Questo contenuto è tratto da un articolo di Marc J. Spears per Andscape, tradotto in italiano da Edoardo Viglione per Around the Game.


Ha risposto con una risata PJ Tucker quando gli è stato chiesto per la prima volta se avrebbe marcato il suo ex compagno ai Rockets James Harden nelle Semifinali di Conference. Lo specialista difensivo degli Heat, d’altronde, è abituato a prendere in carico i migliori scorer della Lega da quando è ritornato dopo l’esperienza di cinque anni in Europa.

Dopo aver difeso su Kevin Durant lo scorso anno e su Trae Young al primo turno Playoffs, Tucker nell’ultima settimana ha accettato la sfida di dover marcare Harden. L’ex Buck ne aveva parlato prima della serie:

“Lo sapete che difenderò su Harden. È importante per la squadra. Loro lo cercheranno per quello che sa fare, vogliono che sia semplicemente sé stesso. Se vogliamo vincere dovremo fermarlo, è il mio compito.”

In questa intervista per Andscape, PJ ha discusso argomenti di vario tipo: la vittoria del titolo 2021, l’addio al Wisconsin, l’approdo in Florida, le sue passioni come le scarpe o il vino, e molto altro ancora.

Che tipo di mentalità devi avere per essere un grande difensore? Qual è la chiave?

Solitamente nessuno a cinque anni sogna di poter difendere su tutti nella Lega. Sognano di attaccare e fare canestro. Ad un certo punto però diventa una cosa competitiva e se capisci che sei abbastanza bravo in questo, nel difendere, allora comprendi che potrai costruire una carriera su questo. Non è una cosa che desideri, per questo amo come sono arrivato nella Lega e come mi sono costruito.

Quando nessuno voleva difendere su un giocatore, lo prendevo io. Come facevo? Studiavo i filmati, le abitudini degli avversari, studiavo tutto. Dovevo imparare a conoscere tutti sul parquet.

Per difendere a questo livello devi saper comunicare, saper essere fisico, saper leggere il gioco. Ci sono tantissime cose che devi saper fare. Draymond Green è fatto per questo. Non ha mai pensato che sarebbe diventato questo difensore, passatore e facilitatore; ha solo pensato a fare il suo lavoro, è una delle persone più competitive della lega e ci sono cose che fa meglio di chiunque altro.

Come mai non hai ri-firmato con i Bucks dopo aver vinto il titolo con loro?

Ti faccio l’esempio di Andre Iguodala, che è voluto tornare a Golden State. Penso che ogni giocatore voglia tornare dove si sente a casa. Tornare dove tutti ti amano e lo senti. C’è stato un momento in cui sentivo di star costruendo anch’io qualcosa di simile a Milwaukee, ma poi loro hanno fatto una scelta diversa per via della luxury tax, sentivano di potermi sostituire e l’hanno fatto.

Ho dovuto comprendere la scelta. Per me non era una questione di soldi, ma di rispetto, in quanto mi avevano detto di cercare un’offerta e che loro successivamente l’avrebbero pareggiata. Dopo aver sentito ciò, ho detto al mio agente di andare avanti e di cercare di ottenere il più possibile.

Che emozioni hai provato quando hai ricevuto il tuo anello dai Bucks?

Pensi sempre a quel momento, ma non lo conosci fin quando non vinci.

Su quel tiro di Durant ho pensato fosse finita, non mentirò. Difendere sul miglior attaccante del mondo è stato difficilissimo. Poi Giannis nelle finali di Conference si è fatto male, ed è stata dura. Phoenix è andata avanti 2-0 e anche lì è stato complicato. Abbiamo affrontato così tante prove in quei Playoffs che vincere è stato qualcosa che non ho mai provato.

Ho apprezzato tutto di Milwaukee. I tifosi in particolare. Non mi aspettavo che fosse così. Oggi so che posso andare in qualsiasi bar, in qualsiasi ristorante lì e starò bene, mi sentirò a casa. Questa è la cosa più bella e grande di tutte, le persone mi amano e rispettano ciò che ho fatto. Per ora ho giocato lì due volte e l’affetto che ho ricevuto non è niente di paragonabile a tutto ciò che ho vissuto.

Come si sente il tuo corpo in NBA a 36 anni?

Recentemente ho detto al mio agente che mi sento meglio ora di come mi sentissi quattro o cinque anni fa. Sono ancora nel mezzo del mio prime. Il mio corpo, la mia mente, il modo in cui gioco. Capisco come vincere e come essere un vincente. Ho speso tanti soldi per il mio corpo con i terapisti, me ne prendo cura.

Per quanto vuoi giocare ancora in NBA?

Non so ancora, non ho avuto tempo per pensarci. L’unica persona con cui ne abbia mai parlato è Jermaine O’Neale. È uno dei miei migliori amici, mi ha aiutato in tante cose, lo conosco sin dal mio anno da rookie. Mi ha consigliato di non fermarmi fin quando non me lo dirà il mio corpo. Lui ha detto di sentire di essersi ritirato troppo presto, che avrebbe potuto giocare di più.

Quando il corpo mi dirà di fermarmi, me lo dirà anche il cuore. Ora mi sento alla grande e voglio continuare a stare al passo con LeBron e gli altri giocatori più anziani della lega.

Esiste davvero la “Heat Culture” di cui si parla tanto?

La Heat Culture può essere un milione di cose. È essere uno di loro, è amare tutto questo, è essere un grande lavoratore, è dare tutto per la squadra, è preoccuparsi soltanto di vincere, di dare il 100%, di combattere per tutto il campionato. Diverse squadre sono in grado di farlo, ma gli Heat hanno costruito una cultura in cui tutti credono e in cui mi riconosco. Personalmente, credo di essere fatto per questo.

Com’è Pat Riley?

Non so se mi è mai piaciuto qualcuno tanto quanto mi piace lui. Magari perché è più anziano, è tranquillo. È presente ad ogni allenamento, ha sempre il suo taccuino, la sua penna, passa il tempo a scrivere e non dice una parola. Sinceramente non so se qualcuno l’abbia mai sentito parlare agli allenamenti.

Ogni tanto mi manda dei messaggi. La prima volta che ne ho ricevuto uno pensavo di aver sbagliato qualcosa, di aver fatto qualcosa sul parquet che non gli era piaciuto, invece era per farmi i complimenti. Mi ha detto semplicemente di continuare così. Era dopo una partita, stavo guidando per tornare a casa e mi ha scritto, è stata una bella sorpresa.

Ogni tanto dopo le partite mi scrive, ma quando parliamo l’argomento sono spesso le macchine, lui adora quelle vecchia scuola. È il migliore.

Qual è la cosa migliore di Miami?

Non so quale sia la cosa migliore qui, so che la peggiore sono i voli. Non ci sono viaggi brevi. Sono stato tanto a Houston ed essendo quasi nel mezzo del paese, i voli tendenzialmente duravano due ore e mezza di media. Ogni tratta che percorriamo da Miami, tolta Orlando, dura dalle tre alle cinque ore: siamo quelli con la durata dei voli più lunga di tutta la lega.

Comunque non posso lamentarmi, vivo vicino al mare a Coral Gables e anche dall’arena vedi le spiagge. Quando Spoelstra ci dà i giorni liberi, ci dice di andare a prendere un po’ di Vitamina D e di andare in spiaggia. Anche questo fa parte della Heat Culture, e Spoelstra ha contribuito in primis per formarla. Essere qui è una benedizione.

Embiid sta giocando nei Playoffs nonostante una frattura orbitale.

Tutti ci facciamo male, io ho dolori al polpaccio e alla caviglia. Possiamo essere tutti “questionable” per le prossime partite. Questi sono i Playoffs, qui si vede chi è fatto per questo. Credo che Embiid avrebbe dovuto vincere l’MVP quest’anno.

Se gli Heat vincessero l’anello supererai il discorso che avevi fatto alla parata dei Bucks?

Non so se lo posso superare, ma se dovessimo vincere sicuramente farò il possibile.

Le persone sono innamorate della tua collezione di scarpe. Che consiglio daresti a chi non vuole far “invecchiare” le proprie?

L’unica via possibile è quella di indossarle. Se non lo fai possono anche essere nuove di zecca, ma se hanno cinque o sei anni la colla non è sigillata, quindi non dureranno e quando le metterai si romperanno. Quindi se vuoi che durino maggiormente, devi indossarle.

Qual è il tuo paio più prezioso?

Le mie Jordan 94 1s e 85 1s firmate, perché Michael è il più grande di sempre nonché il mio giocatore preferito. E anche le mie Kanye Yeezy 2.

Quali sono gli argomenti delle conversazioni tra te, Lowry, Butler e Adebayo?

Le nostre conversazioni passano da quelle molto serie a quelle divertenti. Le prime sono sempre quando ci chiama Spoelstra, perché vuole discutere con noi quattro di quello che succede in campo. Ma trascorriamo anche momenti leggeri, siamo tutti amici e siamo anche molto diversi tra di noi. Essere insieme è davvero bello.

Si parla tanto di LeBron, Steph, Draymond, Carmelo, Josh Hart e CJ McCollum, ma quando hai giocato in Europa anche tu sei diventato un grande amante del vino.

Ho iniziato a bere vino quando molti di loro nemmeno sapevano cosa fosse. Ora LeBron e Melo sono esperti di vino, ma so più io di vino di quanto loro potranno mai sapere. Ho iniziato dal 2007 a collezionare bottiglie e l’ho fatto per molto tempo. Alcuni hanno le loro cantine personali e producono vino, io non credo lo farò mai, ma se iniziassi sarebbe il migliore del mondo.

Credo sia uno di quei settori in cui è facile entrare, se sei vicino alle persone giuste. Bisogna conoscere le persone che ne comprendono la cultura, che ne curano la produzione e che si occupano di far funzionare il processo. Lo stesso penso del cibo e degli chef migliori al mondo. Adoro cercare i ristoranti stellati Michelin in ogni città in cui vado. Anche io mangio pancakes a colazione, ma a pranzo e a cena cerco sempre i posti migliori di ogni città.