From Russia with Love: i Brooklyn Nets del 2013/14

FOTO: USA Today

Che un oligarca russo diventi proprietario di una franchigia NBA appare oggi un’eventualità inconcepibile. Prima dei difficili tempi che stiamo vivendo, tuttavia, l’NBA ha vissuto una sua fase “internazionalista” che ha portato diversi businessman non americani ad investire nella Lega cestistica più bella del mondo. Tra questi, si staglia certamente il peculiare Mikhail Prokhorov, l’uomo che insieme a Jay-Z ha portato i Nets dalla scalcinata uscita di East Rutherford a Brooklyn.

Dopo aver già tentato uno scambio-monstre per Dwight Howard nel 2012, Prokhorov decide di iniziare ufficialmente la propria scalata alla NBA nel 2013, organizzando una trade di proporzioni epocali con i Boston Celtics. Lo scambio non andrebbe nemmeno raccontato, vista la discreta ilarità suscitata negli anni da quel flop clamoroso, ma per completezza lo facciamo: a Brooklyn arrivano Kevin Garnett (anni 37), Paul Pierce (36) e Jason Terry (35), mentre dalle parti del Garden, oltre ad una serie di role player, entrano in possesso di Danny Ainge tre prime scelte non protette che torneranno discretamente utili (vi sono piaciuti Marcus Smart, Jaylen Brown e Jayson Tatum alle ultime Finals?).

Nonostante i proclami e le quote favorevoli a Las Vegas, la squadra, affidata a Jason Kidd e completata da Deron Williams, Joe Johnson e Brook Lopez nel quintetto base, implode a stretto giro di posta. Nonostante la salatissima luxury tax (86 milioni), infatti, la stagione inizia con il poco entusiasmante record di 10-22 e le continue assenze di Pierce e Williams, oltre alla fine anticipata della stagione di Lopez.

Nonostante le difficoltà, tuttavia, la squadra arriva fino al secondo turno, dove viene sconfitta in sei gare da un altro dei superteam in quel momento presenti nella Lega: i Miami Heat.

Da quel momento, il sogno oligarchico si spegne: Paul Pierce lascia subito la nave accasandosi ai Washington Wizards, Garnett – che definirà il suo tempo a Brooklyn come “una bella esperienza, avevo parenti a New York ed era perfetto” – resisterà un altro anno per poi chiudere la carriera in Minnesota.

Deron Williams e Joe Johnson, altri due membri chiave di quel quintetto base dagli oltre 32 anni di età media, vivranno invece un lento declino che li farà passare per due dei contratti meno team-friendly della NBA. Soprattutto Williams, prima della trade un candidato MVP, vedrà nei suoi confronti diverse critiche, anche da parte dei compagni.

“Prima di arrivare a Brooklyn vedevo Deron come un possibile MVP, ma era chiaro che lui non volesse esserlo. Per niente. La pressione ha avuto la meglio. I media di New York non sono quelli dello Utah ed era la prima volta sotto la luce dei riflettori per lui. Lo ha condizionato.”

Il destino non sarebbe stato diverso nemmeno per il giovane allenatore Jason Kidd, spedito senza troppi problemi al primo offerente (i Milwaukee Bucks) e trattato come capro espiatorio da una franchigia che, come in tempi recenti, aveva imbracciato un progetto Big Three senza comprendere a pieno le conseguenze in caso di fallimento e le necessità da affiancare ai top.