FOTO: New York Post

Il concetto di “addition by subtraction” si applica (fin troppo) bene ai New Orleans Pelicans. L’elemento chiave di questo ragionamento è Zion Williamson, senza alcun tipo di dubbio il giocatore più talentuoso e qualitativamente “forte” a disposizione di coach Willie Green, il cui rendimento – e soprattutto impatto – è però tutt’altro che stabile. Colpa dello stato fisico? Delle tendenze del giocatore? Del decision making? Possibile, ma non necessariamente probabile. Il roster di NOLA è infatti molto atipico: vede in Zion e Brandon Ingram – e, pur in misura minore, CJ McCollum – stelle prevalentemente ball dominant, magari dotate di potenziale senza palla ma inserite in un attacco molto statico, che necessiterebbe di tiratori attorno come valvola di sfogo per penetrazioni contro la difesa schierata o raddoppi. Il solo problema è capire dove siano questi tiratori. La sola luce in fondo al tunnel è rappresentata da Trey Murphy III, il role player in squadra con il volume abbondantemente più alto, a quota 7.8 triple tentate a partita convertite con il 38%. Jordan Hawkins poteva essere una (buona) idea, ma il rookie è progressivamente uscito dalle rotazioni e, in sua vece, si sono inseriti maggiormente – talvolta in coppia nel back-court – Jose Alvarado, Dyson Daniels o Naji Marshall (che non vede il campo da qualche gara) nel tentativo di “abbassare” i quintetti per circondare Williamson di trattatori di palla e tiratori statici sugli scarichi, spesso rimuovendo anche Valanciunas per fare spazio a Larry Nance Jr. Se questo in stagione ha pagato i dividendi – il quintetto Marshall-Alvarado-Murphy-Zion-Nance ha un net rating on/off di +13.8 (98esimo percentile) su 492 possessi, con ottime percentuali di conversione delle triple, a 38.9% (83esimo percentile) – su tutte e due le metà campo, nel matchup con i Lakers ha portato i Pelicans a essere massacrati in termini di taglia (ne abbiamo parlato QUI). Questa estremizzazione è, come detto, figlia della ricerca disperata di spaziature che non solo possano aprire linee di passaggio, ma anche di penetrazione per le scorribande al ferro di Zion Williamson. La figura di Herb Jones, per quanto si tratti di uno dei migliori difensori della Lega – che sia in aiuto, sulla palla o a navigare sui blocchi – subisce e allo stesso tempo influenza il gioco del prodotto di Duke, pur tirando con il 41.8% da tre punti in stagione. Perché? Perché, pur essendo il role player dei sogni, viene ancora battezzato, permettendo alle difese di poter convivere con una sua tripla wide open piuttosto che aprire l’area a Williamson. La stessa cosa vale per Larry Nance, e si potrebbe parzialmente estendere questo discorso anche a Jonas Valnciunas, del tutto inadatto a convivere con Zion sia per questioni offensive, che difensive, ma non necessariamente deleterio in altri sistemi. E fin qui ci siamo limitati solo all’attacco, ma la coperta non si allunga per niente nemmeno in difesa: la stella dei Pelicans è talvolta pigra e tende a perdersi tagli o a non ruotare con i tempi giusti, perciò mettergli attorno un rim protector primario e soprattutto difensori di livello in aiuto, capaci di combattere anche sui blocchi, è la condizione che spiega la presenza di Herb Jones o dei quintetti con la “doppia guardia”. Questione che però riporta il focus sui problemi offensivi, o di taglia, appena elencati. Un circolo vizioso e un rebus difficilmente risolvibile, che non a caso ha prodotto risultati come i seguenti:

Per quanto noioso, serve un lavoro sui dati. I quintetti messi in vista da Cleaning the Glass sono solo quelli con 100+ possessi giocati, mentre il differenziale totale tiene conto di tutte le lineup utilizzate. Come si può notare, i Pelicans hanno un ottimo rendimento quando CJ McCollum e Brandon Ingram sono in campo, ma Zion è fuori; al contrario, il quintetto senza BI con il maggior numero di tempo speso sul parquet fatica molto, sebbene la situazione poi vada a sistemarsi nei 193 possessi con Nance al posto di Valanciunas. Siete curiosi di sapere come rendono le lineup con tutti e tre? Hanno tutte on/off net rating negativo: -3.0 totale, 38esimo percentile; -1.3 il quintetto titolare su 905 possessi stagionali, 40esimo percentile; -4.9, 28esimo percentile, se si sostituisce Nance con Valanciunas. Negativo anche l’on/off stagionale dei “Big Three” presi singolarmente, dal meno grave -0.1 e -0.6 rispettivamente di Ingram e McCollum, al pessimo -4.8 dello stesso Zion. Tutto ciò è a dir poco atipico per una squadra dal record positivo, fino all’ultima giornata candidata a occupare il sesto posto, arrivando direttamente ai Playoffs. Le statistiche non dicono tutto, ovviamente, ma sono un ottimo specchio di quello che, sempre più in questi anni, sta diventando un tema difficilmente ignorabile: la convivenza di Brandon Ingram e Zion Williamson è molto problematica. I due mancano certamente di esperienza ai Playoffs per poter esprimere certi giudizi, ma questa prima gara di Play-In contro i Lakers, e quella precedente, ne hanno procurato già un assaggio. Si prenda, per esempio, il parzialone nel quarto periodo aperto da New Orleans contro i giallo-viola prima che Williamson uscisse dal campo per infortunio:

Notate qualcosa? Sia Ingram, sia McCollum sono fuori dal campo, rimpiazzati da tiratori in catch&shoot, capaci di difendere su più ruoli o con aggressività sulla palla – senza peccare in termini di taglia, essendoci allo stesso tempo sia Jones, sia Murphy – e con un rim protector più abile e versatile di Valanciunas, e soprattutto più capace di correre in transizione e di convertire sporadicamente il tiro pesante con buone percentuali. Questo è, in sostanza, il sistema ottimale se si vuole utilizzare Zion Williamson come creator primario: tanta corsa, tanto campo per permettergli di agire senza palla, azioni atte a sgomberare il lato. Analizzare i semplici quintetti, nella pallacanestro, non serve assolutamente a nulla, ma questo non è un discorso di “lineup”, bensì di esecuzione: Ingram – come Zion – ha bisogno di molti possessi palla in mano, si muove meno di un Murphy in uscita dai blocchi e, anche qualora lo facesse, rallenterebbe comunque il pace andando a cercare il proprio spot preferito nella zona del mid-range – chiudendo ancor di più il campo e togliendo ritmo all’attacco. E soprattutto non può offrire un certo tipo di intensità difensiva necessaria a “coprire” i difetti di Williamson. Allo stesso identico modo, la presenza del prodotto di Duke non permette a BI di mettere in atto il proprio gioco con i risultati voluti, e anche qui se ne è avuta una dimostrazione nelle due gare contro i gialloviola, con una sequenza particolarmente esplicativa sul finire del primo quarto della sfida all’ultima giornata di Regular Season:


Sia chiaro, tutte queste cose – e vale per entrambi – sono visibili anche quando i due sono in campo contemporaneamente, ma con meno frequenza e soprattutto con meno costanza. Se uno è in ritmo, e pertanto fagocita l’attacco di squadra, l’altro non è abbastanza scalabile per contribuire a ottimizzarne il rendimento. E qui subentrano anche colpe del coaching staff, al di là dei difetti individuali. Coinvolgere molto di più Zion senza palla deve essere un imperativo, considerate le sue doti da tagliante e potenzialmente da bloccante (si intende sempre off ball), così come il numero di hand-off giocati da passatore potrebbe essere un plus per fornire a Ingram o McCollum qualche ricezione dinamica in più – si è visto qualche ottimo risultato, sotto questo aspetto, contro i soliti Lakers. Uno sviluppo di questo tipo, per questo nucleo, potrebbe garantire meno prevedibilità per un attacco che ha faticato, tanto, in questi primi bocconcini di post-season.

Ecco perché, nonostante il minutaggio al rientro dall’infortunio non sia stato elevato, così come il livello delle prestazioni, Brandon Ingram potrebbe addirittura beneficiare dell’assenza di Zion Williamson contro i Kings, e con lui il resto dei Pelicans. Quello adottato dal coaching staff in assenza della propria primissima stella è un sistema più “tradizionale”, con handler dotati di scoring su tre livelli e di conseguenza più complessi da marcare, capaci di trovare soluzioni anche qualora venga tolta la via del pitturato; lo stesso Ingram è un abilissimo passatore, capace sia di emulare le ricezioni al gomito tanto amate dal compagno sia di creare per i compagni fronte a canestro – la serie Playoffs contro i Suns nel 2022, sotto questo aspetto, ne è un manifesto.

Questo non significa che i Pelicans partano avvantaggiati in assenza del loro “miglior” giocatore, anzi, è probabile che escano travolti dall’energia di Sacramento, sarebbe una follia pensare che una squadra possa migliorare privata di una serie enorme in più di opzioni. Il fatto è che, come insegna appunto la “addition by subtraction”, questo sistema è più rodato in certi contesti, meno in altri, trattandosi di una costruzione del roster molto atipica e ricca di difetti. La sfida contro i Kings sarà un grande banco di prova, vedremo come funzionerà la New Orleans priva di Zion Williamson, soprattutto nel tentativo di capire se, a fine stagione, sarà necessario smuovere un po’ le acque.