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Questo contenuto è tratto da un articolo di Marcus Hayes per The Philadelphia Inquirer, tradotto in italiano da Marco Marchese per Around the Game.


Bisogna smetterla di prendersela con Ben. È giunto il momento di accettare ed ammettere che Ben Simmons non stia bluffando. Ed anche che al momento è mentalmente fragile.


Simmons era considerato uno dei leader del roster, ma nel momento apicale della sua carriera, e nella città cestisticamente più dura del mondo, ha floppato, risultando decisivo nella disfatta della sua squadra. E ne ha sentite di cotte e di crude al riguardo negli ultimi 5 mesi. Tutto ciò deve aver aumentato dubbi ed insicureze in lui Ora, bisogna provare a comprenderlo, avere un po’ di cuore nei suoi confronti.

Simmons è arrivato a Philadelphia da prima scelta assoluta al Draft 2016, pezzo pregiato ereditato da The Process, una strategia di rebuilding tanto “tossica” da indurre l’NBA a cambiare il proprio regolamento affinchè non si ripresenti mai più nulla di simile.

Simmons ha iniziato la sua carriera in NBA a 20 anni, da infortunato. Ha trascorso la sua seconda stagione, a 21, convertendo il suo gioco da ala a point guard, giocando in una squadra competitiva per i Playoffs. Circostanze parecchio stressanti per un giocatore e un ragazzo straniero, in una squadra, città e nazione dove era tutto nuovo per lui.

Le sue prestazioni in campo hanno contribuito ad aumentare la pressione su di lui. La sua riluttanza a tirare da fuori e le scarse percentuali ai tiri liberi hanno pesato sulle sconfitte al secondo turno nei Playoffs del 2018, 2019 e 2021 (nel 2020 era infortunato).

A giugno scorso, la sua non-schiacciata a meno di 4 minuti dalla fine in Gara 7 contro Atlanta è stata considerata dai tifosi la peggior forma di codardia, quasi un tradimento alla storia sportiva di Philadelphia.

Dopo quella partita, il suo compagno di squadra Joel Embiid ha dichiarato che quella mancata schiacciata è stata la causa della sconfitta dei Sixers. E coach Doc Rivers, ex point guard, ha espresso dei dubbi sulle capacità di Simmons di condurre una squadra vincente. Giornalisti nazionali ed internazionali lo hanno seppellito di critiche, per non parlare degli utenti sui social.

Niente è rimasto fuori da tutto questo. Nemmeno la sua presenza a Wimbledon, o il suo acquisto di una nuova casa.

È stato davvero troppo.

Se ci si aspetta che un ragazzo 25enne, introverso come Ben, ne esca mentalmente integro da una tempesta del genere, è il caso quantomeno di fermarsi e porsi qualche domanda autoriflessiva.

BLUFF?

Le tempistiche della decisione del nativo di Melbourne possono aver causato scetticismo su di lui, ma non gli si può dare del bugiardo, e neppure dire che stia bluffando.

Non c’è nessun dubbio sul fatto che la sua salute mentale migliorerebbe se fosse scambiato. E avrebbe senso. Ben considera se stesso un prigioniero nel carcere dei Sixers, di una città che lo ha tradito e vessato. Pensa di essere ostaggio di un’organizzazione che lo ha abbandonato quando aveva maggior bisogno di supporto. Chi ha avuto contatti con lui – nessuno che avesse a che fare coi Sixers o Klutch Sports – afferma che Ben al momento sia fortemente infelice.

Non è stato d’aiuto il suo rifiuto di affidarsi ad un supporto psicologico per tutta l’estate, con la sua situazione che è parsa sempre più difficile da cambiare.

I Philadelphia 76ers lo hanno multato per un ammontare di $2.5 milioni per aver saltato le riunioni di squadra e gli incontri con un mental coach messo a disposizione dalla franchigia, per poi annunciare di non essere minimamente disposti a inserirlo in una trade che non considerano vantaggiosa. Simmons non si svende.

Ed è solo in quel momento che Simmons ha fatto appello ai suoi problemi di salute mentale. Ha raccontato di essere già in cura con figure professionali da settimane. Ed è totalmente comprensibile: ci sono tanti casi in cui non si è saputo nulla riguardo le sofferenze psicologiche di un atleta, fino alla goccia che ha fatto traboccare il vaso. Ad esempio: Simone Biles (ginnasta olimpica), Naomi Osaka (tennista), Lane Johnson e Brandon Brooks (giocatori degli Eagles). Anche Simmons avrebbe voluto mantenere privati i suoi problemi durante il training camp e probabilmente avrebbe continuato a farlo per tanto tempo se i Sixers non avessero tirato ancora di più la corda.

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La squadra non ha mai dato una sua pubblica opinione ufficiale riguardo il suo stato mentale, ma due membri del front office hanno dichiarato di ritenere che Simmons ha senz’altro bisogno di un aiuto professionale per poter tornare a giocare.

Secondo un esperto, bisogna prendere davvero sul serio i suoi problemi: “Non sono scettico, lo prendo davvero sul serio quando rilascia certe affermazioni.” A dirlo è Dr. Joel Fish, direttore del Center for Sport Psychology di Philadelphia, ed ex consulente per i Flyers, per i Phillies e sì, anche per i Sixers. “Ma capisco perché qualcun altro sia scettico al riguardo.”

Fish non sta seguendo Simmons, né lavora per i Sixers al momento, ma ha esperienza con centinaia di atleti professionisti negli ultimi 25 anni, e ha una reputazione internazionale.

“C’è qualcuno che può usare i problemi psicologici come ragione per non lavorare? Sì, ci può essere. Ma 9 atleti su 10 che sono venuti a supporto da me hanno avuto problemi seri. Se ne può trarre qualche vantaggio? Ovvio.”

Gli atleti di solito non corrono il rischio di essere etichettati come personalità deboli solo per poterne trarre dei vantaggi. Sono abituati ad essere visti come dei supermen, dei cyborg… ma sono degli esseri umani, come chiunque altro.

“Gli atleti professionisti sono esseri umani. Praticamente ogni squadra di alto livello ha ormai nel suo staff un professionista come me. Le squadre sono consapevoli che bisogna allenare anche il lato umano, e che gli atleti non sono dei super-uomini.”

La pressione mediatica alla quale vengono esposti è massima, e non tutti sono predisposti o si abituano a questo tipo di vita senza un aiuto esterno.

“Essere un atleta professionista, o addirittura un All-Star, significa essere un talento su un milione e una personalità su un milione. Comporta delle pressioni altissime, bisogna allenarsi ogni giorno, giocare sotto i riflettori e davanti a migliaia di tifosi, e per questo bisogna dare sempre il massimo. E la maggior parte di questi ragazzi è appena ventenne.”

Fish teme che gli scettici riguardo Simmons possano sottovalutare l’importanza del problema.

“M’interessa perché in questo momento c’è una mancanza di fiducia reciproca tra lui e la franchigia, e tra lui e i tifosi. È difficile, dal loro punto di vista, credere a molte delle cose che Ben ha detto. Questa mancanza di fiducia sta però minando quanto di importante è stato fatto finora nella sfera dei disagi, dei problemi psicologici e del benessere psichico degli atleti.”

Ecco perché è di fondamentale importanza concedere a Ben Simmons quantomeno il beneficio del dubbio.

QUINDI…

Perché i Sixers stanno continuando a multarlo? Perché secondo loro, le sue sedute psicoterapeutiche non interferiscono con la sua possibile presenza con la squadra.

Il suo rifiuto di viaggiare al seguito dei compagni gli costerà circa $2.1 milioni. Ma tutto so può sistemare: se Simmons accettasse pubblicamente le proprie responsabilità, tornando a giocare, mostrando voglia, allora Philly lo perdonerebbe.

Joel Fish, nativo di Overbrook e diplomato alla Lower Merion High School, è esperto di psicologia e conosce bene Philadelphia e i suoi tifosi meglio di chiunque altro.

“Per i giocatori va bene qualsiasi città? No. Philly è una città dura. Dal mio punto di vista, però, le persone possono cambiare e gli atleti possono superare i blocchi mentali e tornare a performare al massimo. Credo che Ben possa ricostruire il rapporto con i Sixers e i tifosi.

Ci sono alcune azioni e comportamenti che lasciano a Ben una porta aperta per tornare a giocare a Philadelphia. Sta tutto in Ben, nel fatto che comprenda di dover ricostruire una relazione con i tifosi e con la città. Prendersi le responsabilità di un rapporto che sembra compromesso, capire di dover fare qualcosa di diverso. Parte di questo comprende anche chiarezza ed onestà su ciò che sta accadendo, e aver fiducia che questo potrà aiutarlo a ricostruire un rapporto e ricreare la fiducia persa.

Credo davvero che sia possibile. Ed anche che i tifosi dei Sixers sarebbero pronti ad incontrarlo a metà strada, se lui facesse anche solo qualche piccolo passo di avvicinamento.”

(Joel Fish)

Difficile non concordare con Joel Fish.