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I Miami Heat sono, ancora una volta, risorti dalle proprie ceneri, portandosi a casa Gara 2 ed espugnando la Ball Arena di Denver, fino ad ora fortezza dei Nuggets in questi Playoffs. Tra i tanti fattori, certamente il grande impatto di Duncan Robinson nel quarto periodo, un po’ di nervosismo da parte della squadra allenata da coach Michael Malone e uno splendido finale di Jimmy Butler e Bam Adebayo.

Queste, però, sono solo conseguenze di un piano partita, ideato da Erik Spoelstra, incentrato alla perfezione sulle debolezze degli avversari. Andiamo a vedere quali sono i 5 fattori tattici ad aver deciso Gara 2:

  • Estremizzazione: empty side pick&roll

Quello che si è notato fin dai primi minuti è che Denver si è presentata estremamente distratta difensivamente, soprattutto nella comunicazione sui cambi, come se i vari inseguitori come Caldwell-Pope e Murray stessero eseguendo un piano partita diverso rispetto a Aaron Gordon e Michael Porter Jr..


Oltre a questo, gli Heat hanno banchettato sulla deep drop di Jokic, trovando molto spesso la via del canestro con Jimmy Butler e i suoi empty-side pick&roll. Le doti della stella di Miami, unite alle distrazioni di Denver, hanno anche regalato triple facili sugli scivolamenti di Strus, caldissimo a inizio gara.

Tutti casi, soprattutto l’ultimo, che evidenziano la carenza di concentrazione sui cambi, che è tornata nel secondo tempo e che ha infatti messo uno stop a questa soluzione di Miami (QUI un esempio). Stop che, però, non è arrivato sui pick&roll di Butler con il lato sgombro.

L’aggiustamento di Malone è stato quello di mettere il solito aiuto al ferro, ma molto più stretto del solito, scelta che ha avuto come effetto collaterale triple facili sugli scarichi di Butler verso l’uomo libero sul perimetro, nonostante i rapidi X-out di Denver. La presenza di Love da questo punto di vista aiuta molto rispetto a un Highsmith o a un Caleb Martin, che non è partito in quintetto per problemi di salute.

Per negare il palleggio a Butler, inoltre, Murray si è spesso portato più stretto sul lato forte, nonostante il suo uomo fosse sul lato debole, in modo da negare il centro alla stella avversaria o da disturbarla con degli stunt. Questa scelta è stata punita solo una volta, ma poteva andare decisamente peggio.

  • Estremizzazione: dribble hand-off

Se non ve ne foste accorti, tutte le soluzioni analizzate sopra partono dallo stesso proposito: sfruttare le debolezze di Nikola Jokic. Quest’ultimo è ovviamente molto più a suo agio nei pressi del ferro e senza troppa pressione, come dimostra la drop coverage profonda sui pick&roll, molto meno quando è costretto a uscire fuori.

Ed è qui che entra in gioco l’estro di Erik Spoelstra, con i soliti consegnati di Bam Adebayo, anche piazzato lontano dalla palla (fattore determinante già analizzato QUI), per i tiratori mortiferi di Miami. Il ventaglio di soluzioni che si apre è riassumibile così:

  • se Jokic resta basso, tripla in faccia
  • se Jokic sale al livello del consegnato, passaggio di ritorno a Adebayo, spesso schiacciato, per:
    • letture 4-contro-3 e passaggio al compagno libero
    • jumper dallo short mid-range in caso di aiuto pronto
    • chiusura al ferro, in caso di ritardo

La risposta dei Nuggets, in questo caso, è stata più efficace nel secondo tempo rispetto a quella sugli empty side pick&roll, ma non ha comunque pagato. Di seguito un paio di esempi in cui:

  • Murray si batte alla grande per passare sull’hand-off di Adebayo, mentre jokic sale bene sul ri-blocco forzando Robinson allo scarico per una tripla difficile di Butler, che entra
  • KCP nega il consegnato a Robinson e Gordon segue il taglio, forzando Miami a giocare un pick&roll in situazione di gioco rotto, con palla in mano a Kyle Lowry; Jokic è preoccupato del tiro e sale al livello del blocco, così si innesca il giro palla degli Heat, che porta a un and-one.

Sono due macigni quelli segnati da Butler, dopo due ottime difese dei Nuggets, che non fanno altro che certificare il bisogno di maggior attenzione sin dai primi minuti contro Miami. Canestri regalati nei primi minuti possono essere letali in caso di (over)performance del genere nel quarto periodo.

Anche qui, comunque, di casuale non c’è nulla. Il pick&roll di Lowry è stato una costante nel finale quando i giochi architettati da Spoelstra sono stati letti, esponendo nuovamente i limiti di Jokic. Se quest’ultimo è apparso innervosito nel finale è stato anche a causa dell’enorme pressione subita dall’attacco avversario, che lo ha coinvolto in ogni hand-off o pick&roll.

Da notare come, infatti, il primo parziale positivo per Denver sia arrivato con i quintetti small nei minuti con Jokic fuori, che permettono di cambiare a piacimento su ogni blocco e in ogni situazione.

Miami ha fatto enorme fatica nel trovare buoni tiri, perdendo anche un paio di palloni di troppo e portando a canestri facili degli avversari. Nel secondo tempo, fortunatamente per gli Heat, sono arrivati i due minuti di follia di Duncan Robinson a portare scompiglio, aprendo come una scatoletta la difesa dei Nuggets, che aveva comunque reagito bene in un paio di occasioni.

Semplicemente, ancora una volta, sono tiri che non dovrebbero entrare, ma – come si suol dire – “Karma is a bitch”, si tratta di una giusta punizione per non essersi presentati per quasi un quarto di partita.

  • la difesa su Jamal Murray

Playoff Jamal, per una volta, è apparso difendibile. Se sono arrivati i giusti complimenti a Butler per il lavoro svolto, la vera ragione per cui la point guard di Denver non ha inciso è legata anche qui a una serie di aggiustamenti.

Il primo, già citato, è senza dubbio la marcatura di Jimmy, ma l’effort è stato assolutamente di squadra. Sul pick&roll c’è stato sempre un uomo zonato pronto a effettuare il classico stunt per disturbare il palleggio, mentre sui consegnati i difensori hanno fatto molta più attenzione a navigare sui blocchi.

Essenziale, in un paio di occasioni, il lavoro di Zeller con Adebayo fuori, pronto a salire con i tempi giusti e favorire il recupero del compagno sulla palla.

Nulla che comunque Murray e i Nuggets non possano sistemare. Murray è apparso sottotono e sarà probabilmente più aggressivo nelle prossime due gare, tanto che nel finale ha rischiato di recuperarla praticamente da solo. Nulla che tolga comunque i meriti dei Miami Heat in Gara 2.

  • Love is in the air…

La presenza del veterano dal tocco delicato è stata essenziale. Scongelato da coach Spoelstra per sostituire un Caleb Martin non al meglio, ha punito – come visto – le disattenzioni di Denver sul perimetro, dimostrandosi anche un fattore positivo nella metà campo difensiva, contro ogni pronostico.

Aaron Gordon, che aveva fatto a pezzi la difesa di Miami in Gara 1 con la propria stazza, ha abboccato al bluff, rifiutando più volte di attaccare il ferro, trovandosi di fronte un corpaccione. L’ex Cavs è stato molto composto in aiuto, sia impedendo a Gordon di sfruttare il mismatch, sia sfruttando la scarsa pericolosità perimetrale dell’avversario per dare manforte a Adebayo su Jokic.

Infine, si può notare nel secondo tweet qua sotto come la sua posizione nel pitturato neghi il passaggio sul mismatch al ferro a favore di Michael Porter Jr., costringendo i Nuggets a servire l’uscita di Murra, su cui gli Heat sono più attrezzati.

Salvo queste situazioni, in cui Love può rivelarsi davvero utilissimo ai Miami Heat, non si tratta di una soluzione finale a quello che rappresenta Gordon per la difesa di Spoelstra, soprattutto in transizione.

L’ex Cavs è comunque molto meno mobile e estremamente meno fisico dell’ala di Denver, fattori che paga, e non poco. Gordon dovrà cercare di mantenersi aggressivo e attaccare quando possibile l’area, forzando l’aiuto di Adebayo – o chi per lui – e scaricando sul primo compagno libero.

  • in the zone

Quasi una bonus track, la zona dei Miami Heat ha messo in difficoltà i Denver Nuggets a sorpresa. L’obiettivo, come contro Boston, è sempre quello di giocare sulle debolezze dell’attacco avversario, semplicemente con modalità diverse.

Se contro i Celtics si partiva con un assetto 2-3, mettendo l’uomo lontano dalla palla della prima linea molto stretto, in modo da negare la penetrazione centrale dei vari Tatum e Brown, contro i Nuggets la scelta è stata quella di una simil 2-1-2, con l’uomo di mezzo posizionato sull’high-post di Jokic, in modo da negarne la ricezione.

Anche in questo caso sono più i demeriti di Denver, che non altro, a segnare l’esito dei possessi, dal momento che Nikola Jokic è l’arma perfetta per attaccare una zona. La mancata preparazione a gestire questo adattamento, unita al nervosismo di squadra, hanno fatto sì che arrivassero un paio di stop cruciali ai danni dell’attacco dei Nuggets.

Ancora una volta, è bene sottolinearlo, a causa della pressione costante esercitata dai Miami Heat e da Erik Spoelstra sul tallone d’Achille avversario, unica ragione per cui anche una squadra organizzata come Denver cade in errori talvolta banalissimi.