Uno sguardo dettagliato sulla difesa dei Boston Celtics e sulle possibile applicazioni nella serie contro Brooklyn.
I Boston Celtics sono stati una delle migliori squadre della scorsa Regular Season. Con un record di 51-31, il roster del Massachusetts ha ottenuto il secondo posto nella Eastern Conference, diventando anche la prima squadra nella storia NBA a chiudere la stagione con oltre 50 vittorie partendo da un record negativo a metà della stessa.
Proprio l’inizio di Regular Season aveva lasciato non pochi dubbi sulla bontà delle operazioni estive di Brad Stevens, al tempo neo-GM a Boston. L’ex coach aveva rivoluzionato il roster, cercando di non stravolgere il nucleo originario formato da Tatum-Brown-Smart e Timelord, dopodiché aveva scelto l’esordiente Ime Udoka come suo successore creando un hype generalizzato che non ha giovato alla squadra.
In quel di gennaio la situazione era al limite dello psicodramma. Il record recitava un deludente 20-21, si percepiva un’apatia generale e lo spogliatoio sembrava pronto ad implodere con conseguente crollo del castello di carte. Addetti ai lavori e non si facevano domande su chi sarebbe stato il primo ad essere scambiato alla deadline (Smart? Brown?) e le prospettive non erano per nulla rosee.
“The energy shifts”, la riscossa dei Boston Celtics
L’inatteso turning point arriva nella gara esterna contro i Pelicans vinta per 107-97. Da questo momento, i Celtics inanellano ben 9 vittorie consecutive, di cui alcune roboanti, come il 135-87 contro i Sixers.
Boston sembra trasformarsi come nel celebre romanzo di Robert Louis Stevenson; Tatum e Brown salgono di tono, Timelord e Smart si sfidano su chi debba essere il DPOY e coach Udoka vede la sua creatura finalmente pronta a volare.
Non ci è dato sapere cosa sia successo in quel periodo. A questa domanda Jaylen Brown si è limitato a rispondere con un “the energy shifts” senza aggiungere altro, seguito a ruota da Smart e Brad Stevens. Quello che possiamo analizzare, però, è come la squadra abbia trovato il suo equilibrio, una propria identità.
Finiti gli esperimenti (necessari per un coach che deve conoscere i suoi uomini) e stabilizzatesi le rotazioni, Tatum e compagni hanno iniziato a macinare gioco e risultati.
Se l’attacco ha visto una circolazione di palla più fluida con i JAYs maggiormente responsabilizzati, è stato il rendimento difensivo a rendere i Celtics quasi imbattibili nella seconda metà di stagione. Ora che il secondo seed ha portato in dote con sé i temibili Brooklyn Nets di Durant e dell’ex Irving, ecco che la difesa assurge a vero e proprio baluardo contro due dei migliori realizzatori di tutta la NBA. Proviamo a capire quali fattori abbiano reso la difesa dei Celtics una delle più ostiche da affrontare in tutta la lega e come questa potrà affrontare i Nets.
Versatilità al comando: il positionless dei Celtics
La versatilità è senza dubbio il fattore principale da tenere in considerazione quando si vuole parlare della difesa di Boston. Il famigerato positionless, sempre più in voga nella NBA moderna, è stato rivisitato in chiave Celtics da Udoka ed il suo coaching staff, che hanno scommesso tutto sulle caratteristiche dei propri atleti. Quello che ad inizio anno sembrava uno “switch compulsivo” (vedasi i disastri difensivi contro Knicks e Raptors) con il tempo è diventato un puntuale sistema di cambi che permette a Boston di soffrire molto raramente sui blocchi.
Avere a roster atleti come Marcus Smart (190cm x 100kg), Jaylen Brown (198cm x 101kg), Jayson Tatum (203 cm x 95kg) oltre a Robert Williams (di cui parleremo dopo) ed Al Horford apre molte più possibilità quando si tratta di switchare. Ognuno dei sopracitati è in grado di poter difendere su più ruoli (Smart in tal senso è fuori scala per la categoria) senza patire particolarmente il confronto fisico contro molti attaccanti avversari.
Come ovvio che sia, queste situazioni non possono ripetersi per molti possessi consecutivi. Quando però c’è da serrare i ranghi, ecco che Smart viene accoppiato con lo scorer primario, Horford e Brown (oppure White) si occupano di gestire le situazioni dal pick&roll, con Tatum che risulta in questi casi un ottimo difensore da sistema, essendo capace di contestare bene dal perimetro e garantire con le sue leve quel minimo di rim protection indispensabile per un’ala come lui.
L’aggiunta durante la deadline di Derrick White rappresenta un ulteriore segnale della perfetta sintonia tra Stevens e Udoka. Stevens è stato lucido nel capire le esigenze del roster e, nonostante un sacrificio importante (Langford, Josh Richardson, la scelta 2022 ed il pick swap 2028) si è portato a casa il giocatore ideale per questi Celtics. White, infatti, conosciuto ed apprezzato da Udoka, si è subito calato nella parte tanto a livello difensivo, dove la sua abilità nel contestare i tiri e passare sui blocchi risulta determinante, quanto offensivo, avendo sin da subito capito il suo compito nel roster (uscire dalla panca per portare punti e garantire playmaking secondario).
Questa versatilità verrà messa a dura prova già domenica contro i Nets. KD ed Irving sono due dei migliori scorer della lega e non temono quasi nessun difensore. Concentrare tutti gli sforzi su di loro sarebbe altresì un errore: i tagli di Bruce Brown, le triple di Curry ed i rimbalzi di Claxton e Drummond rischiano di pesare moltissimo nell’economia della gara.
Ecco che i Celtics non dovranno commettere l’errore di inizio stagione: switchare compulsivamente e girare a vuoto sui blocchi, contro Brooklyn, sarebbe devastante. Probabile che soffocare l’attacco avversario mettendo pressione sul portatore di palla e rendendo complicate le transizioni possa non bastare. Boston dovrà essere brava ad inaridire le linee di passaggio accettando, quando necessario, gli uno-contro-uno (i Celtics sono la migliore squadra in NBA sugli isolamenti difensivi), puntando tutto su un sistema di aiuti ben collaudato in 82 partite.
Mantenere quanto di buono fatto in regular season adattandolo al contesto è la sfida più grande che attende Udoka ed il suo coaching staff.
Il fattore Timelord
L’assenza di Robert Williams III dal primo round di Playoffs, malgrado gli ultimi rumors, è una perdita pesantissima per i Celtics. Timelord infatti è, assieme a Smart, uno (se non il) dei motivi principali per cui Boston ha chiuso con il miglior defensive rating di tutta la NBA (106.9).
RWIII ha caratteristiche uniche nel roster bianco-verde: esplosività ed enorme atletismo, elevato IQ cestistico, discrete doti da passatore, mobilità laterale sopra la media ed un timing difensivo ed in aiuto eccezionale, il tutto unito a 203cm x 108kg con 227cm di wingspan che gli consentono di contestare e stoppare praticamente chiunque.
Udoka lo ha messo nelle condizioni ideali per rendere al meglio. L’ex assistente di Popovich ha infatti ricamato un ruolo fatto su misura per le caratteristiche del lungo ex Texas A&M.
Timelord viene spesso utilizzato sull’esterno meno pericoloso avversario: a quel punto sulle penetrazioni il suo impeccabile tempismo in aiuto gli permette di contestare senza problemi l’attaccante sul lato forte, facendo scattare di conseguenza le rotazioni dei Celtics sugli esterni. Williams inoltre può essere coinvolto anche in situazioni di switch sul pick&roll; la sua velocità di piedi gli consente di tenere il primo passo degli esterni rapidi, oscurando la vallata in caso di sottomano (2.2 stoppate per partita non sono un caso).
L’infortunio al menisco sul finire di stagione ha complicato non poco gli schemi e le prospettive future dei Celtics. Infatti, pur essendo Daniel Theis un buon difensore ed un discreto rim protector, non è in grado di garantire la stessa fisicità ed il medesimo atletismo di Timelord.
Allo stesso modo, Grant Williams (con cui Theis divide i minuti) è più adatto, causa l’essere undersized per il ruolo, a quintetti molto piccoli dove poter switchare e sfruttare il suo baricentro basso per prendere poi posizione a rimbalzo.
Limitare le penetrazioni di Irving ed i tagli di Brown, oltre alla presenza sotto le plance dei lunghi di Brooklyn, non sarà impresa facile senza Timelord. La squadra intera dovrà sopperire alla sua assenza con un collettivo sforzo a rimbalzo ed in aiuto (soprattutto Tatum ed Horford) dal lato debole. Theis verrà sfruttato come rim protector primario ed avrà di che battagliare nel pitturato. L’impresa è molto ardua.
La rinascita di Al Horford
L’ultimo punto che vale la pena affrontare parlando della difesa dei Celtics è quello relativo ad Al Horford. Il rientro alla base del lungo è stato fortemente voluto da Brad Stevens che, a ragione, reputa Big Al un membro fondamentale per l’equilibrio tanto sul parquet quanto nello spogliatoio. Leader silenzioso e veterano di spessore, è amatissimo a Boston tanto dai compagni di squadra quanto dai tifosi.
Il suo ritorno in estate tuttavia aveva lasciato più di qualche dubbio (in primis al sottoscritto). L’Horford visto a Philadelphia sembrava un giocatore in netta parabola discendente, tanto da essere spedito ad OKC alla prima occasione utile. I mesi di stop (è stato tenuto infatti out dalle rotazioni ai Thunder per i mesi finali della passata stagione) devono però aver giovato molto al trentacinquenne ex-Hawks.
Horford si è (ri)presentato a Boston tirato a lucido a livello fisico ed il suo impatto è stato a dir poco determinante per la difesa dei Celtics. Pur non avendo più l’atletismo e la mobilità dei tempi d’oro, l’IQ cestistico ed il timing difensivo sono ancora d’elitè.
Impiegato perlopiù nel marcare i centri (permettendo a Timelord di sfruttare i suoi tempi in aiuto), Big Al spesso si trova a swtichare contro le ali avversarie, gestendo senza grossi problemi anche situazioni complicate di mismatch. Udoka ha spesso impiegato Horford come rim protector secondario dietro Timelord, con quest’ultimo che accetta i cambi e Big Al che copre il pitturato in aiuto; l’infortunio di Williams ha cambiato le cose, con Horford costretto a coprire le lacune di Theis e Grant Williams.
In vista della serie contro i Nets l’impatto di Horford sarà determinante. Il dominicano, oltre al classico matchup contro i centri avversari, avrà spesso l’ingrato compito di arginare KD (alternandosi comunque con Smart e Tatum) come accaduto in regular season, essendo uno dei migliori giocatori in iso-difensivo di tutta la NBA.
Le sue doti vocali saranno imprescindibili per Boston, che proprio ad inizio stagione aveva come problema principale una palese mancanza di comunicazione, soprattutto sui close-out e nei tagli backdoor, risolta, in buona parte, proprio da Horford e Smart.
Celtics-Nets, capitolo II
I Boston Celtics hanno scelto di essere padroni del proprio destino decidendo di raggiungere il miglior piazzamento possibile in regular season ed ora sono, ancora una volta, i Nets gli avversari del primo turno. Lo scorso anno solo una sontuosa prova da 50 punti di Tatum impedì all’ex Irving e compagni di operare un beffardo sweep; quest’anno le cose in Massachusetts sono molto diverse.
I Celtics hanno ora una maggiore fiducia nei propri mezzi e in un’identità di squadra a lungo cercata nel corso della stagione. Sarà fondamentale non ricadere in vecchi errori e pessime abitudini qualora le cose si complicassero e quanto di buono fatto nei precedenti mesi venisse messo a dura prova.
Boston ha tuttavia davanti a sé il miglior test possibile per capire a che livello effettivo è il roster, a che punto è la maturazione di Brown e Tatum (per la prima volta leaders di una squadra con legittime ambizioni di successo) e quanto è pronto Ime Udoka per una serie di Playoffs. Queste ed altre domande sono vicine all’ottenere una risposta. La vera stagione dei Boston Celtics inizia al TD Garden, pronto, ora più che mai, ad accogliere i propri eroi.