FOTO: CBS Sports

“He’s just getting started.”

Al termine della partita tra Oklahoma City Thunder e Golden State Warriors, Chet Holmgren e Stephen Curry sono al centro del campo, a sorridere davanti alle telecamere dopo essersi scambiati la maglia. Il virgolettato sopra è stato pronunciato proprio dal numero 30 dei Warriors nella conferenza stampa post partita e, per il rookie dei Thunder, dev’essere stata un’emozione speciale, perché nel 2019 i due si erano affrontati in una partita durante un camp estivo organizzato da Steph e il video della giocata di Chet è diventato velocemente virale.

Già da questo assaggio si potevano intuire le sue capacità ma, sarà per l’infortunio al piede (Lisfranc injury) patito ancora prima di giocare un singolo minuto in NBA, col passare del tempo è un po’ scomparso dai radar (non dai nostri, come potete constatare QUI) ed è poi stato completamente eclissato dalla venuta di Victor Wembanyama. Fino ad oggi.

In NBA si sta usando molto, e spesso anche abusando, la definizione “unicorno” per descrivere un tipo di giocatore mai visto prima, uno “one of a kind”: ecco, se avete avuto la fortuna di scorgere quantomeno una partita dell’ex Gonzaga, saprete che questo appellativo non è fuori luogo. Stiamo parlando di un giocatore di 2 metri e 16 centimetri che sta viaggiando – aggiornando alle prime 8 gare – a 16.8 punti a partita, tirando con il 57.5% dal campo, 55.6% da tre e 90% ai tiri liberi, essendo quindi parte del prestigiosissimo club 50/40/90. O meglio, stiamo parlando di un rookie.

Sta impattando le partite a tutto tondo, come per esempio la sua seconda in assoluto in NBA, dove è diventato il decimo nella storia con 7 stoppate e 3 tiri da tre punti segnati in una singola partita, a spese dei malcapitati Cleveland Cavaliers.

Proprio il dominio difensivo gli ha permesso di mostrarsi al grande pubblico anche ai piani alti, dopo quanto fatto vedere al college. Nelle prime 8 partite stagionali ha respinto al mittente la bellezza di 20 tiri in totale, 2.5 di media a partita, dietro solo a Anthony Davis (3.3) e Daniel Gafford (2.6) in graduatoria e davanti al Victor Wembanyama (2.4) di cui sopra.

Nonostante pesi solamente 88kg (stando a quanto riportato dal NBA.com), mettere punti contro di lui al ferro è tutto fuorché una passeggiata: i penetratori e i “mestieranti” a rimbalzo d’attacco lo stanno subendo sulla loro pelle ad ogni partita, in quanto pensano che il suo fisico longilineo sia facilmente superabile – non a caso è il giocatore che sta difendendo più tiri al ferro di tutta la lega, 11.1 a partita – ma più di una volta su due, il 52.8% dei casi, tornano a casa a mani vuote, e quando va male subiscono anche la stoppata.

Da questa clip traiamo anche un altro paio di considerazioni. Gli avversari, in questo caso Steph Curry, semplicemente scelgono di non tentare il tiro quando c’è lui nelle vicinanze, intimiditi, accontentandosi magari di una conclusione a più bassa percentuale, ma quantomeno senza il lungo di OKC nei paraggi.

Lungo che nel contempo ha attraversato tutto il campo per rimanere incollato al numero 30 di Golden State per poi andare a chiudere sulla potenziale conclusione di Andrew Wiggins, scoraggiato dal prendere il tiro da tre vedendo l’apertura alare di 231 centimetri del rookie dei Thunder.

L’enorme lunghezza delle braccia è di grande aiuto anche nella difesa pick&roll, oltre che nei close-out, perché limita le finestre di tempo e di spazio che il palleggiatore ha a disposizione per prendere una decisione. Può permettersi di stare molto in drop, affidandosi alla sua genetica, e quando sceglie di effettuare anche solo un piccolo show, chi porta palla si vede spegnere la luce sul più bello, ritrovandosi spesso a chiudere il palleggio e a scaricare, vanificando così la possibilità di creare un vantaggio. Come nell’azione sotto, dove Donovan Mitchell è costretto a passare la palla a Evan Mobley, stoppato prima ancora di accorgersene (è stato fischiato fallo in diretta, ma la chiamata è stata poi ribaltata assegnando la settima stoppata della partita ad Holmgren).

È l’àncora difensiva di questa squadra, il giocatore che cambia la geografia e la geometria in campo, tanto nella sua metà campo che in quella offensiva. Sa portare palla da un lato all’altro del parquet, gestendo il palleggio come se fosse un playmaker, per poi improvvisarsi Jason Williams, passare la palla dietro la schiena a un Cason Wallace che si lecca le dita per l’assist appena ricevuto.

I Thunder al 10 novembre sono il quarto miglior attacco nella lega per percentuale reale dal campo a 56.6% e settimi per offensive rating a 115.2 punti per 100 possessi, e Holmgren è un elemento fondamentale per capire e sviscerare questi numeri.

In attacco, è il prototipo del lungo moderno, che sa aprire il campo ed essere una minaccia anche dall’arco. Le penetrazioni di Shai Gilgeous-Alexander, Josh Giddey e Jalen Williams lo muovono spesso sul perimetro, dovendo quindi agire sugli scarichi. Nelle prime 8 partite questo non si è rivelato essere un problema: al contrario, sta convertendo le 3.1 triple in catch&shoot che tenta di media con un irreale 60% – percentuale destinata ovviamente a calare, anche se non sarei sorpreso di vederla restare comunque sopra al 40% – e più in generale sta segnando in catch&shoot con una Effective Field Goal% di 92.9, primo in NBA per giocatori con almeno 20 tiri tentati di questo tipo.

Non agendo quasi mai da creator primario di gioco – ma non stupitevi di vederlo risalire il campo palla in mano, magari giocando un “inverted pick&roll” con una guardia – e faticando ancora a crearsi il tiro dal palleggio, il 76% dei suoi canestri sono assististi. Ma è normale, per un rookie sarebbe strano il contrario, perdipiù della sua altezza.

Quello che risulta essere più misterioso è come riesca, dopo essere stato tolto dalla linea del tiro da tre punti, a mettere palla per terra con questa rapidità e ad effettuare un up&under che depista completamente Andrew Wiggings, come mostrato nella prima clip di seguito, o come possa uno della sua altezza effettuare un crossover, arrestarsi e poi buttarsi indietro alla Dirk Nowitzki per evitare di essere stoppato da Jarrett Allen, come visibile nella seconda clip del montaggio.

Comparando le partite della passata stagione e di quella attuale dei Thunder si nota in modo particolarmente marcato l’impatto di Chet Holmgren, che l’anno scorso non c’era e quest’anno sì, rappresentando forse il tassello che serviva a questa squadra per completare il puzzle e iniziare la prima scalata concreta in quel crogiolo di talento e belle speranze che è la Western Conference.

Il sito The Ringer ha stilato, come lo chiamano loro, l’”All In-dex rankings”, ovvero quanto una franchigia sia all-in per la vittoria del titolo in questa stagione, e gli Oklahoma City Thunder sono stati classificati 29esimi, il che significa che sono già molto in anticipo sulla tabella di marcia come quasi-contender e che hanno una quantità tale di scelte al Draft da poter acquisire qualsiasi stella che vogliano sul mercato, se dovessero cercare di migliorare il roster intorno al loro giovane nucleo esistente.

Ma l’arrivo di Holmgren potrebbe avere accelerato il processo e aver indotto Sam Presti nella tentazione di forzare la mano. Non corriamo, però, in fondo sono passate solamente poche partite. Ma continuiamo a credere agli unicorni, perché sono reali.