Nuovo capitolo del diario personale di Cade Cunningham, che ha parlato di come ha vissuto la quarantena e come si sta trovando a Detroit, dove il basket resta la priorità.

Questo contenuto è tratto da un articolo di Marc J. Spears & Cade Cunningham per The Undefeated, tradotto in italiano da Alessandro Di Marzo per Around the Game.


Su Around the Game prosegue il viaggio attraverso la giovane carriera di Cade Cunningham, che si sta raccontando a The Undefeated in prima persona nel corso di tutta la stagione. Qui l’ultimo episodio, in esclusiva italiana su Around the Game.

Dopo un inizio problematico, specialmente a causa di continui problemi alla caviglia, la prima scelta assoluta da Oklahoma State ha sfornato diverse ottime prestazioni con i Detroit Pistons, tornando in corsa per vincere il Rookie of the Year Award con medie di 15.4 punti, 5.4 rimbalzi e 5.1 assist a gara. La quarantena tra fine dicembre ed inizio gennaio, quindi, non sembra averlo influenzato troppo.

Parola a Cade.

Il 22 dicembre ho effettuato un test rapido e sono risultato positivo al Covid-19. È stata dura, eravamo in trasferta (a Miami) e l’idea di trascorrere 10 giorni in quarantena non era per niente gradevole.

Non volevo restare fuori per così tanto in questo punto della stagione, ma allo stesso tempo, ora che sono tornato, credo che la quarantena mi sia servita per mettermi mentalmente nella migior condizione possibile. Grazie a Dio, dopo 7 giorni e due test negativi, tutto è finito.

In quarantena passavo il tempo a guardare partite e Netflix, giusto per passare il tempo. Ho iniziato e terminato le prime 3 stagioni di Ozark (ah, non vedo l’ora che esca quella successiva, per scoprire come andrà a finire). Dopo il primo test negativo, però, sono riuscito a lavorare con una cyclette ed altri attrezzi portati direttamente dalla sala pesi. Per due giorni ho lavorato con quegli strumenti, prima di tornare definitivamente in palestra. 

A causa della pandemia abbiamo dovuto fare tanti sacrifici: non ho giocato prima del college, alla Monteverde Academy, e non ho potuto partecipare al McDonald’s All American game. E la lista potrebbe allungarsi… ma penso anche che è capitato a tutti, anzi, c’è gente che ha passato molto di peggio. Vivere nel corso di questa pandemia è bruttissimo, ma lo stiamo facendo insieme. Ci stiamo passando tutti. L’unica soluzione per andare avanti è continuare a lavorare nel modo giusto.

Io sento di star crescendo a Detroit, la chimica con i miei compagni sta migliorando e lo staff tecnico mi dà sempre più fiducia. Più difese affronto, più mi sento a mio agio. Cerco di osservare il gioco, imparare cose nuove e capire come fare del mio meglio quando sono in campo.

Jerami Grant è una parte molto importante della nostra squadra, dunque quando si è infortunato sapevo che ci sarebbe stata una grande lacuna da colmare; io stesso avrei dovuto fare un passo avanti, giocare in modo più aggressivo. Mi spiace per Jerami: quando io ho avuto problemi alla caviglia, osservare gli altri senza poter giocare era bruttissimo… tornerà presto.

Io sono contento di essere qui. Detroit mi ha fatto sentire tutto l’amore che ha, sin da quando sono arrivato in città. Non l’ho ancora visitata molto, sinceramente: sono molto concentrato sul mio primo anno NBA. In ogni caso, sono sicuro che quando esplorerò meglio Detroit sentirò ancora di più l’affetto della gente. Sento di essermi già guadagnato un certo rispetto in campo, forse perché sono una prima scelta assoluta… il mio gioco si prenderà cura di tutto il resto. 

Contro Phoenix sono stato espulso per la prima volta. Ho schiacciato contro Jalen Smith e ho alzato il dito ad indicare i miei compagni in panchina, ma mi sono beccato un tecnico. Non sono uno che si agita o si esalta troppo dopo un canestro, ma non pensavo che questo mi sarebbe costato un fallo tecnico.

Ho un grande voglia di giocare il Rising Stars Game, che ho visto in TV per molti anni. Anche se per ora, in realtà, non penso molto all’All-Star break… lo farò quandos sarà il momento. C’è tanto talento in quelle partite, giocarci sarebbe divertente.

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FOTO: NBA.com

Mia figlia, Riley, ha da poco compiuto 3 anni. È incredibile, è già davvero grande, sta crescendo molto in fretta. Le ho parlato al telefono quando ha compiuto gli anni, poi abbiamo festeggiato quando sono tornato a casa, in concomitanza con il Natale. È adorabile, educata, dice sempre “grazie” e si scusa, è bellissimo vederla crescere.

Nel mio prima Martin Luther King Day trascorso in NBA, ho avuto modo di riflettere riguardo a ciò che ho imparato al National Civil Rights Museum, a Memphis. Mi hanno mostrato molto, si è andato oltre al racconto degli eventi. Io non ero ancora nato ai suoi tempi, ma ciò che ha compiuto ha cambiato le vite di tutti gli afroamericani. Dobbiamo ringraziarlo, e celebrare così un giorno dedicato a lui.