Con la cessione di Pascal Siakam, i Toronto Raptors passano ufficialmente da una squadra da limbo ad una in piena ricostruzione. Forse un po’ troppo tardi?
Era nell’aria già da tempo ma forse l’ultimo ad accorgersi che i suoi Toronto Raptors erano già in quella fascia da un po’ è stato Masai Ujiri. I canadesi, con la fresca cessione di Pascal Siakam a Indiana, diventano ufficialmente un team in ricostruzione.
Che alcuni pezzi siano già stati aggiunti con RJ Barrett e Immanuel Quickley per tappezzare le falle di una squadra che faceva acqua da tanto, forse troppo, può essere un fattore positivo ma una cosa su cui molti addetti ai lavori in Canada concordano è che con il materiale a disposizione si poteva fare molto di più.
Secondo Adrian Wojnarowski dai Pacers arriveranno Bruce Brown, Jordan Nwora e Kira Lewis (via Pelicans) più tre prime scelte ai prossimi draft, a sommarsi ai due già menzionati ex Knicks (e una scelta al secondo turno). L’idea di fondo è chiara: puntare su Scottie Barnes come perno della squadra e mettergli intorno giocatori funzionali al tipo di gioco pensato per lui da Darko Rajakovic.
Inevitabile, sicuramente. Se non fosse che tutto questo si sarebbe potuto concretizzare un anno fa raccogliendo probabilmente il doppio di quanto ottenuto oggi.
Sia chiaro, Barrett e Quickley si sono integrati perfettamente nel sistema Raptors e stanno contribuendo egregiamente, entrambi forti di motivazioni personali ben evidenti: il nativo di Toronto non vedeva l’ora di giocare letteralmente in casa, nella sua città natale e con un ruolo preminente; la venticinquesima scelta del Draft 2020, ormai ai margini del progetto di Thibodeau, invece ha colto la palla al balzo per ritagliarsi un ruolo da point guard titolare con boost di minutaggio. Ma è forse ingiusto considerarla fortuna? Sicuramente le speranze erano queste, ma vista la situazione dei due giocatori è sicuramente andata meglio del previsto.
Bruce Brown è un fresco campione NBA, le scelte fanno molto comodo per ricostruire, ma il problema rimane comunque alla base. Masai Ujiri doveva accorgersi prima che era il momento di premere il grilletto. Non che lo abbia fatto incompetentemente. Tutto si può dire fuorché sia una persona che non sa fare il suo mestiere.
Masai Ujiri è vittima della sua stessa mentalità. Una mentalità che ha creato una cultura vincente per i Toronto Raptors ma che non ha saputo accorgersi per tempo che di quella mentalità non c’era più traccia. Lo scorso anno la firma di Jakob Poeltl era arrivata per dare i centimetri sotto canestro che tanto mancavano ai Raptors, come se fosse stato solo quello il problema.
Il clima disilluso era evidente, le conferenze stampa sempre più monotone, in campo non si vedeva un sorriso. Secondo Ujiri tutto era risolvibile, non senza difficoltà, ma comunque risolvibile. Da lì in avanti le tessere del domino sono cadute una ad una. Prima Nurse, poi VanVleet in estate, Anunoby poche settimane fa ed ora Siakam. Dei Toronto Raptors campioni NBA 2019 rimane solo Chris Boucher ad uscire dalla panchina a giorni alterni.
VanVleet, guardia All Star in grado sia di organizzare che realizzare, perso a zero. Anunoby e Siakam per i pacchetti sopracitati: parliamo di un All-Defensive ricercato e richiesto da franchigie che avrebbero potuto offrire ai Raptors molto di più (e nel suo caso è andata ancora bene); Siakam, due volte All Star, è un Top 5 nella storia dei canadesi in più categorie ed è ancora nel pieno del suo prime: quanto ottenuto per il suo scambio sembra oggettivamente un po’ poco.
La mossa andava fatta, nessuno discute su questo. I Raptors visti nelle ultime due stagioni sono i lontanissimi parenti di quelli degli anni del titolo e post titolo, quasi tutti giocavano per loro stessi, lasciando un confuso Scottie Barnes a non capire che ruolo ritagliarsi all’interno di un roster dove avvenivano implicite lotte per la leadership. Doveva andare così. Ma doveva andare così molto prima, avendo il coraggio di mostrare un altro tipo di mentalità vincente, quella in grado di rendersi conto che per tornare ad alti livelli bisogna ripartire da zero.
Masai Ujiri si è trovato intrappolato nella sua stessa tela e ora rischia di lasciare Toronto in uno stato di rovina che potrebbe richiedere più tempo e più sforzi del necessario per porvi rimedio. Non è un’analisi tecnico-tattica, spero vivamente di sbagliarmi. Questa è quella che potremmo definire “lettera di un tifoso deluso”.
Guardando il lato positivo i Raptors hanno un coach competente e attento, deciso a sfruttare al massimo le potenzialità dei suoi giocatori, con idee tattiche precise e soprattutto con uno spirito combattivo che ha riacceso una fiamma in chi gli sta intorno. Barnes sta giocando da All Star e leader della squadra, cosa che ora diventerà a tutti gli effetti. Barrett e Quickley stanno sfruttando al massimo la loro seconda occasione e non ho dubbi che così farà anche Bruce Brown. Sulle scelte e sul futuro è ancora troppo presto per essere ottimisti.
Tornare coi piedi per terra e ricostruire sarà un banco di prova enorme per il front office e anche qui Ujiri dovrà armarsi delle sue capacità e della sua mentalità per riportare Toronto effettivamente dove merita. Sempre che non si scontri di nuovo con sé stesso.