Ancora una volta i Clippers si trovano legati all’integrità fisica di Kawhi Leonard e a questo punto viene spontaneo chiedersi: sono ancora una contender?

Kawhi Leonard in azione coi Clippers
FOTO: DRAFTKINGS

Non è mai facile rientrare da un infortunio al ginocchio, specie dopo un anno di inattività. Col suo ritorno, però, Kawhi Leonard ha automaticamente rialzato le quote dei Clippers come potenziale contender: quanto questo sarà vero lo si vedrà solo dopo un cospicuo numero di partite e al momento, sulle trentotto giocate, The Klaw è stato in campo per sole sedici volte e mai per più di tre gare consecutive, complice anche un problema alla caviglia che ha richiesto ulteriori trattamenti e precauzioni.

L’injury management ormai è pratica diffusa in NBA e per un giocatore del genere, fondamentale per i losangelini in chiave Playoffs, è diventata la norma. Ma in questo modo cosa si possono aspettare i Los Angeles Clippers dalla loro stella e come sta rispondendo Leonard durante le partite?

I numeri

Al momento Kawhi viaggia a 16.6 punti, 5.9 rimbalzi e 3.8 assist di media, cifre comunque incoraggianti se si considerano tutte le problematiche fisiche. Nelle ultime dieci partite, cinque volte con 24+ punti e un picco di 31 contro Washington.

Le percentuali dal mid-range sono sempre alte, 50.8% che si alza al 74% nell’attacco al ferro, nonostante sia una soluzione meno praticata rispetto alle altre. Il volume maggiore arriva dall’arco, fino ad ora 64 tentativi ma, in questo caso, le percentuali calano drasticamente: con soli 17 tiri realizzati e un modesto 26.6%, Kawhi ha toccato il suo career-low.

Numeri più bassi anche nei tiri realizzati dal campo (6.3 a partita, mai così pochi dalla partenza da San Antonio) e dalla lunetta: anche un ottimo dato come il 78% al tiro libero stona se confrontato con l’84.7% delle dieci stagioni precedenti, e soprattutto la frequenza è praticamente ai minimi storici, con .291 di Free Throw Rate – liberi tirati per tentativo dal campo, appena sopra la media. Gli assist sono in linea con le medie tenute in carriera ma sembra che ultimamente, forse proprio per via di una continua ripresa, Leonard si affidi più spesso ai compagni, soprattutto nelle serate no al tiro.

Il minutaggio di per sé è ancora piuttosto ridotto, ma questo è l’aspetto più normale: recuperare pienamente dopo un infortunio come il suo richiede tempo e pazienza e i Clippers non sembrano voler forzare più di tanto. Al momento il sesto posto in classifica li tiene sopra la linea di demarcazione del Play-In, ma le quattro sconfitte consecutive contro Celtics, Pacers e Heat – e specialmente i Nuggets – hanno messo in evidenza tutti i limiti della squadra e tutta la strada che ha ancora da fare lo stesso Leonard.

Paul George

Il periodo di riadattamento di Leonard ha portato inevitabilmente ad un innalzamento delle responsabilità di Paul George.

Il prodotto di Fresno State sta facendo registrare ottime medie e i suoi 23.7 punti a partita a fronte di un buon 45.1% al tiro (terzo dato in carriera così come quello degli assist, 5.1) stanno tenendo a galla i losangelini. PG è in Top 20 per media punti e palle rubate totali e in Top 10 per media di steals per partita, 1.6. Cifre non lontane da quelle messe in evidenza nel suo anno da candidato MVP.

La sua intervista ad inizio ottobre, in cui ha apertamente detto che “lui è il secondo e Kawhi la prima opzione”, sembra storia vecchia e ormai superata. I Clippers si affidano totalmente a lui e lo stesso Leonard lo cerca nei momenti chiave della partita, non disdegnando ovviamente tiri pesanti, specialmente dal mid-range.

Le qualità di George e le sue solide medie dall’arco lo rendono la minaccia più evidente per le difese avversarie e sempre più schemi vengono adattati per far trovare la palla in mano a lui piuttosto che al numero 2 (senza giochi di parole).

Il capitolo da primo violino però sembra già in stand-by per un problema al tendine del ginocchio che si è riacutizzato nell’ultima partita. PG ha già saltato sette partite tra novembre e dicembre per lo stesso motivo e quindi si prospettano altre gare con un roster dimezzato e privo delle sue stelle.

Il gioco dei Clippers

L’attacco non gira ancora ai massimi livelli nonostante il ritorno delle due superstar. Con un Kawhi Leonard a mezzo servizio e un Paul George giudice, giuria e boia del destino dei Clippers su entrambi i lati del campo (ma anche lui condizionato dal fisico), le possibilità offensive della squadra di coach Lue sembrano abbastanza ridotte. Si fa eccessivo affidamento su PG e si cerca ancora di mettere più possibile in ritmo partita Leonard, coinvolgendo quanto basta i compagni di squadra.

Sette giocatori sono sopra la doppia cifra di media ma di questi solo Ivica Zubac tira con percentuali alte, a fronte comunque di molti meno tiri rispetto agli altri. La second unit è guidata da un terzetto piccolo: Norman Powell, Luke Kennard e John Wall (quando non veste i panni del titolare). I tre non sembrano trovare la quadra sul parquet nonostante discreti numeri individuali e sembrano essere più improntati ad un gioco perimetrale che non ad una vera e propria creazione per i compagni.

Kennard è un tiratore e si sa; Powell alterna prestazioni solide al tiro a vere e proprie giornate di vuoto; Wall è un lontanissimo parente di quello che tutti ricordano a Washington, anche lui (sorpresa) per colpa degli infortuni.

L’attacco a questo punto è un grosso problema, e non si tratta solo di una questione di sfortuna. Numeri alla mano, i Clippers sono ventottesimi per punti segnati per 100 possessi e scendono all’ultimo posto se si guardano i dati messi a referto nell’ultimo quarto. Inoltre, anche grazie a determinate scelte di Tyronn Lue, non ultima quella di schierare insieme Powell, Kennard e Wall, i losangelini stanno perdendo molto anche in termini difensivi.

Non è un caso che con loro tre in campo nello stesso momento Los Angeles abbia subito il maggior numero di punti, specialmente negli ultimi quarti, con un net rating (differenza fra punti subiti e segnati per 100 possessi) negativo di -15.3, al secondo (!) percentile. Contro Miami il quarto periodo ha visto gli Heat vincere 29 a 17, il più largo svantaggio della stagione in un singolo quarto per la squadra di Lue.

La partita di ieri contro Denver è il perfetto riassunto di quanto detto finora. Sicuramente la difesa dei Nuggets ha avuto i suoi meriti, ma il fatto che nessuno dei titolari sia stato in grado di raggiungere la doppia cifra evidenzia un problema che va ben oltre i meriti degli avversari: LA ha tirato con il 37% dal campo e un terribile 13.5 dall’arco, Leonard e George hanno giocato rispettivamente 18 e 13 minuti dopo un tag di “questionable” nel pre-partita.

In conclusione

Il gioco dell’attesa è bello fino ad un certo punto. Questi Clippers erano chiamati al win-now già tre stagioni fa, non appena Leonard e George hanno messo piede in California, e le aspettative non hanno fatto che accumularsi per risolversi sempre in un nulla di fatto. Sconfitta al secondo turno seguita da una sconfitta in finale di Conference, per poi non qualificarsi nemmeno lo scorso anno.

Il ritornello è sempre lo stesso: “Non appena Kawhi e Paul si rimetteranno, saranno una forza ad Ovest”. Ma quanto si può ancora aspettare? Entrambi sono sopra i trenta e con uno storico di infortuni alle spalle che non fa certo ben sperare per il futuro. Se si esclude questa stagione (in cui peraltro entrambi hanno già saltato diverse partite) Los Angeles ha giocato 226 partite dal loro arrivo: Leonard ne ha giocate 109 e George 133, 94 insieme in totale.

Indubbiamente stiamo parlando di due campioni, due giocatori decisivi e fondamentali in entrambe le metà campo, ma la legge dei Playoffs non fa sconti a nessuno e averli meno che in perfetta forma porta inevitabilmente a chiudere in anticipo la stagione.

Il gioco stesso dei Clippers riflette questa necessità di aspettare che uno o l’altro siano in forma, giocando quasi più per mettere i giocatori in condizione per la post-season che non per vincere effettivamente delle partite. Il treno però passa in fretta e, con gare secche nei Play-In, non ci si può concedere il lusso di perdere troppo tempo e uscire dai primi sei posti.

È chiaro a tutti che con loro in forma staremmo parlando di un’altra squadra completamente ma, al momento, Los Angeles sembra bloccata in un limbo. Troppo forti per il tanking, troppo delicati per poter pensare di andare avanti fino alle Finals.

E nel mentre si attende una soluzione, aspettando ancora Kawhi Leonard.