FOTO: The Ringer

Dodici giorni dopo l’inizio della post-season, i Sixers hanno preso comodamente posto sulle bianche spiagge di Cancun in seguito alla sconfitta patita per 4-2 nella serie del primo turno contro i modesti Knicks. A differenza di altre occasioni, le parole nel postpartita dette dai protagonisti di questo ennesimo fallimento lasciano in tempo che trovano e la franchigia della Pennsylvania si affaccia ad una offseason di decisioni cruciali che potrebbero decretare la fine di The Process per come lo abbiamo conosciuto fino ad ora. La serie ha esposto tutti i limiti della squadra di coach Nick Nurse, che ha fatto scelte comprensibili accettandone le estreme conseguenze senza tentare alcun tipo di aggiustamento. Cosa già vista (lo avevamo anticipato anche QUI) in altre edizioni altrettanto perdenti dei Sixers. Questi erano nettamente la squadra con più talento della contesa ma, invece di massimizzare i propri punti di forza, sono crollati sotto il peso di un attacco incapace di creare sistematicamente vantaggio e, ancora una volta, sotto i colpi avversi della sorte inferti alla precaria salute di Joel Embiid. L’MVP in carica, oltre a non essersi affatto ristabilito completamente dall’infortunio al ginocchio patito durante la stagione, è stato alle prese con la Paralisi di Bell, probabilmente generata dai farmaci assunti per superare il dolore. Questo, al netto dei grezzi numeri che potrebbero far pensare diversamente, ha eliminato quasi completamente l’impatto di Embiid dalla serie, condizionando i Sixers sia in attacco che in difesa in modo probabilmente decisivo.

Difensivamente il piano di Nurse è stato da subito evidente: vivere o morire sulle percentuali di Jalen Brunson, non avendo un difensore d’élite da spendere sull’unico attaccante di alto livello degli avversari, orfani anche di Julius Randle e che hanno perso presto nella serie Bojan Bogdanovic. Embiid in drop coverage estrema per provare a preservarlo il più possibile, gli altri 4 impegnati a cambiare senza cercare rotazioni troppo aggressive, vista l’assenza di giocatori abili a passare sui blocchi, e un po’ di show e stunt per cercare di sparigliare le carte. Quando Brunson iniziava a tracimare, Philly lo raddoppiava ma, complice l’immutabile drop coverage di Embiid, questo ha generato un’infinità di triple aperte per DiVincenzo e McBride finendo per non pagare dividendi. Brunson dal canto suo ha fatto una buonissima serie dal punto di vista realizzativo, pur con un non altissimo 52.5% di True Shooting, ma il fatto che due partite delle 4 vinte dai Knicks siano state sigillate da una tripla di Josh Hart non è un caso ed è un messaggio che i Sixers devono recepire. Hart è un glue guy, un attaccante scarsissimo e un abilissimo difensore e rimbalzista che il coach si è guardato bene dal togliere dal campo per più di qualche minuto. Il dominio della squadra di Thibodeau a rimbalzo d’attacco ha generato un’infinità di secondi tentativi ed è stato l’altro perno della vittoria in questa serie. I Sixers in questi 7 anni di Playoffs hanno fatto scelte radicalmente opposte, liberandosi di tutti quei giocatori fenomenali in difesa ma giudicati non sostenibili in attacco, passando così dallo schierare un DPOY caliber al non avere alcun modo di limitare la superstar avversaria. Per una franchigia che parla di vincere titoli e che dovrebbe coronare The Process con la vittoria dell’anello è una regressione francamente inaccettabile.

Dall’altro lato del campo le cose non sono andate particolarmente meglio. La precaria salute di Embiid – centro di gravità di un attacco non fondato su un sistema che cerchi di generare buoni o ottimi tiri, piuttosto un perpetuo tentativo di far prendere al camerunense un tiro, indipendentemente da quanto brutto sia – ha tolto ritmo e pericolosità ad una squadra non particolarmente brillante. Prova ne sono gli innumerevoli tiri scoccati dalla linea dei tiri liberi, nonostante uno o due compagni liberissimi sul perimetro, il cui linguaggio del corpo ha indicato chiaramente la consapevolezza che quella palla non sarebbe mai arrivata, e l’inusuale quantità di azioni empty corner che si sono viste. Non c’è naturalmente nulla di aprioristicamente sbagliato nel tentare di vincere con un sistema eliocentrico dove la stella viaggia a una usage% vicino al 40% ma è ovvio che, se la stella in questione non ha gamba e produce una quantità allarmante di palle perse, si fa tutto incredibilmente difficile, per quanto un talento straordinario come Tyrese Maxey, fresco vincitore del premio come Most Improved Player, possa tirare fuori dal cilindro una prestazione da 47 punti con un clutch time leggendario. Oltre alle questioni cliniche, anche il buonissimo lavoro di Hartenstein e Robinson, con l’aiuto di Achiuwa, ha contribuito a levare efficacia all’MVP, per l’ennesimo anno orfano di un backup presentabile che potesse regalare a lui del riposo e alla squadra delle soluzioni differenti. Anche in questo caso, abbiamo assistito a una riproposizione ripetuta e inefficace: l’entry pass per il post alto di Embiid molto lontano da canestro, che rende il centro di Philadelphia il giocatore con più ricezioni spalle a canestro di questi Playoffs, ben 7.5. Inoltre, in una serie tirata come questa, dove la differenza tra i punti totali è stata di 1, le panchine hanno avuto un peso decisivo e per l’ennesimo volta i Sixers non hanno trovato nelle forze fresche quello di cui avevano bisogno. A parte l’exploit di Buddy Hield in Gara 6 e le buone prestazioni di Cam Payne, le rotazioni hanno portato pochissimo alla causa, complici anche Kelly Oubre Jr., stranamente a disagio con le triple open o wide open, e Nicolas Batum, probabilmente prossimo al ritiro, a corrente alternata.

Ultimo ma non ultimo dei problemi che hanno afflitto i Sixers in questa serie e in tutte le precedenti run è Tobias Harris. Gli 0 punti registrati nell’ultima partita giocata con la maglio di Philadelphia fotografano perfettamente il fallimento che questi 180 milioni di dollari per 5 anni siano stati. Giocatore dannoso, assolutamente inadatto ai palcoscenici sui quali le luci sono più intense che mai e ottusamente ostinato nel giocare il proprio basket indipendentemente dalle necessità della squadra. In 7 anni sono stati metaforicamente gettati sotto il bus un sacco di elementi passati per la città dell’amore fraterno, ma in qualche modo lui è stato in grado di attraversare un fallimento dopo l’altro senza subire alcuna conseguenza. Di fatto, non ha mai visto ridursi i propri minuti e nemmeno la quantità di palloni che transitano dalle sue mani, dando in cambio solo l’abbandono degli isolamenti e dei jumper dalla media, scomparendo da ogni singolo elimination game che abbia disputato, compreso quello contro Atlanta che costò a Ben Simmons la carriera, ma che vide lui tirare 2/11 dal campo senza che questo sembrasse problematico a nessuno. La prestazione in Gara 6 certifica e sigilla il suo status di uno fra i peggiori giocatori della storia a ricevere il (quasi) massimo salariale e di questo disastro l’unico responsabile è il Front Office dei Sixers.

Front Office che ha in estate la possibilità di riscattare gli orrori del passato grazie a 55-65 milioni di dollari da investire. Estensione di Embiid e 5×207 a Maxey che diventa restricted free agent a parte, l’offseason sarà piena di incognite e di novità. Resta probabile che, nonostante il nuovo CBA lo disincentivi fortemente, Daryl Morey proverà a portare un’altra superstar a Philadelphia, con la personale speranza che sia LeBron James, magari spendendo la scelta numero 16 per il figlio. I Sixers hanno un disperato bisogno di un playmaker che possa performare ai Playoffs e di trovare un difensore che possa stare sulla stella avversaria se vogliono avere qualche chance di coronare The Process, sempre più agli sgoccioli.