fatti. In soli quattro mesi, Ishbia non solo ha cambiato e migliorato il roster, ma ha anche assunto un nuovo coaching staff, promesso una squadra in G League, iniziato una battaglia legale per espandere gli ascolti TV e pianificato di investire ingentemente nell’arena. Con lui, Phoenix sta davvero rinascendo.