Viaggio tra le modifiche al regolamento NBA: e se eliminassimo gli angoli?

“Basketball was invented in Springfield, Massachussetts. Dr Naismith…” – e via di fiati dal sottofondo al pieno. Era questa l’intro de’ L’NBA dei vostri padri, uno dei capolavori di Buffiana memoria. Da quello concepito nella palestra scolastica di una Springfield lungi dall’essere quella misteriosa dei Simpsons – decisamente più da entroterra – il gioco è cambiato parecchio, a tratti in senso molto più radicale di un banale tiro da tre punti, ma ci arriveremo. Non stupisce ad esempio che, ab origine, la palla al cesto fosse più popolare tra i giocatori di football che fra quelli di baseball, chiara indicazione del tipo di fisicità consueta all’epoca.
In quasi un secolo, le 13 regole originarie sono diventate oltre 100, ma la storia – con buona pace delle generazioni precedenti – tende a non finire. Dunque, partendo dai casi che sembrano più allucinanti, arriveremo a teorizzare come oggi la Lega possa muoversi in quest’ambito per recuperare un seguito in crollo costante.
Le basi: giocatori in campo, sostituzioni, i canestri
Di quanto citato nel sottotitolo, l’unica costante è stata l’altezza del canestro, ad oggi invariata. Per le sostituzioni come le conosciamo oggi, c’è stato da attendere fino al 1945, con un intermezzo nel quale venivano concessi due ingressi per tesserato.
Sempre alle origini, si giocava con dei letterali canestri che avevano ormai assolto alla loro funzione di tenere le pesche al mercato. A rimanere invariata, è stata l’altezza a cui venivano posti, 3.05 metri; tuttavia, all’epoca il gioco risultava particolarmente rallentato dato che la palla andava recuperata dall’alto o con una scala (…). Fino al 1893, quando dopo un breve periodo con le retine di ferro rimaste iconiche nei campetti, si è passati agli anelli di ghisa, dando una spinta importante alla godibilità del gioco.
Ulteriormente assurda è l’evoluzione dei tabelloni: sul finire dell’Ottocento, furono introdotti tabelloni in fil di ferro allo scopo di impedire agli spettatori di interferire con i tiri, e ci vollero dieci anni – con anche qui un intermezzo, il legno – per arrivare al vetro temperato, antenato di quello odierno. Un’altra quindicina di primavere invece furono necessarie per creare una separazione tra la fine del campo e la fine della palestra – spesso un muro.
Intrigante anche il percorso del pallone, fino al mitologico Spalding: all’inizio si giocava con palle da calcio, ovviamente non il massimo per palleggiare, e sempre negli ultimi anni del secolo del vapore la sopracitata azienda prese il controllo, con la versione del 1942 che era grosso modo quella attuale, dopo decadi di palle in pelle cucite a mano, che rimbalzavano un po’ dove volevano.

Cronometro, punti e altre amenità
Agli inizi, un canestro valeva un punto, retaggio rimasto nei campetti a livello globale, e laddove vi fossero stati tre falli consecutivi, stesso risultato: per i tiri liberi, avete indovinato, bisognerà aspettare sempre lo stesso periodo, nel quale poi un canestro passò a due. La poco fortunata American Basketball League introdusse nel 1961 il tiro da tre, sei anni prima della FIBA e ben 19 prima che la NCAA accettasse tale cambiamento.
La prima partita in assoluto finì 2-2, e non c’era una previsione per tale caso. Le prime leghe optarono per una specie di golden gol, il che risultava in un supplementare dove magari la squadra perdente non aveva proprio l’opportunità di toccare palla. Negli anni ’60 del secolo scorso, si arrivò all’overtime che conosciamo.
L’altra rivoluzione a livello di cronometro ebbe luogo nel 1954, quando al fine di evitare quella che da questa parte dell’oceano definiremmo melina, si introdusse il cronometro di tiro, già allora da 24 secondi. Due anni dopo la FIBA arrivò alla medesima risoluzione, ma da 30 secondi, quota ancora in vigore al college. Proprio in quest’ultimo campionato, un altro episodio storico-grottesco: nel 1984, i giocatori di UCLA. durante la rivalry game contro la University of Southern California, arrivarono a sedersi (!) in campo. Da qui, la decisione di usare il cronometro di tiro.
Il cambiamento più rilevante è senza dubbio quello relativo al palleggio: nelle tavole originali, non era proprio permesso, mentre dal 1901 ne era consentito uno, ma si era poi obbligati a passarla. Ulteriormente assurdo, il palleggio doveva raggiungere la testa del giocatore per essere considerato valido. La ratio rimarrà oscura, tanto che ci vollero solo 8 anni per avvicinarsi all’attualità, ma nel 1927, per due anni, si tornò all’antico.
La fisicità a sua volta era molto diversa. Non c’erano linee a delimitare il campo, ma spesso muri, almeno fino ai primi del ‘900, e il possesso lo manteneva la squadra che per ultima toccava la palla dopo che quest’ultima fosse uscita. Quindi, in questi frangenti, era come se si passasse all’hockey, con un certo favoritismo verso le gomitate.
Il futuro: la storia non è finita
Il crollo dei rating televisivi è ormai a livelli Defcon 1, e i piani alti della Lega ne sono ben a conoscenza. Le discussioni su come fermare l’emorragia vanno avanti da parecchio, e pare che il nemico sia stato individuato. Senza alcuna pretesa nostalgica o anti-analytics – ormai siamo nel secondo quarto del secolo quindi anche basta. Ma a livello di mera godibilità, è inutile nascondersi. Tantomeno lo è farlo dai numeri: Effective Field Goal Percentage, offensive rating, percentuale dall’arco e assist per 100 possessi nella scorsa stagione sono stati tutti al massimo all-time. I tiri da tre compongono il 40% medio degli attacchi. Dieci anni fa (primo titolo dei Warriors moderni, non un’era geologica fa), il numero era fermo al 10%.
La soluzione più ovvia sembrerebbe allontanare la linea dei 6.75, il che secondo alcuni farebbe tornare in auge il mid-range tanto vituperato o rimpianto a seconda dell’effimera posizione che si sceglie in questi anni di irrilevante polarizzazione. Eppure, significherebbe solo procrastinare una soluzione diversa a livello di spirito del gioco, perché i tiratori si creano e i numeri raccontano come questo processo possa solo accelerare negli anni a venire. Inoltre, ciò costringerebbe i proprietari – che userebbero senza troppi rimpianti il potere di veto – a perdere i redditizi biglietti della prima fila. Non accadrà, e probabilmente è un bene.
Una soluzione cauta potrebbe essere la riduzione del campo, copiando dall’Eurolega. Adam Silver è il commissioner necessariamente più interessato a quanto accade su questa sponda dell’Atlantico nei 77 anni di NBA, anche se il dialogo tra le due leghe è molto relativo in questa fase. La differenza assoluta di talento è sicuramente un fattore, ma i problemi della NBA attuale non valgono nel basket nostrano. Avere meno spazio orizzontale da coprire per i difensori può essere un’idea, ma un cambiamento che si riassume in meno di due metri quadrati difficilmente può essere la soluzione.
Veniamo al tasto davvero dolente: il salvagente di ogni attacco moderno è la tripla dall’angolo. Semplicemente è più vicino, e vale comunque tre punti. Inoltre, è il punto di solito più complesso nel quale effettuare un close-out, quindi laddove venga negato apre comunque uno spiraglio verso il ferro. E se venissero eliminati? Il risultato immediato sarebbe rispolverare aree del campo ad oggi oggettivamente improduttive, ma un tempo necessarie, e con esse svariati set e skills-sets per attenuarne l’aleatorietà. Post-up uno-contro-uno, midrangers selvatici, guardie dribble-first, figure che appaiono giurassiche e che potrebbero tornare in misura comunque inferiore al passato. Potrebbe essere la svolta.
Aldilà delle opinioni, negli States la misura è colma e chiaramente non solo per questo. Oltre all’alternativa democristiana a quanto espresso nell’ultimo paragrafo, ovvero l’inserimento dei 3 secondi offensivi negli angoli – chiamata talmente rara da creare solo polemiche già com’è adesso – c’è chi è arrivato a teorizzare, sempre negli angoli, bunker in stile golf o arene con soffitto apribile: immaginate i Celtics prendere i loro tiri dall’arco con il vento di Chicago.
Oppure, prendendo ispirazione dall’All-Star Game 2024, gli angoli in vetro piuttosto che in parquet. Magari con led interattivi controllati dalla squadra di casa, o col sonoro di un close-out disperato di Draymond Green.
Scherzi a parte, la storia non finisce mai, e un cambiamento dovrà esserci.