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Questo contenuto è tratto da un articolo di David Dennis Jr per Andscape, tradotto in italiano da Marco Marchese per Around the Game.


Dopo una sospensione durata ben 25 partite di Regular Season NBA, la guardia All-Star dei Memphis Grizzlies, Ja Morant, ha potuto fare il suo esordio stagionale nel massimo campionato cestistico statunitense. La sospensione era stata comminata per “condotta deleteria e dannosa per la lega”, a seguito della pubblicazione di un post su Instagram in cui lo stesso Morant mostrava un’arma da fuoco. La lontananza dal gioco e dai compagni deve aver fatto riflettere il giocatore su quanto contasse la palla a spicchi per lui, date le prestazioni messe a referto dal suo ritorno: un game winner contro i New Orleans Pelicans, una striscia di quattro vittorie consecutive e ovviamente una serie di giocate spettacolari a infoltire le varie Top List (QUI le sue dichiarazioni al ritorno in campo).


Tuttavia, la macchia sulla reputazione del giocatore è rimasta, innegabilmente: alla fine della sfida vinta contro i Pelicans il 26 Dicembre scorso, Morant ha celebrato il risultato ottenuto con una danza, che molti hanno interpretato come dei gesti che replicavano gli spari e l’uso delle armi. La reazione immediata di molti tra fan, addetti ai lavori e stampa è stata oltraggiosa nei suoi confronti, quasi volendolo mettere in ridicolo. In realtà, Ja stava solo ballando la Rock Ya Hips, una danza molto popolare in Louisiana, come sfottò nei confronti degli avversari appena messi al tappeto. Nulla di più normale, viste le personalità coinvolte in uno sport come il basket statunitense. 

Le precisazioni a riguardo sono state rilasciate l’indomani, evidentemente già in ritardo. Gli insulti, le critiche e le derisioni sono arrivate immediatamente, quasi a fungere da reminder per lo stesso Ja: il suo processo di riabilitazione non è terminato con lo scadere della squalifica, poiché messo in atto nei confronti di una lega e di una società statunitense che non ha ancora tralasciato il proprio metodo prediletto per redimere le colpe, ovvero punirne i protagonisti. Se la lega NBA e i tifosi volessero davvero dare un segnale importante, dovrebbero prendere una posizione circa i metodi di attuazione effettivi per ottenere questa “redenzione”, evitando comportamenti di facciata. 

Quando il n°12 dei Grizzlies è stato sospeso nel Maggio 2023, l’NBA Commissioner, Adam Silver, ha commentato l’evento concentrandosi sul fatto che Ja abbia mostrato delle armi sui social media, non sul rapporto tra il giocatore e l’eventuale utilizzo di armi da fuoco, ad esempio. Queste le sue parole:

“La decisione, recidiva, di Ja Morant riguardo al mostrare un’arma da fuoco sui social media è allarmante e sconcertante, dati i suoi comportamenti analoghi avvenuti non più tardi dello scorso Marzo e per cui il giocatore era già stato sospeso per otto partite.”

Adam Silver, NBA Commissioner

Per la cronaca, parrebbe che Morant avesse in un primo momento compreso la bravata commessa, non pubblicando alcun post o foto con protagoniste armi da fuoco per 6 mesi. E quindi, cosa si pretende ancora da Ja Morant? Se mostrasse delle pistole immaginarie interpretate a gesti delle mani per celebrare una vittoria o una giocata spettacolare, si pretenderebbe la sua ulteriore sospensione? E se fosse visto in possesso di armi, ma non sui social media? E ancora: il problema riguarda il fanatismo che il giocatore potrebbe riservare nei confronti delle armi, o il fatto che le ha mostrate online? L’NBA non ha ancora risposto a certi quesiti, non permettendo allo stesso Morant di comprendere quali comportamenti dovrebbe evitare. 

La mancanza di chiarezza circa ciò che si chiede all’All-Star dei Memphis Grizzlies fa luce su un problema molto più urgente da affrontare all’interno della lega e della società statunitense, quando si giunge al rapporto con le armi da fuoco e alle eventuali punizioni nel processo riabilitativo. Punire qualcuno per i suoi illeciti non influisce sul cambio del suo comportamento. La riabilitazione avviene più facilmente senza l’applicazione di pene. Osservando dati reali, due carcerati su tre ritornano in galera entro tre anni dalla loro prima scarcerazione, e gran parte della causa giace sul fatto che il sistema di Giustizia penale è basato su pene e punizioni e non sulla riabilitazione degli individui – nonostante quest’ultima sia molto più efficace, dati alla mano. 

L’NBA si trova nella stesso pantano con l’ala dei Golden State Warriors, Draymond Green, sospeso a tempo indeterminato per svariati e reiterati comportamenti scorretti e violenti sul campo di gioco, tra cui il tentato strangolamento mediante avambraccio del Centro dei Minnesota Timberwolves, Rudy Gobert, e il colpo alla testa di Jusuf Nurkic, Centro dei Phoenix Suns, e con un passato pieno di giocate ai limiti della squalifica. La lega ha chiesto a Green di chiedere consulenza e partecipare a terapie durante la sospensione. Non è chiaro quanto quest’ultima verrà portata avanti, perdurando già da 3 settimane e in che condizioni psico-fisiche sarà il giocatore dei Golden State Warriors al suo ritorno in campo. Ma, ancora una volta, il tema centrale dell’intero processo è la pena inflitta al giocatore (QUI abbiamo parlato del suo possibile ritorno e QUI abbiamo riportato parole dello stesso Green dopo la sospensione). 

Joe Dumars, NBA Executive Vice President of Basketball Operations, ha giustificato la non definizione temporale della sospensione come una concessione fatta a Green per concentrarsi sulla sua riabilitazione, ma il metodo ha alcune falle. Queste le parole di Dumars:

“Tempo indeterminato significa: “Rimettiti in sesto. Vogliamo vederti al top.” E il top, per lui, è fare tutto ciò che gli serve per essere mentalmente ed emozionalmente adatto al ruolo che riveste. Questo è il nostro modo d’interpretare la sospensione a tempo indeterminato.”

Joe Dumars, NBA Executive Vice President of Basketball Operations

Togliendo al n°23 dei Dubs la sua busta paga, il suo reale incentivo non è rivolto alla ricerca della miglior condizione psico-emozionale, ma al tornare a percepire il proprio stipendio. Ed ecco dove il combinare le pene alla riabilitazione diventa problematico. Anche se a Green è stato chiesto di partecipare a consulenze e sottoporsi a terapia, non è chiaro quale sia il reale obiettivo di un Green “mondato dai peccati”. Accadrà ancora che Green attacchi fisicamente qualcuno in campo? Se si, ci sarà una punizione ancora maggiore, che consisterà in terapie più lunghe? Ecco dove una lega che vuole vendere l’idea della riabilitazione lascia fin troppa ambiguità nell’articolare come effettivamente dovrebbe prender luogo il tutto. 

Nel creare un sistema facsimile a quello della Giustizia penale del mondo reale, l’NBA ha dimostrato le sue carenze nell’applicare un metodo riabilitativo realmente efficace, specialmente se la riabilitazione procede di mano in mano con pene arbitrarie. L’unica cosa che pene e punizioni ottengono è che i protagonisti alzeranno la guardia per non risultare recidivi. Le sospensioni inflitte a Morant non fermeranno il suo problematico rapporto con le armi. Lo renderanno più cauto sul pubblicare o meno contenuti online riguardanti pistole ed armi da fuoco, senza che nessuno si sia effettivamente sincerato circa il legame che Ja abbia realmente nella  vita privata con le armi da fuoco.

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Chiedere a Ja un’evoluzione in positivo del suo rapporto con le armi da fuoco è una richiesta del tutto diversa, che probabilmente né l’NBA, né chiunque altro negli Stati Uniti sarebbe in grado di portare avanti nella sua situazione. Solo nel 2023 sono morte più di 40 mila persone negli USA a causa dell’utilizzo di armi da fuoco, con quasi due sparatorie di massa al giorno. E tuttavia i fanatici delle armi dilagano ancora. Sarebbe ipocrita aspettarsi un qualunque cambiamento in positivo del proprio comportamento riguardo le armi, da un singolo individuo che vive in una nazione in cui a nessuno è richiesto minimamente tutto ciò. Sarebbe irrazionale chiedere a qualcuno di non adorare e voler possedere delle armi in un paese in cui se ne celebra il possesso e l’utilizzo. 

Il che riporta il discorso al Rock Ya Hips. È facile venire disprezzati e derisi per aver fatto la pantomima e gesti a mo’ di pistolero ma non porsi e porre domande sull’infatuazione per le armi che dilaga diametralmente in lungo e in largo per tutti gli Stati Uniti. E che rende ancor più complicata la situazione personale di Ja Morant nel quotidiano. A Luglio, ancora Adam Silver ha affrontato pubblicamente la tematica della sospensione del giocatore.

“Mi sta molto a cuore la problematica dell’eccessivo utilizzo di armi da fuoco e della violenza che ne deriva, specie tra le generazioni più giovani e questa nella nostra società è una problematica che dovremmo prendere seriamente in considerazione.”

Adam Silver, NBA Commissioner

Ma se il fine fosse questo, ci vorrebbero più di soli 6 mesi di terapia per porre rimedio al problema. Come Silver, chiunque vorrebbe che Ja Morant riesca a comportarsi in maniera quanto più eticamente corretta utilizzando qualunque arma. Non è ben chiaro se per l’NBA basti soltanto mantenere i profili sui social media puliti da foto e post che riguardano le armi e tenersi lontana dall’eventuale problematica che coinvolge un ragazzo afroamericano e le armi da fuoco. La combo tra pene e messaggi sulla riabilitazione messa in atto dall’NBA non ha fatto altro che scatenare su di sé ulteriori indagini e sguardi maliziosi. Se la lega si limita ad impartire sospensioni a causa di comportamenti scorretti dei giocatori che ne hanno leso l’immagine, è un conto, ed è totalmente comprensibile. Ma non bisogna pretendere che i giocatori riescano davvero a poter migliorare, data la mancanza di un apparato che verifichi e ne faciliti il processo.