Una vita, sportivamente parlando, divisa in due. Accantonato il sogno MLB, Pat Connaughton ora punta al premio più grande con i Bucks.
Lo stato del Massachusetts si affaccia dormiente sull’Oceano Atlantico. Terra di pescatori, di operai e di sport. Ufficialmente dal 2006 lo sport del “Bay State”, così viene soprannominato il Massachusetts, è il basket, ma non mancano una storica squadra di baseball, i Boston Red Sox, e una storica squadra di football, i New England Patriots. I bambini della zona crescono sognando un giorno di poter indossare una delle casacche delle tre grandi entità sportive dello Stato: i Red Sox e i Patriots appunto, a cui si aggiungono anche i Celtics ovviamente.
Ma che si fa se si maneggia con cura sia la palla da basket, che quella da football che la mazza da baseball? Questa domanda è stata fatta più volte ad un figlio del Massachusetts, nativo di Arlington, noto con il nome di Pat Connaughton. Uno di quei rari casi in cui il destino ha deciso che fin da giovane qualunque sia lo sport da praticare, tu sarai il migliore a praticarlo.
FROM ARLINGTON, MA
Quando mette piede per la prima volta alla St. John’s Prep High School, Pat, figlio di Len e Suzanne, deve scegliere un’attività extracurricolare, come consuetudine nelle scuole degli Stati Uniti. Non è una scelta come le altre per il dinoccolato, ma ancora non lungo, ragazzo.
Durante le estati si faceva di tutto. Ore di battuta con la mazza da baseball, partitelle con gli altri ragazzi del quartiere (meglio se più grandi), una giornata dedicata a perfezionare i lanci con la palla da football. Una cosa Pat amava fare però più di tutte, lanciare la palla da baseball.
Tutto era partito quando era ancora in fasce, quando la palla non riusciva a fare neanche un metro, fino a che alle porte dei 14 anni si sfiorano facilmente i 110 kilometri all’ora. “Sky’s the limit” se a quella età hai quella predisposizione.
Per non avere rimpianti, il giovane Connaughton sceglie sia il football, che il baseball che il basket. Al suo anno da Sophomore è ormai titolare nelle posizioni di quarterback per il football, pitcher per il baseball e guardia nel basket. Il primo sport a cadere giù dalla torre è il football.
Con il tempo, a cavallo fra il suo terzo e quarto anno, si trova quasi quotidianamente a giocare 5 contro 5 nelle palestre, quelle dove chi vince mantiene il campo. Lì raffina il suo gioco e, complice anche uno slancio nello sviluppo, inizia a pensare che forse potrebbe portare avanti basket e baseball con la solita dedizione.
Nel baseball ha già offerte 5 stelle extra lusso. Boston College, University of Virginia e la sua scelta originaria, avesse dovuto perseguire la strada del guantone e della mazza, University of North Carolina.
Accade però che in un torneo AAU (Amateur Athletic Union) ad Orlando Pat diventi protagonista del remake di “Una settimana da Dio”. Una settimana di partite dove tocca punte da 33 punti e 20 rimbalzi, attirandosi giustamente l’attenzione della critica.
Così arrivano le prime offerte di borse di studio per poter continuare davvero con entrambi gli sport. Di nuovo Boston College, Vanderbilt, UCLA, Notre Dame. Alla fine la spuntano i Fighting Irish.
Il giocatore di basket è molto dinamico, atletico, sa muovere i piedi in difesa, ma leggermente incostante al tiro. Un buonissimo innesto. Quello di baseball è tutt’altra storia. Nel 2011, uscito dal liceo, viene classificato come il 33esimo miglior giocatore di quel Draft, ma nei colloqui non molla. Vuole giocare al college, portare avanti sia la palla a spicchi che quella aureolata. I San Diego Padres fanno un ultimo tentativo, solo per sentirsi nuovamente respinti.
FOTO: all-around.net
TURNING POINTS
La prima stagione sotto la guida di Mike Brey è di aggiustamento. Deve adattarsi ad un sistema di gioco ben collaudato e a cui Brey tiene particolarmente. La dedizione del ragazzo e il fatto che apprenda molto velocemente sono abbastanza per apparire in 34 partite, con una media di 24 minuti, 7 punti e 4 rimbalzi, impiegato sia da 2 che da 3.
Alcune serate però fanno alzare diverse sopracciglia. In una vittoria contro Marquette mette a referto 23 punti e 11 rimbalzi giocando da guardia.
La svolta arriva però nel 2014 al suo anno da junior. I Baltimore Orioles lo scelgono nuovamente al Draft MLB. Quarto round, 121 esima scelta. 1 milione di dollari di bonus alla firma per abbandonare gli studi. È tentato, ma d’altronde l’Indiana è diventata casa. I suoi compagni di squadra sono come fratelli e, cosa di non poco valore, ha dei punteggi nei test che gli permetterebbero di studiare in una qualsiasi scuola della Ivy League. Un diploma conta molto per lui.
Negozia un ottimo affare. Più che dimezzato il bonus alla firma, 400 mila dollari, ma con la possibilità di completare gli studi a Notre Dame e continuare anche con il basket.
Gli Orioles non lo rivedranno più. Vince l’ACC Tournament con i Fighting Irish nel basket, mettendo a referto 20 punti nella finalissima contro UNC, la scuola che aveva scelto e che non gli permetteva di giocare sia a baseball che a basket.
Al grande ballo dell’NCAA, la March Madness, gioca divinamente in difesa, oltre a sculacciare Wichita State con 16 punti e 10 rimbalzi. I fanali della NBA iniziano ad abbagliare il nativo di Arlington.
UNA STORIA NON CONVENZIONALE
Pat Connaughton entrerà nella NBA nel 2015, scelto alla 41 dai Brooklyn Nets, che però scambiano Pat e Mason Plumlee, per Steve Blake e Hollis-Jefferson. La destinazione è Portland dove di spazio nel reparto di esterni ce n’è poco. Lillard, McCollum, e Hood solo per citarne alcuni.
I Trail Blazers sembrano interessati, tanto che nel contratto inseriscono una clausola che gli vieta di tornare “in base” visto che da accordi le sue prestazioni a livello di baseball sono ancora sotto contratto con gli Orioles.
Le prime stagioni sono faticose. Non riesce ad entrare nelle rotazioni di Terry Stotts con continuità, pensa che forse la scelta di continuare con il basket sia stata quella sbagliata. Che il lato della monetina da lui scelto forse sia stato quello irrimediabilmente sbagliato.
Qualche infortunio e qualche buona prestazione nel “garbage time” gli permettono di farsi apprezzare dall’HC di Portland. Inizia a diventare adorato dai compagni per la tenacia, i voli a canestro che per uno con le sue capacità aeree sono quisquilie e per la sfacciataggine nel tirare, che nonostante la buona meccanica entra con scarsa regolarità.
Dopo qualche altro buono strascico nella terra d’origine della Nike, ecco che arriva la free-agency e i Trail Blazers hanno altri piani. Ai Bucks serve un po’ di ruvidità e di imprevedibilità dalla panchina e quindi chi meglio del figlio del Massachusetts?
Il sodalizio che dura ormai da 3 anni nel Wisconsin sta trovando la sua consacrazione in questa stagione, dove anche in questi Playoffs e in queste Finals, sta trovando sempre fiducia da parte di Budenholzer. Un incremento di minuti notevole nel minutaggio dai 17 del primo turno ai 30 attuali della serie con Phoenix.
Una cavalcata che ha avuto alti e bassi, specie nel tiro da 3 punti, fondamentale cardine con cui circondare Antetokounmpo e che ha avuto più oscillazioni di un sismografo. Il 47% di queste prime 3 gare è stato fondamentale, il suono di tromba della retroguardia dei Bucks, l’arrivo della cavalleria.
La storia di Pat Connaughton è una di quelle destinate a rimanere lontane dalle luci dei riflettori, distanti dalle prime pagine e dall’allure della Superstar.
A chi, per citare Frost, sceglie la strada meno battuta poco importa. Pat Connaughton poteva fare il giocatore di baseball e avere una carriera più importante di quella che ha avuto nel basket, ma ha scelto di mettere la palla a spicchi, lo squittio delle scarpe e il rumore della retina al primo posto.
Ha scelto di fare quello che più gli piaceva e non quello che sarebbe stato più comodo fare. Una scelta sicuramente non convenzionale.