Parabola di Dajuan Wagner, uno dei più talentuosi artisti del Gioco che salute e sfortuna ci abbiano mai impedito di conoscere davvero.

Due sono i 100 punti più celebri nella storia del basket di tutti i tempi.

I primi, imperituri ed eterni, si presume imbattibili, circondati da quell’alone mitico, ben protetto anche dalla scarsità di notizie al riguardo.

Era il 2 Marzo 1962 – 60 anni fa tra poco – comparata ad oggi l’NBA era una lega sportiva quasi carbonara. Quella sera ad Hershey, Pennsylvania, cittadina conosciuta più per i cioccolatini che per lo sport, si incontravano i Philadelphia Warriors di un giovane ma già fenomenale Wilt Chamberlain, e i New York Knicks, alle prese con una stagione deludente – ma guarda un po’.

I pochi testimoni dell’epoca, parlano di un’arena – ancora oggi, dopo il maquillage, più una palestra che un’arena – riempita a metà. Niente telecamere, sparuti fotografi. Un collegamento radio, a partire dal quarto finale. Quando qualcuno si rese conto, che in quella anonima sera si stava facendo la storia. Si dice anche che Wilt, che aveva raggiunto la squadra in treno, fosse reduce da una notte di bagordi. E che anche le sue nottate sembra fossero da Guinness. Record su record, insomma. A fine gara Harvey Pollack, direttore delle pubbliche relazioni dei Warriors e pioniere delle statistiche nel basket, vergò 100 a mano su un foglio bianco e lo mise sotto il baffo di Chamberlain. Altri tempi, ma in fondo le leggende nascono e si nutrono anche così.

Foto: AP Photo/Paul Vathis

Per i secondi, invece, abbandoniamo con un fast-forward il “medioevo” del Gioco, per arrivare all’alba del nuovo millennio. Non ci sono ancora i social, ma la Rete sì e YouTube anche. Ogni periferia del mondo è già connessa, o quasi.

E’ il 15 Luglio 2001 e siamo a Camden – New Jersey, ma praticamente Pennsylvania, quindi meno di 100 miglia da quella Hershey di quaranta anni prima – non è l’NBA, ma High-School. Da una parte una “powerhouse” regionale, la Camden High, dall’altra dei volenterosi ragazzi di una scuola tecnica delle vicinanze, Gloucester Township.

L’incontro potrebbe essere benissimo catalogato senza note, tra gli zilioni di partite che si giocano ogni anno nelle scuole americane, se non fosse per la presenza di un “torello” tutto palleggio e garretti.

1 metro e 87 di esplosività e di capacità realizzative. Ha 18 anni e dalle sue parti è per tutti The Messiah, nientemeno, il suo vero nome è Dajuan Marquett Wagner, Juanny per gli amici stretti.

Foto: nj.com

In quel pomeriggio d’estate, Juanny è particolarmente in palla, anche per i suoi standard abituali. Sta viaggiando in stagione a oltre quaranta punti di media – chiuderà a 42.5 – brucia parquet, avversari e naturalmente retine. A metà tempo il pallottoliere dice 46, alla fine del terzo quarto 72, dopo una manciata di minuti 90.

“Lasciami dentro coach”– ten more – e così fu. Toccato il centone Wags esce, manca ancora un po’, ma basterà così.

La Storia ama le cifre tonde. Il pubblico in delirio, le cheerleader impazzite, gli avversari annichiliti. Camden ai piedi del nuovo suo Messiah.

Ecco, Camden – non Camden Town, la Londra più bohèmienne – ecco no, non proprio. Un altro tipo di fama questa Camden, una mala fama. Borgo di circa 80 mila abitanti, formalmente nel Jersey, ma sostanzialmente un quartiere ad est di Philadelphia, separata solo dal Delaware River. Già attivo polo industriale, la città subisce dal dopoguerra in poi un declino economico e sociale, che la porta in breve ad essere una delle città più violente e pericolose d’America. Stabilmente in top ten, per capirsi. A partire dagli anni 2000, quelli del nostro racconto, il “crime rate” sale fino a raggiungere le prime posizioni assoluto. A Camden si ammazza quasi cinque volte di più della media nazionale. E parliamo degli States, non della Danimarca.

Bene, insomma, è in questo “angolo di paradiso” che Dejuan muove i suoi primi passi, ottiene i suoi primi successi, brucia le sue prime tappe. In questo posto dove sei poliziotto o criminale, atleta o gangster, con ruoli che ballano a cavallo tra labili confini. Dove nasci condannato, salvo tu non sia speciale. E i Wagner lo sono, progenie di campioni.

Prima di Juanny, fu Milt, il papà. Anche lui grande atleta, prima di lui cestista di alto livello. Come lui alumni della Camden HS, che conduce al titolo nazionale tra i licei, per poi essere reclutato da Louisville, college con il quale raggiunge tre Final Four e un titolo nazionale nel 1986. Milt lascia il segno in Kentucky ed è ancora ad oggi quinto assoluto tra i realizzatori e sesto assistman dei Cardinals di tutti i tempi. E’ sempre nel 1986 che Wagner Sr. viene scelto al secondo giro delle scelte, alla 35 dai Los Angeles Lakers – l’anno della tragedia di Len Bias, preso alla due – stesso draft di Brad Daugherty prima assoluta, Arvydas Sabonis chiamato alla 24, Dennis Rodman alla 27, il nostro Gus Binelli alla 40 e il compianto Drazen Petrovic al terzo giro, con la 60.

Sarà il tocco magico che lo accompagna, ma anche al piano sopra Milt vince un titolo, nel 1988. Da comprimario, però, nei Lakers dello Showtime. Comprimario in NBA, poi globetrotter, con tappe in Israele, Francia e Germania.

Quando torna negli States, Milt è un ex-giocatore e aspirante allenatore, ed è così che viene ingaggiato a Memphis come uno degli assistenti, niente meno che da John Calipari, il quale ha evidentemente già l’occhio lungo e l’intuito extra-sensoriale da innato recruiter. Qualcuno gli avrà pur raccontato che il Wagner Sr. ha trasmesso integralmente il suo dna sportivo al piccolo Juanny, ma procediamo per gradi.

Foto: cbssports.com

Dajuan a Camden cresce e sta lontano dai guai, almeno quelli maggiori, e vicino alle palestre. Pallone in mano fin dalla culla, non se ne stacca mai. E quel pallone sa metterlo maledettamente bene dentro un canestro. A ripetizione. Senza tregua. Alla fine del suo percorso liceale saranno 3.462 i punti totali segnati, record del New Jersey, tuttora imbattuto. Il suo nome scavalca presto i confini del ghetto.

La sera del “centone”, come detto, la fama locale di Juanny Wags era già consolidata. Lui solo uno sbarbato, ma da quella fatidica partita, per chi mastica basket, nessun dubbio: “a star is born”.

E invece no. Purtroppo. Eppure, le premesse erano tutte lì.

Fermata successiva quindi Memphis, guardato a vista da papà. Breve tappa. Coach Calipari capisce subito con chi ha a che fare. Oltre 21 punti di media uscita. Questo è materiale NBA. One and done, la specialità della casa. Vai ragazzo.

Siamo al Draft 2002, siamo all’anno 1 “avanti-LeBron”, Cleveland lo prende alla 6. Qualcuno sogna, ecco il nuovo Allen Iverson. Un Derrick Rose ante-litteram.

Foto: usatoday.com

Guardia un po’ sottodimensionata, ma potente, Juanny tira con percentuali da collegiale (37%), ma ha punti nelle mani. Tanti. E non lo fermi.

Parte bene, in quel mezzo disastro che sono i Cavs di quella stagione, poi i primi scricchiolii.

Dajuan fa in tempo ad evoluire con the Chosen One, con Ricky Davis, Darius Miles e Carlos Boozer. Un loro ritratto fotografico fissa indelebilmente l’immagine dell’NBA di inizio millennio.

Foto: gettyimages.com

Poi cominciano i guai, quelli veri.

Problemi alle ginocchia, ma ci sta. Dolori lancinanti al ventre. Molto lancinanti. No, questo non ci sta.

Juanny fa fatica a stare in campo, ha fastidi dappertutto. Finisce le partite svuotato, salta allenamenti. Resta ore piegato su se stesso, abbarbicato alla panca dello spogliatoio. Mio dio, che succede?

La diagnosi è impietosa, colite ulcerosa. Dajuan si deve operare. Gli portano via metà colon. Il treno della sua carriera deraglia.

Gli anni successivi un calvario, il ragazzo non è più lo stesso. Sempre qualcosa di speciale, ma anche sempre più lontano dallo standard professionistico.

I Cavs, nel frattempo diventati la squadra di LBJ, non lo rinnovano. Il sogno di “LeBron to DajuanDajuan to LeBron” dura solo poche partite.

Juanny non vuole mollare ci riprova, segna 57 punti in una gara di summer league, lo chiamano i Golden State Warriors, ma il “comeback party” dura solo due mesi. Novembre 2006, quattro anni dopo l’approdo, il saluto alla NBA.

Ci prova ancora nel 2007, quando firma un contratto col Prokom in Polonia, 6 partite e due infortuni ed è di nuovo stop. Sparisce dalle scene per riemergere nel 2015, quando annuncia di voler rientrare nel giro per raggiungere la neonata AmeriLeague, una bufala più che una lega.

Foto: aseaofblue.com

Oggi DaJuan è tornato nel South Jersey, dove resta un eroe. Si allena regolarmente e sforacchia ancora retine. Ogni tanto ci scherza su: “potrei tornare“, dice, ridendo amaro.

Poi il sorriso torna ad illuminarsi quando parla di Dajuan Wagner Jr. (DJ), grande promessa liceale. Sempre a Camden HS, of course. Il sito 247sports lo piazza al n. 1 tra i recruit della classe 2023 e lo dà per certo a Kentucky, da zio John Calipari. Quaranta anni dopo nonno Milt, venti anni dopo papà Juanny, che giura, “è più forte di me”, è il più forte della famiglia.

Speriamo più forte della sfortuna, anche. La dinastia Wagner è in buone mani.