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Questo contenuto è tratto da un articolo di Aaron Dodson per Andscape, tradotto in italiano da Marco Marchese per Around the Game.


 

Sono in molti a conoscere svariate storie o aneddoti legati a Michael Jordan, la cui la maggior parte, quasi inevitabilmente, si aggira attorno alle sneakers. Si tratta di una cosa appresa negli anni, seguendo anche il Brand Jordan, proprietà dell’uomo che ha cambiato il mondo del basket e delle sue scarpe. Infatti, a parer di molti, Jordan è una delle figure di riferimento nel mondo dello sport ed in particolare delle scarpe sportive.


Tornando al 1984, un giovane afroamericano si apprestava a firmare un contratto per quello che allora era ancora un brand sportivo in fase di crescita. La Nike, d’altro canto, aveva deciso di andare all-in su MJ, con l’obiettivo di ricavare almeno $3 milioni in quattro anni dalla messa in vendita delle sue scarpe.

Solo nel solo anno da rookie, la Nike ha guadagnato $126 milioni dal primo paio di scarpe disegnato e messo a punto su Michael Jordan. Circa quarant’anni dopo, Jordan ha collezionato 37 signature shoes a nome suo, più di ogni altro atleta. E, stando ad ultime ricerche statistiche, gli originali $3 milioni in quattro anni offerti al momento della firma, oggi vengono fatturati in appena quattro ore!

Curiosamente, Jordan ha compiuto 60 anni in un anno che termina con il “23”. “Non ho mai rivolto a Jordan una singola domanda circa le sue signature shoes. Ne ho sempre parlato con le persone che lo hanno circondato: executive, allenatori, membri dello staff, compagni di squadra. Tutti conoscono almeno una storia o un aneddoto legati alle sue scarpe. 

Ecco la collezione delle 23 migliori storie udite su Jordan, il suo brand e le sue sneakers.

L’hamburger prima di andare in campo

  • Raccontata da Howard White, vice presidente del Jordan Brand

“Uno degli avvocati mi propose un pranzo, volendomi portare all’Helvetia Tavern, famosa per le dimensioni dei suoi hamburger, promettendomi che saremmo arrivati in tempo.”

“Neanche a dirlo, non siamo riusciti ad arrivare in tempo. MJ e la famiglia erano lì. Sono sicuro che avranno chiesto aiuto a Dio perché Michael non voleva neppure esserci. David Falk voleva che firmasse per la Nike, ma Jordan preferiva che al meeting ci andasse qualcun altro al posto suo. Alla fine, dopo aver chiesto a Mamma Jordan ho saputo che Michael ci sarebbe stato, con tutta la famiglia al seguito.”

“MJ era un uomo Adidas. La adorava, anche se al College vestiva spesso le Converse. Gli davano indumenti e lui adorava indossarli. Perciò si accingeva a firmare per un brand, la Nike, con cui non avrebbe voluto. Ma ci siamo seduti attorno a un tavolo e abbiamo trovato l’accordo. Mi ricordo del video con i Pointer Sisters, la canzone Jump. C’erano le sue schiacciate ed altri trick. Penso che lo stimolasse. Ma MJ ha sempre avuto la sua poker face… perciò, perché la Nike avrebbe dovuto volere un ragazzino quasi sconosciuto?  Sono stati Sonny Vacarro, Rob Strasser, Peter Moore e Phil Knight ad avere occhio lungo e fiducia in Michael. E oggi siamo dove siamo. A volte bisogna solo aver fiducia.”

“La gente ha bisogno di qualcosa in cui credere. Per me, MJ è stata una di queste, con i suoi principi, la sua etica, il lavoro e credo. Per la gente è facile da amare. Penso che ciò che abbiamo fatto con il brand Jordan è stato sintetizzare Michael e metterlo in commercio.”

Le OG Chicago 1s

  • Raccontata da Mark Bostic,ex giocatore di baseball alla University of San Diego (1983-86) e collezionatore di Air Jordan noto come @JumpmanBostic.

“I miei ricordi su Michael mi riportano al 1985. Ero alla University of San Diego quando MJ ha lasciato UNC per i Chicago Bulls. Siamo coetanei, nati lo stesso anno e lo stesso mese. A quei tempi il College di San Diego era sponsorizzato da Adidas, perciò dovevamo indossare vestiti e accessori in campo. Ma ancora ricordo quando ho visto per la prima volta le Chicago 1s. Costavano $65, ma non m’importava, dovevo averle. E le indossavo ogni volta che potevo da lì in poi. Non potevo aspettare di terminare il College per poter indossare le mie Air Jordan 1s, che tra l’altro ho ancora nella mia collezione ed indosso ogni anno, solo per non farle irrigidire troppo. Non mi libererò mai di quelle scarpe.”

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Le Skechers

  • Raccontata da Jasmine Jordan, figlia maggiore di Michael Jordan

“Da piccola andavo pazza per le Skechers, che in casa mia non erano per niente Ok, per dirla breve. Imploravo mio padre per poter comprare un paio di Skechers o di scarpe con le ruote. Magari me lo concedeva per un giorno, dopodiché sarebbero finite nel cestino della spazzatura. Non aveva importanza di che tipo o marca fossero. Chiunque fosse in casa doveva indossare le Jordan, altre scarpe sarebbero finite nel cestino l’indomani.”

Lo Slam Conestest in White Cement 3s

  • Raccontata da Jo Jo Fisher, ex giocatore della University of North Carolina (1988-1992) prima di giocare 50 partite con i Chicago Bulls (1992-1994)

“A volte chiedo ai miei ragazzi, scherzando, se sappiano chi sono le uniche due persone ad aver messo Michael Jordan in condizione di schiacciare dalla linea dei tiri liberi. Le risposte sono, ovviamente, Dominique Wilkins in occasione dell’All-Star Game di Chicago.. e poi ci sono io. La vicenda è accaduta nel maggio del 1988, avevo appena 18 anni. Avevo vinto il South Carolina high school dunk contest nel mio anno da junior. Coach George Glymph, che ci ha lasciati nel 2021, ne ha organizzato un altro nel mio anno da senior. Aveva sentito parlare di Jordan dai tempi del Five Star Basketball camp. Il Carolina Coliseum era gremito da 12 mila spettatori, anche perché il biglietto costava appena $3.”

“Non avrei potuto ufficialmente prender parte alla competizione, poiché avevo già firmato per la University of South Carolina, ma coach Glymph mi disse che avrei partecipato ad un breve dunk contest con MJ. Ero molto eccitato, dato che ai piedi avevo le mie Fire Red 3s, pantaloncini e casacca dei Bulls. Jordan al suo arrivo indossava delle scarpe normali, dato l’evento inatteso sul suo calendario. Si fece prestare allora delle White Cement 3s da un ragazzino, di nome Terry Baker che indossava la sua stessa taglia.”

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“Ero nervosissimo quando mi disse di iniziare per primo e che mi avrebbe seguito subito dopo, poiché avremmo fatto 2-3 slam dunk ciascuno. Ho iniziato con la kiss-the-rim dunk e subito dopo anche lui. Poi mi sono esibito in una rock-the-cradle e, neanche a dirlo, anche MJ giù di rock-the-cradle. Ho messo una schiacciata di spalle, ed anche lui lo ha fatto subito dopo. Allora gli dissi di andare per primo, e lui ha deciso di andare a schiacciare dalla linea dei liberi. E voleva anche proseguire, data la grande reazione del pubblico alla schiacciata. Mi chiese di andare avanti con la prossima e io gli risposi esattamente che per me andava bene così, stavo vivendo la storia e non avevo alcuna intenzione di fare casini.”

“Era un antipasto di ciò che avrei vissuto quattro anni dopo in occasione del rookie free agent camp coi Chicago Bulls. All’inizio eravamo 40 ragazzi, di cui soltanto 6, me compreso, arrivati fino al veteran camp. Jordan si ricordava di me ma rifiutava di chiamarmi per nome, perciò aveva deciso di chiamarmi South Carolina.”

Il Poster “Wings”

  • Raccontata da Gary Nolton, il fotografo del poster Nike “Wings” del 1989

“Quello shooting era il mio primo lavoro con Michael Jordan. Ai tempi lui era alla sua quarta stagione in NBA, poco prima che il Brand Air Jordan prendesse effettivamente quota. Venne nel mio studio di Chinatown a Portland. Quella volta ho usato la mia fotocamera per servizi large format, che dovrebbe essere anche più grande del 35 millimetri e del format medio. Di solito non si utilizza per foto a persone, ancor meno per foto sportive. Equivale alla vecchia scuola della telecamera nascosta sotto un telo, fatte per scorci e panorami.”

“Michael teneva il pallone tranquillamente con una sola mano, ma abbiamo fatto in modo di sistemarla affinché dovesse solo stendere il braccio, non doveva nemmeno toccare il pallone. E non appena è arrivato abbiamo subito saputo quale fosse la posa per la foto. Non abbiamo impiegato più di un’ora tra lo shooting in sé e per sé, trucco, prove e costumi. Aveva indosso la sua casacca e credo un paio di pantaloncini da ginnastica, ma non quelli da gioco. Non ricordo neanche se avesse delle sneakers ai piedi, per quel che ne so poteva anche indossare dei sandali. L’obiettivo dello shooting non era la produttività ma far conoscere il brand rappresentato da questo atleta eccezionale.”

“Nei primi anni 2000 gli uomini di Jordan mi hanno chiamato per il poster. Aveva un golf course ad Aurora, Illinois, e voleva il Wings poster, ma grande, in stile 7 metri e mezzo. Ed io ho accolto la richiesta e mi sono messo a lavoro , anche perché Jordan aveva investito parecchio su quel progetto. Gran parte del prezzo è stato coperto dalla spedizione, per via delle dimensioni e della spedizione straordinaria che richiedevano. Se non ricordo male, solo quella si aggirava attorno ai $15.000.” 

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Mike – Non Mike

  • Raccontata da Jo Jo English.

“Un giorno mi serviva un paio di scarpe da basket. M stavo preparando per andare al negozio e prenderne un paio. Ad un tratto ho visto MJ che stava osservando le mie vecchie scarpe e, rivolgendosi a me, disse: ‘Quelle scarpe dovrebbero cambiare la N in M, per suonare simile a Mike’ (il nome del Brand reso simile all’abbreviativo di Michael, ndr). Poi mi ha chiesto quale fosse la mia taglia di scarpe, ed infine è sparito uscendo dalla porta degli spogliatoi. L’indomani, quando sono arrivato al mio armadietto, ho trovato ben quattro scatole con quattro paia diverse di Air Jordan.”

Il Maggiolino Volkswagen 1966

  • Raccontata da Jim Riswold, ex copywriter Wieden + Kennedy, a lavoro per le campagne pubblicitarie Air Jordan e Mars Blackmon.

“Era un sabato ed avevamo un meeting per il lancio di alcuni script al quartier generale della Nike. In quel periodo guidavo un Maggiolino Volkswagen blu del 1966. Durante il meeting è saltato fuori Howard White dicendo che Jordan volesse giocare a golf con me una volta terminato il lavoro. E ovviamente accettai volentieri.”

“Alla fine del meeting, Michael voleva giocare a golf e, dirigendosi verso la mia automobile, fece andare su tutte le furie Tinker e Phil Knight. Chiunque era pronto ad offrirgli le chiavi di una Ferrari o altre auto di lusso, ma lui si dirigeva verso il mio Maggiolino. Il campo da golf non era molto distante ed MJ se ne uscì dicendo che un suo compagno del College ne aveva uno identico e che quindi se la sarebbe cavata alla grande. Era una bellissima mattina soleggiata, Jordan alla guida di un Maggiolino blu col gomito fuori dal finestrino e la gente sbalordita nel vederlo per strada: ‘That’s Michael Jordan!'”

“Abbiamo giocato a golf fino al tramonto. In quel periodo rimaneva sempre nello stesso albergo di Portland. Eravamo nei primi anni 90′, un’era senza i social media ma in cui chiunque conosceva Michael Jordan. E proprio per questo al nostro ritorno c’era una folla ad attenderci all’hotel; prima arrivò una Porsche e tutti s’infiammarono, credendo fosse Michael. Poi il mio Volkswagen, MJ che scende da esso e nessuno che lo nota.”

“Ho venduto quell’automobile ad un amico l’anno scorso. Michael aveva firmato uno dei sedili quella mattina. Ho tenuto quell’auto soltanto perché era rimasta nel garage di mia madre a Seattle, ma quando ho controllato la firma era già sbiadita a causa dei lavaggi. Perciò, a essere onesto: una volta avevo un Volkswagen blu firmato da Michael Jordan. Pochi possono raccontare di meglio.”

La famosa frase (non detta) nel testo dello spot

  • Raccontata da Jim Riswold.

“Avevamo appena finito le riprese per il primo spot di Michael Jordan sul baseball, con Bill Buckner, Stan Musial, Willie Mays e Ken Griffey Jr. Dopo una settimana che andava in trasmissione, ci siamo ritrovati per un meeting e di colpo è saltato fuori che Michael sarebbe tornato a giocare a basket. Tutti hanno pensato: ‘Grazie a Dio!’.”

“Quindi ho ideato uno spot in cui facevo in modo che il fatto che MJ avesse giocato a baseball fosse solo un brutto sogno. Ho scritto il testo pensando alle parole ‘Me ne sono andato dal gioco che amo per abbracciare una carriera di livello medio-basso ed un braccio anche peggiore’. Ho presentato lo spot al Nike Commercial Group e loro mi hanno chiesto come pensassi che Michael avrebbe reagito a quello spot, dato che gli avrebbero sottoposto l’idea alla fine del meeting. E così fu: mi passarono Michael in vivavoce mentre leggevo lo script, al quale Jordan rispose con un sonoro ‘What the f**k?’, lamentandosi del fatto che lo avessi apostrofato come uno dal braccio di scarso livello. Gli risposi che non avevo altro modo per definire un atleta con 0.202 di media. Lui ha riattaccato immediatamente, ma abbiamo girato lo spot neanche una settimana dopo, giusto l’indomani del suo ritorno in NBA con un 7 su 28 dal campo. Poi ha messo un doble-nickel contro i Knicks.”

La versione originale non fu inserita nello spot definitivo: in quella iniziale, Spike Lee avrebbe dovuto dire ‘Ho fatto un brutto sogno. Ho sognato che Money si sarebbe ritirato per poi diventare un giocatore di baseball con problemi con le palle curve’.”

Le “Chicago” Air Jordan 10s

  • Raccontata da Jo Jo English.

“Ho indossato un paio di Jordan in campo, una volta: quelle che indossò Scottie Pippen per invitare MJ a tornare a giocare per i Bulls. Un giorno ero nello spogliatoio del Berto Center (il vecchio centro d’allenamento dei Bulls) e ho notato che tutti avevamo a disposizione un paio di sneakers, quindi le ho indossate senza pensarci troppo. Ho indossato QUEL paio di scarpe per le prime cinque partite di Regular Season (1993-94). Dopodiché, mentre mi stavo preparando per una partita, vedo Jordan seduto sul tavolino. Mi ha guardato con aria a metà tra il serio e lo scherzoso, chiedendomi chi mi avesse dato il permesso di indossare le sue scarpe. Fui perdonato, ma mi ha detto che, da quel momento in poi, avrei dovuto chiedere a lui. A essere sincero, in quel periodo in pochi usavano le Jordan. Pippen le utilizzò solo per stuzzicarlo e farlo tornare in NBA. Io le ho usate, ma non era previsto..”

Le Concord 11s

  • Raccontata da Marvin Barias, storico collezionista di Air Jordan noto come @mjo23dan.

“Stavo guardando la partita e ricordo che mi rimasero impresse come le scarpe più pulite che avessi mai visto. L’indomani la gente ne parlava a scuola: alcuni lo hanno trovato orrendo, io non riuscivo a non pensare a quando avrei potuto avere il mio paio. Ho cercato per tutta San Diego prima di riuscire a trovarle e ricordo che le ho tenute in mano per tutto il viaggio di ritorno in macchina, arrivando persino a dormire abbracciandole. Può sembrare strano, lo so, ma avevo 15 anni ed era il mio primo paio di Air Jordan. Volevo assolutamente tenerle pulite ma non avevo idea di come farlo: le ho messe in lavatrice con un sacco di candeggina rendendo le suole gialle. C’era un mio amico molto interessato a quelle scarpe, che devo dire erano molto belle con il tocco di candeggina, e le ho vendute per 50 dollari. Il mio amico non mi chiese la scatola, che conservo ancora intatta.”

La notte in cui MJ non indossava Air Jordan

  • Raccontata da Penny Hardaway, point guard ex Orlando Magic, 4 volte All-Star e atleta rifornito dalla Nike.

“Si tratta di Michael Jordan, la persona di riferimento in NBA. Ovviamente non me ne ha chiesto un paio, ma ha chiamato la Nike definendo le mie scarpe ‘The kid’s shoes’. Quando ne sono entrato a conoscenza ho pensato solo che Jordan volesse il mio paio di scarpe.”

NOTA: le originali Nike Air Flight One del 1995 avevano un logo sul tallone che raffigurava lo “1 Cent” logo di Penny Hardaway. La sera che Jordan le ha indossate non avevano quel logo sul tallone.

“Non avevo notato che la prima sera Jordan aveva tolto il logo ‘1 Cent’. Ho visto le foto di quella serata, ma non ci avevo fatto caso all’inizio. Probabilmente ha scelto di toglierlo.”

Il primo atleta ad unirsi al Team Jordan

  • Raccontata da Ray Allen, shooting guard 2 volte vincitore del titolo NBA ed Hall of Famer NBA.

“La prima volta che ho incontrato Jordan è stata quando ci siamo affrontati il 15 ottobre 1996 e per me era la seconda partita in NBA. Vederlo dal vivo era qualcosa di surreale per me e mi sentivo intimidito dalla sua presenza, perché non avrei mai davvero creduto di poter essere lì con lui, nel suo momento. Pensavo che il mio posto fosse dall’altro lato, seduto a fare il tifo per lui. E posso dire che questa frase è il riassunto della mia carriera cestistica. Continuavo a chiedermi se dovessi stopparlo, marcarlo o sfidarlo, poiché sapevo che fine avesse fatto chiunque lo abbia sfidato in precedenza. E a quei tempi ero un ragazzo che pensava costantemente di non essere a quel livello.”

“Ho iniziato la partita concedendogli un po’ di spazio e ad un certo punto Jordan si è fermato a dirmi: ‘Hey, che succede Ray? Benvenuto in NBA!’. Quasi non credevo al fatto che Michael Jordan sapesse il mio nome.”

“Sono stato il primo atleta nella lega ad indossare le Air Jordan. Stavo quasi per firmare con la Fila, ma dentro al cuore speravo nella Nike. In quel periodo Nike stava mettendo a punto il Brand Jordan con una nuova linea e mi ha voluto come parte integrante. Entrare nel Team Jordan è stata una delle scelte migliori che abbia mai fatto.”

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Il meeting

  • Raccontata da Derek Anderson, ex guardia NBA e membro del Team Jordan.

“Ero stato invitato al Nike campus ma non avevo idea di chi avrei potuto incontrare andandoci. In origine pensavo fosse un meeting della Nike e basta. Arrivato al campus mi hanno accolto e condotto alla mia stanza: lì c’era Michael Jordan che, chiamandomi per nome, mi chiese come stavo. Ovviamente la prima cosa che ho notato era che MJ ricordasse il mio nome. Dentro stavo esplodendo dall’emozione, ma ho cercato di rimanere composto mostrando rispetto. Mi si è seduto accanto dicendomi che mi volevo all’interno del Team Jordan. E ovviamente ho risposto che ne sarei stato onorato.”

Il lunch party del Brand Jordan

  • Raccontata da Kenny Lattimore, cantante e scrittore di canzoni R&B, nominato ai Grammy.

“Un giorno ricevo una chiamata urgente: dovevo recarmi a New York per il lancio delle nuove Air Jordan, poiché Michael Jordan mi voleva per cantare in serata. Dissi subito di sì, ma avevo bisogno del mio produttore, Barry Eastmond, perché volevo dare il meglio dato che avrei cantato in una serata gestita da MJ. Quella era la prima volta in cui l’ho incontrato in vita mia: sprigionava un’energia incredibile ma, allo stesso tempo, si muoveva con un’eleganza innata. La sua espressione sul mio lavoro era entusiasta, un po’ come la mia, causata dal fatto di aver conosciuto Michael Jordan.”

Il gioco H-O-R-S-E

  • Raccontata da Michael Finley, due volte All-Star NBA e membro del Team Jordan.

“Ho avuto una chance di giocare contro Michael Jordan quando ero alla high school, poiché una TV locale di Chicago aveva creato questo evento. In quel periodo la mia squadra alla high school era una delle attrazioni più rinomate di Chicago, proprio come i Bulls. Quindi la TV aveva pensato che sarebbe stato giusto far sfidare due esponenti di quelle squadre, come nel gioco H-O-R-S-E. Mi chiesero se volessi partecipare e ovviamente non attendevo altro.”

“Ci siamo recati al campo di allenamenti dei Bulls. Nessuno lo sa ma, quando sono arrivato, Jerry Krause mi disse che non avrebbero voluto rischiare un infortunio ad MJ solo per fargli sfidare un ragazzino. Stavano per avere inizio i Playoffs e Krause era fisso sul ‘No’ categorico, ma alla fine Jordan è saltato fuori dicendo: ‘Il ragazzo ha meritato di arrivare fin qui, andiamo a giocare un po’.'”

“Abbiamo iniziato a giocare divertirci. All’inizio ero nervoso e teso come una corda di violino, dato che stavo sfidando il mio idolo e modello di riferimento. Decisamente è stato l’avverarsi di un sogno. Entrambi indossavamo le Air Jordan 6s: me lo ricordo perché le ho indossate durante la competizione statale nel 1991, mentre lui le ha indossate durante i Playoffs.”

“Dico solo che alla fine Michael ha vinto. Questa è la mia risposta definitiva di una storia che porterò per sempre con me, fino alla tomba.”

Pulizie di primavera al Forum

  • Raccontata da Eddie Jones, tre volte All-Star NBA che ha avuto due scarpe dal Brand Jordan: Jumpman Quick 6 (1999) e Jumpman Swift 6 (2000).

“Mi ricordo che c’era un momento a fine stagione in cui tutti quanti liberavano il loro armadietto, tirando fuori anche le proprie sneakers. Non dimenticherò mai quando sono andato a ripulire il mio al Forum. Chiunque indossasse la mia stessa taglia mi ha rivelato di aver pensato di poter prendere quelle scarpe e alla fine, vedendomi, mi hanno tutti chiesto se potessi regalargliele.”

“Non avevo più sneakers quando me ne sono andato. Mi ricordo che anche Usher mi ha chiesto di regalargli un paio di sneakers.”

L’idea del “Black Cat”

  • Raccontata da Tinker Hatfield, designer Nike e capo designer di 15 modelli di scarpe del Brand Air Jordan.

“Lavoravo alla progettazione di quelle scarpe da mesi e ad un tratto ho avuto l’idea del ‘Black Cat’. Ho chiesto immediatamente dove si trovasse MJ, che in quel momento era al Forum di Los Angeles per girare uno spot pubblicitario. Si trattava dello spot del Frozen Moment, considerato uno dei migliori spot con Jordan protagonista. Avevo una lavagna pronta da mostrargli durante le pause, ben nascosti da occhi indiscreti. E alla fine è riuscito a trovare un break per potermi ascoltare. Gli ho mostrato la lavagna, su cui c’erano due gatti neri, in basso la foto delle scarpe e sullo sfondo il logo della Air Jordan a mo’ di zampa felina.”

“Quando mi ha sentito menzionare i gatti neri mi ha fermato chiedendomi come facessi a sapere che quello fosse uno dei suoi soprannomi, utilizzato solo da chi gli fosse più vicino. Io non avevo idea che gli avessero affibbiato quel soprannome, credevo fosse il miglior modo per esprimere tutta la sua grandezza a quel punto della sua carriera: era strategico, possente, furbo e forte. Era come se sapesse conservare le sue energie per sprigionarle al momento adatto, dimostrando di essere il miglior giocatore al mondo.”

“Ed ecco come il tutto si è evoluto. Era quasi incredulo quando gli ho parlato dei gatti neri. E penso che quello fosse un chiaro momento in cui la nostra comunicazione era andata ad un livello superiore.”

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Le bloody Chicago 1s

  • Raccontata da Gentry Humphrey, vice presidente del Jordan Brand.

“Michael aveva tre o quattro paia di ogni scarpa e perciò ne aveva anche un paio delle Chicago 1s sin da quando furono messe in circolo. Il problema è che quel paio che aveva era di taglia 44, che portava quando era più giovane. Ad un certo punto il suo piede, oramai di taglia superiore, era spesso strizzato dentro le Chicago 1s. Ed era assurdo che si trovasse spesso a farlo. Lui non lo ammetterà mai tanto facilmente, ma ci sono alcuni rituali simili a superstizioni che MJ segue.”

I “Knuckleheads”

  • Raccontata da Quentin Richardson, ex NBA; si è aggregato nel 2000 al Team Jordan insieme al suo amico d’infanzia, nonché cestista dei Los Angeles Clippers, Darius Miles.

“Chi conosce MJ sa del suo Flight School camp per bambini. Dato che probabilmente ci sarebbe stata qualche visita speciale al camp, avevano due sessioni al UC-Santa Barbara. Quando sono arrivato al College avevano appena preso Darius, ritenuto uno dei migliori prospetti. Entrambi eravamo counselor per la nostra prima volta. Subito dopo il Draft NBA scopriamo entrambi di venire scelti dai Clippers, con Los Angeles ad una sola ora di guida da Santa Barbara. Quando August mi ha incontrato mi disse che dovevamo per forza andare al camp.”

“A quel punto non avevamo ancora alcun accordo con la Nike ma AND1 ci faceva la corte. Utilizzavamo già qualche paio di AND1 ad essere sincero, poiché avevano Larry Hughes ed altri giocatori che ammiravamo. E, quando abbiamo giocato in uno-contro-uno, Michael ci guardava come se stesse chiedendosi come mai avessimo indosso tutta quella roba dell’AND1, chiedendoci se non fossimo degli atleti della Nike. Noi speravamo di esserlo, ma non lo eravamo. “You all gon’be with us” è stata la frase che ci ha storditi e svegliati allo stesso tempo, anche perché non eravamo sicuri di aver compreso bene. Anche perché lo stesso Brand Jordan non era ancora ciò che è oggi: aveva appena inserito Ray Allen, Derek Anderson, Eddie Jones, Vin Baker e Michael Finley.”

“Ci rappresentava Jeff Weschler, che letteralmente era incredulo quando ci disse che Jordan voleva me e Darius come atleti del Brand Jordan. A quella frase abbiamo ricevuto una carica immensa, indescrivibile. Oggi, tra l’altro, il supporto che viene dato agli atleti è diverso da quello fornito a quell’epoca. Ci regalavano un sacco di roba, vestiti e gadget che non avremmo neanche mai usato. Ci sentivamo in paradiso.”

La caviglia rotta

  • Raccontata dall’ex quarterback Donovan McNabb, che ha giocato in NFL ed è entrato a far parte del Brand Jordan nel 2001.

“Ogni Super Bowl o All-Star Game NBA a cui mi trovassi ed in cui ci fosse anche Jordan finivamo sempre a parlare del brand. Mi chiedeva come volessi le scarpe e io rispondevo chiedendo quando avrei avuto le mie ed il mio spot in TV. Non avevo avuto il mio paio di Jordan prima che mi fossi rotto la caviglia nella partita contro gli Arizona Cardinals nel 2002. Quando si è rotta indossavo un paio di Nike comuni.”

“Gli Wizards stavano per affrontare i Sixers dopo la partita di football. Mi ero diretto nello spogliatoio per parlare con Charles Oakley e ad un tratto ho incontrato Michael. Scherzando, mi chiese quali scarpe avessi indosso al momento dell’infortunio e ridendo risposi che non avevo ancora il mio paio di Nike, causandomi sfortuna. Da allora, ogni volta che ci incontriamo non smettiamo di ridere ricordando quella storia.”

Jadakiss e Mase

  • Raccontata dal rapper Jadakiss.

“Ho vissuto un gran momento nel periodo in cui Biggie Smalls stava producendo il suo disco Life After Death, in cui si trovava spesso ad incontrare MJ. Da allora sono stato nella lista di amici di Jordan per circa 20 anni.”

“Molto tempo prima, quando le Bred 11s sono uscite, un giorno io e Mase eravamo in giro per New York per comprarle. Prima di andare a casa mi sono fermato in uno dei negozi tra la 145th e Broadway. Mase era riuscito a trovarle mentre io ero ancora alla ricerca. Ho chiesto se avessero la mia taglia, ma era già finita, ma non volevo rassegnarmi, chiedendo al commesso di mettere sotto sopra il negozio o chiamare un altro store e farli spedire per me. D’un tratto il negoziante mi disse di guardare bene sull’etichetta, spostando il dito: lo avevo messo sulla parte che copriva la taglia, impedendo a me stesso di verificare che fosse effettivamente la mia.”

“Qualcosa mi diceva di mettere il pollice sulla parte dell’etichetta dove era visibile la taglia, ed era apparsa la mia. Aveva provato a prendermi in giro, se non avessi ragionato mi avrebbe fregato. Buona idea, ma non andata a buon fine.”

Il coma

  • Raccontata da Jim Riswold.

“Nell’anno del lancio delle Air Jordan 20s (il 2005) mi trovavo in ospedale. Avevo subito un intervento chirurgico ai polmoni e c’era comunque la possibilità che mi collassassero, cosa effettivamente accaduta il giorno successivo all’intervento. Sono dovuto rimanere un’ulteriore settimana in ospedale per accertamenti e sotto sedativi. C’era un paio di scarpe nel mio armadietto, ma non ricordo chi le avesse messe lì.”

“Ho pensato che fossero da parte di Tinker, perciò ho telefonato per ringraziarlo. Quando l’ho fatto, Tinker mi ha risposto soltanto di controllare nella scarpa sinistra, dove c’era l’etichetta per la taglia: ‘Get well, Rizzy’ ,firmato Michael Jordan.”

Il tanto atteso autografo

  • Raccontata da Virgil Abloh, collaboratore con Nike e Air Jordan dal 2017 al 2021.

“Le Air Jordan 1 che ho creato in bianco: avete idea di cosa abbia suggerito e dato il La a quel mio esperimento? Dopo tutto ho solo postato la foto delle mie scarpe su Instagram, perché il mio sogno da bambino era di aver un paio di sneakers firmate da Jordan. Mi ricordo di aver mandato la richiesta ed esser stato scelto per il campus, il Flight School. Mi ricordo ancora il modulo che ho compilato e firmato, pensando: ‘Quest’anno andrò finalmente a giocare a basket con Michael Jordan in persona!’. Poi, i miei sogni si sono interrotti quando quell’estate MJ ha deciso di giocare a baseball. Il basket campus era stato cancellato.”

“(Nel 2019) Mi trovato a parlare con Michael, in particolare parlavamo proprio di quel paio di scarpe che avevo creato io e che a lui piaceva molto. A quel punto, la versione di me diciassettenne ha preso il sopravvento sul me trentasettenne: era come se volessi dire a Jordan ‘Ti prego, la tua firma sulle scarpe è una sorta di obiettivo vitale per me, da quando ero ragazzo…’.”