Dopo un anno difficile fuori e dentro il campo, tutte le attenzioni sono focalizzate sul futuro di Karl-Anthony Towns, unico ululato nella notte senza fine dei T-Wolves.

FOTO: NBA.com

Karl-Anthony Towns è, senza alcun dubbio, il talento più cristallino presente a roster fra i Minnesota Timberwolves. Possedere un tale potenziale in una delle franchigie più in difficoltà a trovare una giusta alchimia comporta una serie di sottili intrecci fra voci di mercato, domande sul futuro e ansia da prestazione.

Per muoversi in un terreno così delicato, è importante partire da linee guida. In questo caso, da un semplice 3+2, visto e considerato che il 32 è anche il numero sulla schiena di Towns.


Due sono le parti in cui è necessario dividere un discorso preliminare. Prima di dedicare tutte le attenzioni atte a sciogliere il groviglio di argomenti fluttuanti attorno a Karl-Anthony Towns in quanto giocatore, è necessario un breve, ma doveroso, preambolo, dalla struttura bifida.

Partiamo dai problemi legati al virus. La stagione, o meglio l’ultimo anno, di KAT, ha visto intersecarsi con il microcosmo della pallacanestro il macrocosmo perpendicolare della vita familiare. Una serie di disgrazie ha infatti colpito le persone attorno al prodotto di Kentucky, tutte quante legate al Covid-19. Dall’inizio della pandemia, sono sette i parenti che Towns ha perso, inclusa la madre Jacqueline Cruz-Towns, deceduta il 13 aprile 2020.

Anche KAT ha dovuto affrontare le conseguenze del virus sul proprio corpo, saltando 13 partite dopo essere stato contagiato e riunendosi ai compagni solo il 10 febbraio scorso. Gli unici pilastri rimastigli fuori dal campo consistono nella sorella Lachelle, la fidanzata Jordyn Woods e nel padre, Karl Sr., che di recente ha potuto sostenerlo nuovamente dal vivo, dopo aver contratto a propria volta, e superato, il virus.

Tutto questo potrebbe sembrare irrilevante per quel che riguarda l’impatto sul parquet, ma non è così. Non per KAT, almeno. Il supporto della madre è sempre stato importante nell’evoluzione della sua personalità cestistica, tanto che il suo stesso amore per il gioco era legato alla figura di Jackie:

“Gioco a pallacanestro principalmente perché amo vedere i membri della mia famiglia guardarmi praticare un gioco in cui sono molto bravo e da cui ottengo successo. Mi ha sempre portato un sorriso vedere mia madre a bordo campo o in tribuna e divertirsi alle mie partite… Sarà dura giocare.” (Karl-Anthony Towns)

Ecco perché la riapertura delle arene e il ritorno dei familiari sarà sempre più importante per la salute mentale di KAT.

Il secondo punto della premessa è legato a questioni extra-cestistiche, al di fuori dei Minnesota Timberwolves ma radicate nella città di Minneapolis.

L’omicidio di George Floyd ha scatenato una serie di proteste e lotte in tutto il Paese, con la mobilitazione dei corpi attivisti internazionali Black Lives Matter e numerosi statement da parte della NBA, anche in seguito alla condanna del poliziotto Derek Chauvin. Towns è stato uno dei giocatori più attivi sulla questione, offrendo supporto alla famiglia Floyd e avvicinandosi molto alla comunità di Minneapolis.

Ma come influisce tutto questo sulla pallacanestro?

Sia chiaro, l’NBA è un business e le scelte di giocatori e front office sono slegate dalla dimensione extra-cestistica. Ma, in questi casi, è impossibile ignorare il fatto che il lato umano del KAT-giocatore abbia subito importanti scosse.

I Timberwolves sono stati una seconda famiglia per Towns, a partire da D’Angelo Russell, suo amico intimo, e Ricky Rubio. Anche quest’ultimo ha perso la madre in giovane età, ed è stato uno dei compagni più vicini a KAT dopo la perdita di Jackie.

Il rafforzarsi del rapporto con la squadra, unito ad un avvicinamento alla comunità di Minneapolis, potrebbero essere un incentivo per l’ex Kentucky a cercare di continuare il proprio cammino con la franchigia, nonostante i successi tardino ad arrivare. Il legame con Minneapolis, oltre alla questione riguardante George Floyd, è frutto anche di un tentativo di sensibilizzazione contro la minaccia del Covid-19, per cui Towns ha impiegato tempo e risorse.

Tutto questo è alla base di un rapporto ancora ben saldo fra Towns e i Timberwolves:

“Sono una persona estremamente leale. Amerei concludere la mia carriera qui in Minnesota, voglio creare qualcosa di grande. Voglio creare una legacy.” (Karl-Anthony Towns)

Conclusa la premessa, è necessario focalizzarsi sul KAT-giocatore e sull’evoluzione della sua carriera. Nonostante tutti i fattori elencati, lo snodo centrale da cui l’intera trama si dirama non può che ruotare attorno ad una domanda: Towns può davvero restare a Minnesota?

Il trittico composto di passato, presente e futuro su cui si argomenteranno le ipotesi a riguardo è composto e scisso in tre numeri, tutti estremamente importanti.

FOTO: NBA.com

Numero 1: il passato

Il numero “1” compare sotto varie rappresentazioni nella carriera di Towns.

Innanzitutto, è la cifra a cui è legato il suo esordio nella Lega, la scelta con cui è stato selezionato all’NBA Draft 2015.

Rubio, LaVine, Wiggins: questo il nucleo centrale a cui sarebbe andato ad aggiungersi KAT per comporre un team giovane e, potenzialmente, vincente. Un roster tanto promettente da creare le più rosee aspettative, tanto da stimolare un entusiasmo giustificato in un giovane appena arrivato:

“Penso che questo team diventerà eccezionale e non vedo l’ora di scoprire come matureremo negli anni.” (Karl-Anthony Towns)

Le cose, come sappiamo, sono andate diversamente.

Quel nucleo è stato totalmente smantellato, i compagni citati hanno cercato fortune altrove, mentre KAT non se ne è mai andato. Il suo talento straripante è fiorito, senza dubbio, ma senza mai trovare uno sfogo a livelli importanti.

A tal proposito, torna di nuovo il numero “1”: una soltanto la serie Playoffs disputata da Towns in carriera, in un nucleo non esattamente ben assortito, al punto che solo una – di nuovo – è la gara vinta nel First Round degli NBA Playoffs 2018 dai T-Wolves, prima di essere eliminati dai Rockets.

“Nucleo mal assortito” è un eufemismo, visti i rapporti non proprio amichevoli sviluppatisi fra Jimmy Butler -la stella di allora – e gli altri compagni, fra cui lo stesso Towns. Il presente risente tuttora di queste controversie.

Al di là di questo, ciò che è davvero importante è il fatto che i Timberwolves non abbiano provveduto in alcun modo a valorizzare il talento di Towns, e storicamente non sono la franchigia più predisposta a costruire contesti vincenti.

Nel 2017/18 aleggia ulteriormente il numero “1”: era la prima volta dal 2004/05 che i Timberwolves non concludevano una stagione sopra il 50% di vittorie, mentre i Playoffs mancavano dal 2003/04. Una serie dei fattori che pone la franchigia in cima ad una particolare (non proprio entusiasmante) classifica.

Tutte queste infelici testimonianze possono influire e non poco sul futuro di KAT, che è comunque rimasto fedele ai progetti della dirigenza, sia passati che futuri. Parlando di progetti, è necessario collegare il secondo dei tre punti presi in considerazione.

Numero 22: il presente

Il “22” rappresenta il numero di partite in cui D’Angelo Russell e Karl-Anthony Towns sono scesi in campo insieme in questa stagione. La mancanza di una seconda stella, sommata a tante assenze, ha posto KAT in condizioni alquanto critiche.

L’importanza di Russell non è quantificabile per tutto ciò che riguarda l’universo di KAT. Oltre ai rapporti di amicizia che legano i due, l’ex Warriors sembra l’unico in grado di cambiare l’inerzia di squadra, essendo il secondo violino e un giocatore su cui si è investito non poco (ne parleremo dopo).

Dal suo ritorno dopo un infortunio al ginocchio sinistro, D-Lo è stato usato in uscita dalla panchina (almeno fino alle ultime cinque, in cui è tornato titolare), da cui ha contribuito in maniera eccellente, per un record di 10-10.

Nei minuti giocati con KAT (418), il Net Rating del duo recita +2.7 punti per 100 possessi. In aggiunta, la migliore lineup dei T-Wolves per Net Rating (+3.5) è già quella con i due assieme ad Okogie, Edwards e McDaniels. Il campione è ridotto (poco più di 70 minuti), ma rende l’idea di cosa sia significata l’assenza di Russell.

I risultati, inoltre, parlano chiaro. Il Net Rating di squadra dopo l’All-Star Break è passato da -8.4 a -2.7, come messo in evidenza da Kirk Goldsberry.

Se da una parte tutto ciò fa ben sperare per il futuro imminente dei Timberwolves, dall’altra porta delle conseguenze.

Le vittorie accumulate nell’ultimo periodo hanno permesso ai T-Wolves di risalire in classifica. Tornando al pacchetto di scambio per l’aggiunta di Russell, questo prevedeva una prima scelta protetta top-3 all’NBA Draft 2021. In seguito agli ultimi risultati, le probabilità di mantenere la scelta si sono assottigliate.

Questo non è di per sé un problema, ma implica che la strada da prendere adesso sia quella del “win now”.

Di quello che è il roster di Minnesota e la filosofia della nuova dirigenza avevamo parlato, in parte, qui. La possibilità di non avere una prima scelta modifica necessariamente la timeline di Minnesota, che già a partire dal prossimo anno sarà costretta a dimostrare a KAT di avere un processo vincente. Per questo, il terzo e ultimo numero non può che essere il seguente.

2023: il futuro

Parlando di timeline, serve una scadenza ben precisa: il 2023. Perché proprio questo anno? La scadenza di D’Angelo Russell.

Prendendo per assunto che si voglia cercare di costruire un contesto vincente nel più breve tempo possibile, tutto ciò che servirà circoscrivere attorno a Towns è un nucleo competitivo e soddisfacente per le sue esigenze.

L’identikit che ne esce è quello di D’Angelo: un amico fuori dal campo e un compagno affidabile, con il talento necessario da cercare di mettere assieme qualcosa di interessante, pur non dominante.

A meno di colpi di scena, infatti, questo organico non sembra in grado di poter competere sul breve periodo. Oltre ad una situazione salariale di squadra che non permette di esplorare la Free Agency, anche gli asset si limitano a giocatori come Malik Beasley o pezzi da rotazione. L’unica variabile che può cambiare le carte in tavola è Anthony Edwards, che sta migliorando le prestazioni, come ci si aspettava, dal ritorno di D-Lo.

Quello che la franchigia dovrà evitare è porre KAT in condizioni talmente estenuanti al punto che desideri partire prima della fine del contratto. In questo caso, visto il talento e l’età, per cui si parla del giocatore dal trade value probabilmente più alto dell’intera Lega, gli incubi che dovrebbero ricorrere nelle notti dei Timberwolves potrebbero avere la forma della questione-Harden.

Il tipo di capitale mobilitato, invece, nonché la somiglianza maggiore, potrebbero essere legate alla figura di Anthony Davis, nel passaggio dai Pelicans ai Lakers. Il che, se non arrivassero risultati clamorosi ma si cercasse comunque di costruire un contesto competitivo nei prossimi anni, potrebbe rivelarsi lo scenario più plausibile.

Tirando le somme

Qual è il risultato? Una somma dei fattori.

Quello che i primi due argomenti cercano di dimostrare è che, per quante voci possano esserci attualmente, non ci sono indizi che inducano a pensare ad una partenza imminente di Towns.

Con gli altri tre punti, invece, traspare una situazione di stallo. Il non aver mai assemblato niente di credibile mette senza dubbio pressioni ai Timberwolves, che ora sono costretti a un all-in per creare una miscela che, come minimo, permetta di arrivare per due anni consecutivi ai Playoffs. L’organico giovane e inesperto, ma promettente, sommato a una superstar e a un secondo violino eccellente, sono un’ottima base. Soprattutto se D-Lo è nelle grazie del tuo talento generazionale.

In fin dei conti, quindi: 3+2=5, come gli anni che KAT ha trascorso a Minnesota dal suo debutto. Se i T-Wolves vogliono che siano molti di più, in prospettiva, dovranno trasformare la prospettiva stessa in realtà il più in fretta possibile.