Con il caos creato a una manciata di giorni dalla trade deadline, Kyrie Irving sta davvero facendo i suoi interessi?

Riassumere i numerosi capitoli del travagliato recente passato dei Brooklyn Nets sarebbe inutile, li conoscete già tutti a memoria. La vera notizia era che, dopo gli ennesimi drammi ad inizio stagione, per due mesi i Nets sono stati la miglior squadra della lega, presentando la loro forte candidatura al titolo, e stavano aspettando il ritorno di Kevin Durant per riprendere su quella strada.

Poi il fulmine a ciel sereno (almeno per noi esterni). Kyrie Irving ha nuovamente chiesto la trade, a cinque giorni dalla trade deadline, con tutta l’intenzione (pubblica) di lasciare Brooklyn.

Prima di cadere in facili fraintendimenti, premetto: il proprietario Joe Tsai e il General Manager Sean Marks non sono affatto esenti da colpe, anzi. Sotto un certo punto di vista, possono essere considerati i principali responsabili di molti degli inciampi dei Nets negli ultimi due anni. Hanno affidato le chiavi della franchigia a Durant e Irving, conoscendo bene i personaggi, ma appaiono talvolta restii a proseguire su una direzione che non ha più ritorno, se non il rischio di rimanere nell’anonimato per un decennio.

L’offerta dell’estensione con la condizione della vittoria del titolo 2023 è un azzardo, può facilmente offendere un giocatore con un certo appeal. E infatti, Irving si è (legittimamente) offeso.

Qui però iniziamo a guardare le cose dalla prospettiva di Kyrie Irving. Se è vero che la proposta dei Nets può risultare in parte irrispettosa, è altrettanto vero che la richiesta di trade a ridosso della deadline è esagerata.

Irving, che tra una vicissitudine sfortunata e l’altra non è ancora riuscito a portare risultati importanti ai Nets, stava giocando una pallacanestro meravigliosa, con e senza Durant in campo: 27 punti di media con il 60% di True Shooting e +5 di On/Off. Ha talento abbondantemente sufficiente per dare continuità a certe prestazioni, anche in contesto Playoffs. E facendolo, otterrebbe certamente il massimo contrattuale che cerca. Quindi, perché buttare tutto all’aria ora?

Poniamo che, come dovrebbe essere normalità per un giocatore NBA, l’interesse primario di Kyrie sia quello di vincere il suo secondo titolo in carriera, spegnendo tutte le cattive narrazioni nate sul suo conto negli ultimi anni. Se così fosse, l’occasione che ha in questi Nets non la troverebbe da nessun’altra parte, nemmeno ai Los Angeles Lakers.

Chiedendo una trade che probabilmente non si può realizzare (i Nets non hanno alcun interesse a ricostruire da zero nelle condizioni attuali, e verosimilmente rifiuteranno qualsiasi pacchetto), il rischio è quello di destabilizzare un ambiente che, per la prima volta, sembrava funzionare davvero. Nulla è certo ovviamente, e ogni situazione è diversa, ma sappiamo quanto gli equilibri di una squadra siano delicati, dunque non si possono negare i potenziali effetti collaterali causati da una richiesta di scambio nel bel mezzo della stagione da parte di un leader dello spogliatoio.

E’ bene ricordare che il gruppo che va in campo e la proprietà, soprattutto in NBA, sono spesso due entità diverse e ben distaccate. Non è per forza necessario andare d’accordo con il General Manager e il proprietario della franchigia. Prendendo l’esempio più celebre, nella stagione 1997-98 le visioni del futuro di Michael Jordan e compagni erano diametralmente opposte a quelle di Jerry Krause. MJ e Scottie Pippen hanno forse boicottato l’annata? No, hanno pensato al campo e vinto il sesto e ultimo titolo. L’importante rimane conquistare l’anello, quando ne hai la possibilità concreta.

Ma anche dimenticando per un attimo questo fattore, poniamo per assurdo che la priorità di Irving sia semplicemente quella di ottenere i soldi che chiede e pensa di meritare (ovvero circa 200 milioni in 4 anni). In che modo questa richiesta lo aiuterebbe ad arrivare al traguardo? Se dovesse terminare il rapporto con i Nets, quale franchigia darebbe un contratto di quel tipo ad un giocatore 31enne con la fama di essere inaffidabile?

La risposta, dal mio punto di vista, è semplice: su entrambi i livelli, Irving sta danneggiando se stesso e la sua carriera prima di chiunque altro. Da fuori, appare come l’ennesima scelta impulsiva che cercherà di insabbiare a colpi di canestri impossibili.

Con la sincera speranza che, almeno questa volta, gli vada bene.