I principali fattori che hanno riportato il Larry O’Brien Trophy a Milwaukee, dopo 50 lunghi anni.


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Se me lo avessero detto 10 mesi fa, dopo il 4-1 categorico subito dai Miami Heat, non ci avrei creduto. Invece è tutto vero: i Milwaukee Bucks sono campioni NBA.

Il cammino è stato lungo, e parte da lontano. Non basterebbe un libro. Mi limito dunque a una retrospettiva sulla loro Playoffs run, che ha riservato comunque ostacoli complicati; dopo aver liquidato gli Heat in sole quattro partite, infatti, i Bucks hanno dovuto giocare ben 19 partite nei tre successivi turni, prima di poter alzare il trofeo.


Tutto, probabilmente, passa da quell’overtime nella Gara 7 contro i Brooklyn Nets, da quegli ultimi minuti, da quel piede di Kevin Durant, qualche millimetro dentro l’area. C’è un prima e un dopo quella partita: prima la paura di essere eliminati ancora una volta, dopo la gloria.

Come per ogni successo così importante, i fattori da citare sarebbero centinaia. Ho scelto i cinque più importanti.

Bonus: gli infortuni

Mi tolgo subito l’argomento più spinoso.

E’ vero, la stagione 2020/21 ha fatto parecchie vittime, soprattutto (purtroppo) nel momento cruciale. Sono state molte le star costrette ad abbandonare il rettangolo di gioco per problemi fisici: da Anthony Davis a Kyrie Irving, da James Harden a Kawhi Leonard, e si potrebbe andare avanti.

Molte delle defezioni hanno senza dubbio agevolato il cammino dei Bucks. Soprattutto nella serie contro i Nets, Giannis e compagni hanno potuto sfruttare la staffetta di assenze tra Irving e Harden – con quest’ultimo che evidentemente ha giocato le ultime tre partite in pessime condizioni – per superare uno scoglio che altrimenti avrebbe potuto rivelarsi insormontabile.

Le Conference Finals sono state superate anche grazie alla sfortunata storta subita da Trae Young, e si può dire che alle Finals si sarebbero potuti presentare avversari più attrezzati dei (comunque ottimi) Phoenix Suns.

Negare l’incidenza di questo fattore sarebbe sbagliato. Ci sono dei però.

In primis, c’è da considerare che il ciclone di infortuni non ha risparmiato nemmeno i vincitori, tra l’assenza di un role player importante nell’economia del sistema come Donte DiVincenzo e l’iperestensione di Giannis nella serie contro gli Hawks, che sembrava destinata a mettere fine ai loro sogni.

Inoltre, tutti gli anni sono condizionati dagli infortuni. Questa, per quanto più estrema di altre, non è la prima volta, e non sarà l’ultima.

Il titolo non deve essere accompagnato da alcun asterisco. Per questo, nei 5 motivi del trionfo dei Bucks è giusto inserire solamente i meriti della squadra.

1 – Il dominio di Giannis Antetokounmpo

Impossibile non mettere lui, sopra ogni altro. Questa Playoffs Run, e in particolare le Finals, sono state la consacrazione della sua grandezza, certificata dai numeri.

Nei Playoffs 2021:

  • 30.2 PTS
  • 5.1 AST
  • 60% TS

Nelle Finals:

  • 35.2 PTS
  • 5.0 AST
  • 65.8% TS

Dopo un primo turno passato a scaldare il motore, all’avvio della serie contro Brooklyn, Antetokounmpo sembrava ripresentare i soliti difetti: difficoltà contro i muri sotto al ferro, possessi statici da ball-handler, percentuali ai liberi.

Con le spalle al muro, però, il greco ha preso in mano la squadra e ha dimostrato di meritare tutta la considerazione ricevuta negli ultimi due anni, MVP compresi. La sua Gara 7 contro i Nets è storica a tutti gli effetti, anche se parzialmente oscurata da quanto fatto da Kevin Durant nell’altra metà campo.

L’infortunio al ginocchio subito durante Gara 4 contro gli Hawks ha fatto pensare tutti, lui compreso, che il suo percorso fosse finito. Fino ai risultati degli esami, la paura è stata tanta. Invece, qualche giorno dopo, eccolo in campo contro i Suns, per delle Finals in cui metterà in campo il meglio di sé stesso.

La sua efficacia nella serie finale non è comunque un caso, o un regalo del destino. E’ il frutto di una piccola maturazione avvenuta in pochissimo tempo, che l’ha visto abbandonare i lunghi possessi da ball-handler e prendere, finalmente, il totale controllo del pitturato.

Nessuno a parte Deandre Ayton poteva pensare di contenerlo, e Giannis ha concluso con l’84% nella restricted area e il 56% nel pitturato (non restricted area).

Il greco ha regalato, a noi e ai suoi Bucks, attimi di onnipotenza cestistica raramente vista prima. I 50 punti (sui 105 di squadra) con cui chiude serie e stagione ne sono una sostanziosa e storica ciliegina sulla torta.

2 – Gli aggiustamenti di Bud

Dovrebbe essere normale per un coach fare la differenza con gli aggiustamenti durante i Playoffs. Non lo era per coach Budenholzer, a lungo criticato negli ultimi due anni per la rigidità mostrata, che ha finito per essere una causa importante delle eliminazioni nel recente passato dei Bucks. Per questo Bud era sul filo, a un passo dall’essere sollevato dall’incarico.

Contro i Nets, sembrava di assistere a un film già visto. L’ex coach degli Hawks non sembrava in grado di apportare quei ritocchi necessari per vincere una serie abbordabile, con gli avversari decimati.

Tra Finali di Conference e Finals, invece, Budenholzer ha dimostrato di poter essere un buon allenatore anche a serie in corso, mettendo in atto vari aggiustamenti. Il più riuscito è stato sicuramente la scelta di cambiare su tutti i blocchi in Gara 5 e 6 contro gli Hawks, pur avendo Bobby Portis e Brook Lopez in campo (e non Antetokounmpo). Con Trae Young assente (G5) o acciaccato (G6), Atlanta non aveva armi costantemente efficaci in isolamento, e con il flusso dell’attacco interrotto, è andata in netta difficoltà. La mossa del coach dei Bucks è dunque stata vincente.

Anche nella serie finale, il supporto dell’allenatore è risultato complessivamente buono.

Dopo aver capito che i cambi difensivi 1-5 non avrebbero funzionato con il nuovo avversario, ha cercato di adattare la drop coverage di Lopez in modo da togliere, per quanto possibile, Paul e Booker dai loro spot preferiti, cercando così di convivere con i propri difetti.

La gestione dell’alternanza dell’utilizzo di Brook con le lineup con Giannis da 5 durante le Finals è stata studiata perfettamente. Lopez non è andato oltre i 24 minuti di media, in cui ha comunque contribuito alla causa, con un +/- totale appena negativo (-1), e la “small unit” principale (Holiday-Middleton-Connaughton-Tucker-Antetokounmpo) è stata riservata per i momenti decisivi.

Budenholzer ha fatto di questa squadra una macchina da Regular Season, e dopo due anni, senza più margine di errore, ha finalmente superato quello che sembrava essere un blocco.

Ha schivato l’esonero in extremis, e ha coronato un sogno.

3 – La difesa di Jrue

La Playoffs Run offensiva di Jrue Holiday non dà certo nell’occhio, con 17 punti di media e un misero 48% di True Shooting. Nell’altra metà campo, però, Jrue è stato decisivo in tutto e per tutto, consacrandosi come uno dei migliori difensori della lega.

Nella serie contro i Nets ha svolto molto bene l’arduo compito di marcare Kyrie, tenendolo al 38% dal campo contro di lui. Dopo l’infortunio di Irving, si è limitato a mettere pressione a un Harden zoppicante, mentre la serie si decideva sulle giocate di Durant.

E’ durante le Finals che l’ex Pelicans ha messo sul tavolo tutto il suo repertorio difensivo, spaziando da Chris Paul a Devin Booker, mettendo in grave difficoltà entrambi.

A serie finita, il referto dice che Booker ha tirato con il 35% (11/31) dal campo quando marcato da Holiday, mentre per quando riguarda Chris Paul, è l’eye-test a confermare l’efficacia della difesa di Jrue. La fisicità e la rapidità di Holiday hanno creato continui problemi all’ex OKC, trasformandolo talvolta (con la complicità delle sue condizioni fisiche, probabilmente) in una macchina da palle perse, in totale controtendenza con le sue abitudini.

Per completare l’opera, Jrue si è reso protagonista della giocata difensiva che ha deciso Gara 5, strappando la palla dalle mani di Booker a 20 secondi dalla sirena.

4 – Energia, Fisicità

Vanno insieme, perché sono spesso l’una la conseguenza dell’altra. C’è un motivo se, dalle semifinali di Conference in poi, i Bucks sono 1-5 nelle prime due partite delle serie, eppure hanno vinto il titolo: a un determinato punto di tutte e tre le serie menzionate, sono sempre stati in grado di portare la serie nei loro ranghi, puntando sulla fisicità.

Energia e fisicità trovano un riscontro tecnico nel numero di rimbalzi offensivi: 12.8 di media nei Playoffs, 13.2 nelle Finals. Un dettaglio tra i più importanti, che ha permesso ai Bucks di giocare un gran numero di extra-possessi fondamentali lungo tutta la durata della cavalcata.

Energia e fisicità trovano un riscontro anche nel 10-1 di record al Fiserv Forum, dove queste due caratteristiche sono rimaste costantemente ai massimi storici.

Energia e fisicità trovano una personificazione in PJ Tucker, il simbolo di questa faccia dei Milwaukee Bucks. Colui che a 36 anni suonati ha giocato 30 minuti di media, con un enorme carico difensivo.

Rimarrà celebre la sua serie passata a lottare in continuazione contro Durant, riuscendo a strappargli un 45% dal campo su 77 tentativi, ma anche 11 palle perse e molta stanchezza.

5 – Clutch, “Kha$h”

In quanto secondo violino dei Bucks, Khris Middleton è stato fondamentale in tutto, e si è messo in mostra con prestazioni mostruose quando più servivano.

Nel suo essere ondivago nelle percentuali per definizione, Middleton è stato concreto nei momenti decisivi per tutta la durata della post-season.

I suoi Playoffs sono cominciati con il buzzer beater che consegna ai suoi la vittoria in Gara 1 contro i Miami Heat, in una serie che sarà in discesa proprio da quel momento.

C’è poi una serie di centri importanti, tra cui i sette punti segnati nel finale di Gara 7 contro i Nets, e i 17 combinati nei clutch time di Gara 4 e 5 delle Finals.

Sono 4.8 i punti di media segnati da Middleton nel clutch time in questi Playoffs, con il 56% di TS. Dato che migliora ulteriormente nelle Finals, in cui i punti di media salgono a 6.0 e la TS è pari a 84%.

I Bucks hanno vinto 7 delle 9 partite decise negli ultimi cinque minuti in post-season. Anche per questo hanno vinto il titolo, ed è necessario dare una grossa fetta di merito a Khris Middleton e a quello che ha fatto nei momenti in cui la palla pesava di più.