Il calendario dice che marzo è ormai passato, ma la March Madness del college basket non si è ancora fermata! Questo weekend UConn, Alabama, Purdue e NC State si giocheranno le Final Four per aggiudicarsi il titolo NCAA del 2024. Andiamo insieme a scoprire i giocatori più interessanti delle squadre protagoniste.

ZACH EDEY (PURDUE)

Il giocatore più dominante del panorama NCAA, da almeno due anni ormai, si chiama Zach Edey. Vincitore del premio di giocatore dell’anno nel 2023 e frontrunner per ripetersi in questa stagione, il centro di Purdue gioca come un adulto tra i bambini. 224 cm di onnipotenza cestistica, grazie ai quali ha chiuso la stagione a 25,0 punti, 12,2 rimbalzi e 2,2 stoppate di media, guidando i suoi Boilermakers a un record di 33 vittorie e solo 4 sconfitte e il conseguente primo seed nella March Madness. Una stagione da record in cui Edey ha registrato il più alto numero di Offensive Win Shares della storia NCAA (7,58), superando due leggende del basket collegiale come Kemba Walker e Steph Curry.

Certamente Edey domina perché è gigantesco, ma ridurre i suoi meriti alla stazza sarebbe un’analisi troppo semplicistica. Zach Edey è un signor giocatore di pallacanestro. Il suo punto forte è il gioco spalle a canestro, che in NCAA sopravvive ancora soprattutto grazie all’area più piccola che permette ricezioni più vicine al ferro. Edey ama ricevere sul lato sinistro del campo per scatenare la sua signature move, il semigancio destro a centro area, inarrestabile sia per l’altezza a cui viene rilasciato sia per la morbidezza del suo tocco. E se la difesa lo aspetta sulla solita spalla sinistra, Zach ha ormai imparato a leggere la posizione del difensore e trarne vantaggio con virate o drop step verso il fondo.


Uno skillset in post up semplice ma quasi inarrestabile, neanche con le maniere forti. Tante difese hanno provato a fermarlo con fisicità e colpi proibiti (11,5 liberi di media in stagione), ma è sempre stata una scelta controproducente perché Edey tira i liberi con un buon 71,0% e gode di un conditioning straordinario per un giocatore della sua stazza. Nonostante il logorio delle botte spalle a canestro, coach Matt Painter lo tiene praticamente sempre in campo e lui non mostra mai segni di perdita di lucidità o efficienza.

L’unico modo per limitarlo è ridurre il numero di ricezioni e sporcargli il pallone appena lo mette a terra o quando lo porta in alto prima del solito gancio destro. Oppure raddoppiarlo, ma è una scelta rischiosa. Infatti Edey è un passatore educato, con vista dall’alto e un ottimo timing per uscire dai raddoppi e il roster di Purdue è costruito appositamente per sfruttare la sua gravity. Al fianco del centro boa si alternano sempre almeno 3 o 4 specialisti del tiro da 3. Ben 5 giocatori di Purdue tirano con il 42,9% o più da tre punti, tra cui spiccano Fletcher Loyer (44,1%), Braden Smith (43,9%) e Mason Gillis (47,5%).

Pick your poison. Contro Purdue la coperta è sempre corta, ma se dovessi scegliere come affrontarli, opterei per il raddoppio sistematico, sperando nel favore delle percentuali al tiro dei comprimari, come aveva fatto la numero 16 FDU nello storico upset dello scorso anno.

Qualcuno si domanderà, leggendo di un tale dominio, perché Zach Edey non venga chiamato con la scelta numero uno del Draft 2024. Semplicemente per l’evoluzione analitica del gioco, che ha portato alle soglie dell’estinzione due archetipi di giocatore: i lunghi che giocano in post up senza un tiro da 3 affidabile e i lunghi con una mobilità perimetrale insufficiente. Nonostante enormi miglioramenti in termini di mobilità negli ultimi due anni, Edey cade in entrambe le categorie, per questo c’è grande incertezza sulle sue reali possibilità di avere una carriera di successo in NBA. Sicuramente qualcuno lo sceglierà, probabilmente al primo giro, ma è difficile che una squadra spenda una scelta alta per un giocatore che potrebbe non avere giocabilitá in un contesto da Playoff.

MARC SEARS (ALABAMA)

Dopo avere perso in una sola estate Brandon Miller, Noah Clowney, Jahvon Quinerly e Charles Bediako, Alabama era alla ricerca di un leader e l’ha trovato in Marc Sears, point guard Senior ma solo al suo secondo anno da Crimson Tide dopo il transfer da Ohio University.

Il Jalen Brunson 2.0 è il dominatore che non ti aspetti. É piccolo e non molto atletico ma, proprio come il suo sosia, è crafty e ha un controllo del corpo e dei tempi di gioco magistrali grazie a cui riesce sempre a creare separazione e vantaggi. Dopo una stagione da 21,5 punti di media, nel torneo NCAA ha alzato ulteriormente il rendimento e viaggia a 24,3 punti con il 64,3% di true shooting. Inoltre tira da 3 in maniera celestiale, sia dal palleggio sia in catch and shoot. In stagione tira con il 43,4% da 3 su quasi 6 tentativi a partita, con un rilascio basso ma fulmineo.

Sears ha tutte le caratteristiche della point guard leggendaria a livello di college ma che poi non riesce a trovare un posto di rilievo in NBA, a causa dei limiti fisici. La sua carriera probabilmente seguirà una traiettoria simile a quelle di Yogi Ferrel e Shabazz Napier ma, se la convocazione all’All Star Game di Brunson ci ha insegnato qualcosa, Vecchioni gli direbbe “sogna, ragazzo, sogna”.

GRANT NELSON (ALABAMA)

Abbiamo detto che Alabama ha dovuto rimpiazzare parecchi grandi nomi che hanno lasciato dopo l’ultima stagione, e per farlo ha ricorso a piene mani al transfer portal, da cui ha ricavato Aaron Estrada, Latrell Wrightsell Jr. e soprattutto Grant Nelson.

Se Edey è un archetipo di lungo ormai fuori moda, Nelson è una collezione all’ultimo grido. Un prototipo di lungo ipermoderno, con taglia (211 cm) e allo stesso tempo una mobilità da esterno che gli garantiscono una versatilità difensiva davvero interessante. Può giocare da unico lungo, perché garantisce rim protection e buona presenza a rimbalzo, ma anche di fianco a un altro big marcando un giocatore perimetrale. Switchabile e rapido, sembra nato per giocare nel positionless basketball di oggi.

In attacco ha fatto vedere di tutto un po’, ma ancora niente a livello NBA, forse il principale motivo per cui in molti mock Draft il suo nome non è nemmeno presente. Nelson è un grande progetto, ancora lontano da trovare la sua versione definitiva nonostante sia un Senior di 22 anni. Può mettere palla per terra e crearsi il tiro da solo con coordinazione e ball handling sorprendenti, giocare da rollante sul pick and roll e andare a rimbalzo offensivo. Inoltre ha upside come tiratore da tre punti, anche se le percentuali non lo assistono ancora (29,4% da 3 in carriera, 27,4% quest’anno).

Anche se i suoi flash di talento non si sono ancora trasformati in continuità offensiva, è uno dei giocatori più affascinanti di queste Final Four e per cui crediamo che varrebbe la pena investire una pick al secondo giro.

DJ BURNS (NC STATE)

La vera sorpresa della March Madness 2024 sono i Wolfpack di NC State che, sotto la guida di D.J. Burns, nell’ultimo mese hanno stregato l’NCAA con una cinderella story da film di Hollywood. Ma facciamo un passo indietro: NC State ha concluso la stagione precedente con una sconfitta al primo turno contro Creighton e la perdita di due pezzi importanti nelle guardie come Terquavion Smith (ora nella squadra di G-League dei Sixers con 23 punti di media a partita) e Jarkel Joinier, alleviata dall’entrata però di DJ Horne, transfer da Arizona State, un ottimo scorer dalla mano raffinata che consigliamo vivamente di tenere d’occhio.

La regular season si avvia in maniera piuttosto positiva ma termina in maniera disastrosa, perdendo 7 delle ultime 9 partite. Entrando nell’ACC tournament non ci sono grosse aspettative, ma quello che succede da lì in poi è assolutamente magico: NC State vince rocambolescamente il torneo di conference e si garantisce un biglietto per la March Madness, trionfando con 5 vittorie in 5 giorni consecutivi (l’unica altra squadra nella storia NCAA ad esserci riuscita è stata la UConn di Kemba Walker nel 2011), grazie in particolare alla vittoria contro Duke, dopo la quale Horne pronuncia l’instant classic balotelliano “Why not us?”, e alla tabellata allo scadere di O’Connell per forzare l’overtime contro Virginia.

La Cinderella run di Burns e compagni parte dall’undicesimo seed (la loro quota iniziale per la vittoria del torneo era di 151); battono in ordine Texas Tech (#6), Oakland in overtime (#14) e Marquette (#2) prima della vittoria di domenica scorsa contro Duke nell’Elite Eight, arrivando così alle Final Four per la prima volta dal 1983.

Il vero eroe di questa storia è dunque D.J. Burns, un’ala grande/centro di soli 206 cm (probabilmente meno) ma 125 chilogrammi (probabilmente di più) di pura forza fisica. La sua caratteristica principale è l’incredibile tecnica nel gioco in post o fronte a canestro sia dal gomito che dalla linea di fondo. Riesce infatti a neutralizzare i difensori più alti grazie ad un impressionante footwork, che gli dà la possibilità di fare efficaci spin move e di finalizzare con un educatissimo floater o con un morbido tiro dalla media.

Il valore aggiunto di Burns è la sua visione di gioco, grazie alla quale è in grado di trovare l’uomo libero quando viene raddoppiato, oppure il tagliante approfittando di difese distratte. Il suo fisico enorme, inoltre, lo rende un bloccante di lusso, obbligando così le difese ad aggiustamenti non banali. 

Il vero problema di D.J. è che è nato con circa 30 anni di ritardo: ormai ciò che offre lui non è più richiesto dall’NBA, poiché l’attacco dal post da lunghi che non si chiamano Jokic è quasi scomparso. L’atletismo è l’altro grosso problema, Burns è troppo basso per essere un centro NBA (quest’anno ha messo a referto solo 4,8 rimbalzi a partita), non offre rim protection ed è troppo poco agile per difendere sui 4.

Molti fan lo paragonano – giustamente –  a Zach Randolph; premettendo che la differenza di livello tra i due è evidente, bisogna considerare che forse nell’NBA moderna non ci sarebbe così tanto spazio nemmeno per Z-Bo. Non siamo nemmeno sicuri che la capacità di andare a canestro si possa traslare così bene contro difensori più agili di quelli che ha incontrato finora.

Degne di nota sono le discussioni di numerosi scout e GM della NFL, che starebbero considerando Burns come offensive tackle in una possibile transizione dalla pallacanestro al football americano, anche se ad oggi il  suo obiettivo rimane l’NBA. Con tutta probabilità non verrà scelto nel Draft di quest’anno, ed è possibile che finisca a giocare in G-League, ma dovrebbe considerare seriamente la possibilità di giocare in Europa, dove i lunghi come lui non solo hanno la possibilità di giocare ma anche di avere grande successo.

D.J. Burns rappresenta in pieno NC State, l’energia che mette in campo e la voglia di rivalsa nei confronti di chi non credeva in lui o nei suoi compagni lo hanno reso l’assoluto protagonista non solo del Wolfpack ma di tutta la March Madness, per cui adesso è quasi impossibile non essere dalla sua parte. E allora, con tutto questo tifo sulle spalle, mi viene da chiedere ciò che Horne si chiese dopo la vittoria contro Duke: “Why not us?”

DONOVAN CLINGAN (UCONN)

UConn entrava nel torneo NCAA da assoluta favorita, e non ha fatto altro che confermare le aspettative iniziali, arrivando con relativa tranquillità alla Final Four, vincendo tutte le partite del torneo di almeno 17 punti.

L’anno scorso gli Huskies hanno dominato la March Madness vincendo tutte le 6 partite di almeno 10 punti, inclusa la finale contro San Diego State, ma da allora ha perso nomi importanti come Adama Sonogo, Andre Jackson Jr. e Jordan Hawkins, che sono stati sostituiti da un ricco gruppo di nuovi prospetti in uscita dall’high school, capitanati da Stephon Castle, che danno la sensazione che UConn abbia tutte le carte in regola per il back-to-back.

Coach Dan Hurley ha creato uno degli attacchi meglio organizzati dell’NCAA, contraddistinto da una vasta quantità di tagli e continui movimenti di giocatori e palla. Infatti quello di UConn è sia l’attacco più efficiente tra tutti i college, con ben 1.23 punti per possesso, sia quello che in media utilizza più secondi per possesso, 18.6 secondi (per capirci, Alabama che ha un attacco altrettanto efficace utilizza ben 4 secondi in meno). 

Ma parlando dei singoli giocatori, quello che risalta di più è il centro Donovan Clingan, che sta piano piano salendo le classifiche di tutti i mock Draft, e ora è previsto in top 10 o addirittura top 5. Con i suoi 218 cm e 127 kg, Clingan ha messo a referto 12,6 punti, 7,2 rimbalzi e 2,2 stoppate a partita, in soli 22 minuti di media e con il 64,3% dal campo.

Quello che impressiona di più di Clingan è la sua capacità di prendere posizione sotto canestro sfruttando la stazza e approfittando di ogni cambio difensivo che, insieme all’abilità di controllare molti passaggi “sporchi”, lo rende difficile da fermare. Porta inoltre blocchi eccellenti, sia on ball che off ball.

La sua visione di gioco è buona per essere un centro, sa sia passare la palla dal post basso al tagliante sia fare letture interessanti fronte a canestro. Clingan va un po’ in difficoltà in post contro centri della sua stazza, e in particolare il suo gancio è decisamente migliorabile. Terribile invece la sua percentuale ai tiri liberi, con un 57,4% che lo rende vittima di difese estremamente fisiche.

Dall’altro lato del campo è invece eccezionale la sua difesa sul Pick&Roll, dove è in grado di chiudere efficacemente le linee di passaggio e allo stesso tempo contenere il portatore di palla  grazie alla sua buona mobilità e al saggio utilizzo delle braccia per creare volume. È molto lucido anche in aiuto, motivo per cui è un ottimo rim protector. In poche parole, è in grado di fare tutto quello che viene richiesto a un centro della sua stazza. Il problema più grande? Il suo fisico molto fragile, che lo costringe a bassi minutaggi.

STEPHON CASTLE (UCONN)

Un altro giocatore da tenere d’occhio è Stephon Castle, playmaker con taglia (198 cm), atletico, dinamico e con un’ottima capacità di sbilanciare i propri difensori andando a canestro, sfruttando il suo ampio arsenale, tra cui un floater elegante e un ottimo euro-step. Castle è dotato anche di ottimo playmaking, un saggio utilizzo del Pick&Roll e letture giuste in generale. Il problema principale è il suo tiro, sia dalla media che da tre punti, dove riesce a convertire soltanto il 26,2% dei tentativi.

E dall’altro lato del campo? On-ball è un ottimo difensore, che riesce a utilizzare il suo atletismo per mettere in difficoltà l’attaccante, a costo di risultare un po’ troppo aggressivo alla ricerca del pallone, facendo fallo oppure perdendo l’uomo; off-ball spesso legge in anticipo le linee di passaggio, procurandosi palle rubate partire in contropiede.

Attualmente Castle sembra destinato a essere scelto attorno alla 14esima pick, a nostro parere leggermente basso per le sue potenzialità, forse a causa del gioco corale di UConn che non gli ha dato la possibilità di far vedere totalmente di cosa sia capace. Potrebbe rivelarsi una ‘steal’ nel caso in cui riuscisse a sviluppare un tiro solido.

ALEX KARABAN (UCONN)

Vogliamo infine spendere due parole sull’ala piccola degli Huskies, Alex Karaban, un ottimo 3&D con un tiro abbastanza strano, vagamente simile al tiro di Lonzo Ball a UCLA, ma efficace (38,2% da 3 in stagione). Il suo problema più grande è la carenza di atletismo, in particolare negli aspetti di velocità e accelerazione, ma potrebbe rivelarsi un’arma importante per UConn e potenzialmente anche in NBA. Al momento i mock Draft lo quotano intorno alla 55esima pick.