Tra “Woj bombs”, fonti anonime e “piccoli favori”: nascita e ascesa dell’insider numero 1 nella NBA (e del primo nemico di LeBron James).

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Il palco del Prudential Center di Newmark, illuminato dalla brillante luce dei riflettori, fu investito dall’entusiasmo dei presenti.

Giocatori e famiglie, tifosi, addetti stampa e giornalisti: erano tutti in piedi ad applaudire.

David Stern aveva appena annunciato la prima scelta assoluta del Draft NBA del 2011: i Cleveland Cavaliers avevano selezionato la smagrita point guard titolare di Duke; quel Kyrie Irving che cinque anni più tardi avrebbe consegnato, con una tripla insensata, Gara 7 e titolo alla franchigia dell’Ohio.


La sera del 24 giugno 2011 migliaia di telespettatori da ogni angolo d’America si erano sintonizzati sulle frequenze della ESPN, unico network televisivo ad avere l’esclusiva della trasmissione del Draft, oltre che insiders pronti a carpire e diffondere i vari scoop dell’ultimo secondo.

Non solo: decine di giornalisti battevano continuamente sulle tastiere dei loro telefoni aggiornamenti istantanei in 140 caratteri, attirando sui propri profili Twitter migliaia di utenti. La prima chiamata era stata preannunciata ampiamente dai vari analisti tempo addietro, in quella che per molti era una vera e propria scommessa per dei Cavs, da troppo tempo ormai orfani di una stella. Il tutto nonostante Irving avesse giocato solo 11 partite al college.

Sulla seconda scelta, invece, seppur fossero state avanzate delle ipotesi, vigevano molti dubbi.

In molti studi televisivi si erano chiesti quale potesse essere la mossa adatta per i Timberwolves, per tentare finalmente di raggiungere gli agognati Playoffs. Il profilo più logico sembrava quello di un’altra ala da affiancare a Kevin Love e al nuovo play Rubio, anch’egli rookie ma draftato due anni prima.

Finalmente David Stern ricevette la comunicazione, e pronunciò la fatidica formula di rito:

“With the second pick of the 2011 NBA Draft, the Minnesota Timberwolves select… Derrick Williams from University of Arizona”.

Di nuovo grida, applausi, strette di mano. Ciò che i più avevano ignorato, ma che non era passato inosservato a molti giornalisti accreditati all’evento, fu che la scelta dei Wolves era stata anticipata da un “silenzioso” tweet, pubblicato due minuti prima dell’annuncio.

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“I Timberwolves hanno già avvisato gli agenti di Derrick Williams. Lo sceglieranno alla numero 2”.

Era accaduto qualcosa di sorprendente: mai, nei precedenti Draft, un giornalista era stato in grado di pronunciarsi con così tanta certezza su una scelta dopo la prima. Il fatto che non fosse di ESPN, poi, rendeva la cosa ancor più misteriosa e singolare.

Di lì in poi, molte delle 13 scelte successive furono anticipate con lo stesso iter osservato per la seconda. Adrian Wojnarowski aveva ricevuto le attenzioni che cercava. Un semi-sconosciuto giornalista di Yahoo! Sports da 90’000 followers aveva appena posto le basi per la costruzione del suo impero di informazione sportiva.

Twitter. Un regno mass mediatico da 278’000 cinguettii al minuto, che riportano istantaneamente notizie, fatti, opinioni, pareri e dichiarazioni. Un serbatoio da quasi 300 milioni di profili disseminati in ogni parte del globo, pronti ad essere guidati alla notizia più fresca dagli hashtag di riferimento.

Wojnarowki fu uno dei primi in ambito sportivo a capire il risvolto dell’utilizzo del social network di San Francisco; ma soprattutto, si distinse immediatamente dagli altri colleghi per il suo abuso. Nessuno aveva mai fatto riferimento prima di allora a Yahoo! per notizie di natura sportiva. In pochi mesi l’utenza (e il seguito personale) del motore di ricerca fu proiettata alle stelle.

Nel circolo giornalistico il nome Wojnarowski non era così sconosciuto come agli appassionati. Aveva fatto parecchia gavetta, scrivendo prima approfondimenti sul “Fresno Beee” (California) e poi, dal 1997, al “Record” nel New Jersey. Aveva scritto dei notevoli approfondimenti sulle squadre della Grande Mela, che erano valsi il premio di “Editorialista dell’anno” conferito dall’Associated Press. Oltre che il Best-Seller The Miracle of St. Anthony: a season with coach Bob Hurley and Basketball’s Most Improbable Dinasty”, edito dal New York Times nel 2006.

Dopo aver lasciato il Record, la carta ormai era cosa superata per Woj. Era arrivato il momento di buttarsi nell’era dei trade rumors, dallo stampato alla rete.

È innegabilmente affascinante osservare come la lungimiranza di Woj abbia anticipato tutti i colleghi, comprendendo quanto potesse essere proficuo il giornalismo via web.

Il primo anno sotto il secondo motore di ricerca più importante del globo fu speso nelle vecchie mansioni di editorialista. Collateralmente, si occupò delle Public Relations, arrivando ad intessere una rete di amicizie, contatti e fonti tra agenti, colleghi, figure interne alle franchigie e qualsiasi altro numero di telefono in grado di fornirgli qualche notizia esclusiva. A qualunque costo, anche di prendere qualche granchio. Le cosiddette “league sources”, fortuna di coloro che vengono visti come depositari di verità assolute altrimenti inaccessibili ai più.

Pian piano decentrò gli editoriali e gli approfondimenti, per incentrarsi su quelle che adesso definiva “Breaking News”, ovverosia costanti e continui aggiornamenti sul sito riguardo a movimenti, rumors, rinnovi, trattative. Il preludio di quello che sarebbe esploso la sera del Draft 2011.

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“Yahoo! Sports è stata inventata da Adrian Wojnarowski”. A dirlo fu un giornalista della ESPN. Lo stesso network con cui aveva collaborato secondariamente ai tempi del Record, e che definiva, con disprezzo, “Sport cable channel”.

Non si atteggiava da semplice concorrente: il suo interesse era soppiantare gli antagonisti. In un modo o nell’altro.

Il suo potere crebbe nemmeno troppo lentamente. Solo due anni più tardi, nel 2009, arrivò a spostare una parte dell’attenzione dal sito direttamente al suo profilo Twitter. La fluidità di aggiornamento, d’altronde, era ideale per lui.

Molti iniziarono a chiedersi cosa ci fosse dietro il Woj Method.

L’antica catena di montaggio dietro l’acquisizione di una notizia – secondo la quale le franchigie facevano trapelare ai reporter di riferimento news di vario genere (infortuni, trattative, rinnovi) – era stata smontata dalle fondamenta. Per far sì di anticipare tutto e tutti, talvolta addirittura gli stessi GM.

Accadde, infatti, che una trattativa fosse stata spoilerata allo stesso staff di un General Manager prima ancora che persino egli stesso lo comunicasse ai propri collaboratori: mentre il dirigente era in fase di trattativa con l’agente, infatti, l’intero iter era in costante aggiornamento sul profilo Twitter di Woj. In quel caso fu evidente che la rete di fonti “anonime” aveva toccato anche l’agente in questione, di cui non ci è dato sapere l’identità…

Woj era stato un ottimo editorialista e questo presupponeva l’esposizione di opinioni personali nei propri articoli. Com’era possibile che si fosse trasformato in un reporter d’assalto con una così fitta rete di insiders al suo servizio? Ma soprattutto, al netto di un chiaro guadagno in visibilità e seguito – e dunque economico – per lui, le sue fonti cosa ottenevano?

La curiosità altrui sulla sua persona si trasformò in attenzione e approfondimento.

Nel 2014, in occasione di un inasprimento dei rapporti con il “canale di Cheerleader” (ESPN), New Republic pubblicò un articolo che analizzava minuziosamente le differenze tra lui e gli altri reporter. Ne emerse un ritratto controverso, nel quale si definivano i suoi metodi come “non sempre limpidi e corretti”. Tendeva a mischiare fatti riportati ad opinioni personali, in grado, considerato il potere d’influenza, di “pilotare” il pubblico.

Si analizzò in particolare il rapporto tra Woj e due figure interne al mondo NBA: il famoso agente Andy Miller – fondatore e presidente di ASM SPORTS, recentemente indagato dalla FBI per tangenti e frodi nel mondo del basket collegiale – e l’ex dirigente dei Detroit Pistons Joe Dumars.

Furono riportati due esempi che fecero scalpore. Il primo legato ad un traffico di notizie su Twitter, nel quale il giornalista del New Republic individuò un vero e proprio emblema della strategia-tipo di Woj.

“Alle 10:31 dello scorso 2 giugno 2014, Woj postò un pezzo che riguardava il desiderio da parte di Jamal Crawford di estendere il proprio contratto coi Los Angeles Clippers.

Il tutto con dichiarazioni dell’agente di Crawford, Andy Miller, nel plateale e sfacciato tentativo di rinegoziare il nuovo contratto del suo assistito attraverso i media.

E non è tutto: circa 30 minuti dopo, Adrian Wojnarowki irruppe prima di tutti con la notizia che Kyle Lowry – altro assistito di Miller – avrebbe di lì a poco ri-firmato con i Toronto Raptors. Citava persino una dichiarazione della point guard dei canadesi, cosa piuttosto rara in un mondo nel quale arrivare due minuti prima o dopo fa la differenza tra una notizia rilevante e non.

Nove giorni più tardi, dopo che un altro cliente di Miller aveva firmato un nuovo contratto, Woj twittò:

Grande successo, un altro grande contratto per l’agente Andy Miller”.

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Una climax ascendente di bombe di mercato. Anzi, di Wojbombs. Con incluso un giudizio finale più che eloquente nei confronti dell’operato dell’amico Miller.

Il secondo caso fu lo strano asse che si venne a creare tra Woj e Detroit.

Questa la lista della spesa di trade e trattative dal 2000 al 2014, sulle quali, “inspiegabilmente”, l’occhio di falco di Wojnarowski cadde prima di tutti gli altri:

  • Trade per Allen Iverson,
  • Trade per Amir Johnson,
  • Scelta di Austin Daye,
  • Firma di Ben Gordon e Charlie Villanueva,
  • Assunzione di John Kuester,
  • Trade per Aaron Afflalo,
  • Firma di Chris Wilcox,
  • Firma di Ben Wallace,
  • Scelta di Greg Monroe,
  • Firma di Tracy McGrady,
  • Litigio di Rip Hamilton con John Kuester,
  • Scelta di Brandon Knight,
  • Assunzione di Lawrence Frank,
  • Rinnovo di Tayshuan Prince,
  • Rinnovo di Rodney Stuckey,
  • Trade per Ben Gordon,
  • Firma di Josh Smith,
  • Firma di Chauncey Billups,
  • Firma di Brandon Jennings,
  • Firma di Josh Harrellson,
  • Licenziamento di Mo Cheeks.

 

Un’interminabile sequenza di piccoli, medi e grandi scoop. Che nel 2010 costarono a Dumars 500’000 dollari di multa “for leaking multiple confidential league memos to Wojnarowski”.

In cambio Dumars ricevette elogi più che generosi per il suo operato: pur essendo stato un buon dirigente nella prima metà del suo mandato – compreso il titolo del 2004 – il GM contribuì in seguito alla penuria di risultati a Motor City. Nel 2012, però, Woj scrisse un articolo nel quale celebrava le scelte di Dumars, in una stagione conclusa con 29 vittorie (più o meno le stesse di quella dopo, e quella dopo ancora).

Ma se la fitta rete di clientelismi imbastita lo portò a divenire il miglior insider tra i media, saltò altrettanto all’occhio un fatto curioso: la tendenza, da parte di alcune personalità di spicco, a evitare le sue “attenzioni”. Porte in faccia che giustificavano ampiamente, nella sua ottica, frecciatine e critiche a gestioni e scelte, sia tecniche che manageriali.

Tutt’altro che privilegiati furono i rapporti tra Woj e alcuni membri del basket collegiale – tra cui John Calipari e Larry Brown – l’ex sindacalista Billy Hunter e David Falk, ex-rappresentante degli interessi di Jordan, Ewing e Mutombo. Per non parlare di “quei dilettanti” degli executives di Memphis; e le ironie assortite – e talvolta motivabili – sulla gestione ultima dei New York Knicks.

Non è riuscito poi a far breccia nelle strette maglie delle relazioni del numero 1 dei Boston Celtics – quel Danny Ainge che più di una volta, guarda caso, ha attaccato tra le righe dei suoi tweet o degli editoriali con parole avvelenate; nel 2017, poi, non potendo criticare un operato di indiscutibile valore dal punto di vista gestionale, ha twittato (traduzione):

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Gli stessi “sotterfugi” compiuti da uno dei primissimi giocatori della NBA per sfuggire alla copertura assillante di Woj. Perché “non c’è nessun altro giornalista di spicco nel mondo NBA con una agenda di pubblicazione più macroscopicamente anti-Lebron James di Adrian Wojnarowski”.

Dal suo ingresso nella Lega, LeBron ha sempre controllato le proprie relazioni, che hanno retto stoicamente alle bordate di Woj in seguito al suo trasferimento a Miami.

L’origine della contesa coincideva con una errata valutazione su The Decision: due giorni prima del terremoto mediatico, senza alcuna base – perché qualsiasi fonte vicina al giocatore si era ben guardata dal confrontarsi con lui – Wojnarowski aveva affermato che LeBron non avrebbe mai lasciato l’Ohio. Una magra figura: James comunicò, nello speciale in onda su ESPN, che avrebbe “portato i suoi talenti a South Beach”.

Congetture, ipotesi, ricerca di soffiate avevano prodotto una figuraccia per Woj. Il quale, pur avendolo mal dipinto già in precedenza, pubblicò 4’000 parole di editoriale in cui LBJ era un vero e proprio bersaglio.

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Lo criticò duramente. Non per la scelta tecnica, che ai tempi in pochi difesero e condivisero. Piuttosto per il suo atteggiamento, perché il tutto avrebbe – anzi, aveva già – rovinato per sempre la sua legacy. Pur non avendo ancora giocato una singola partita in maglia Heat.

Diversi addetti ai lavori si schierarono dalla parte di LeBron, accusando Woj di scarsa professionalità e rivendicando metodologie più trasparenti e consone nel fare giornalismo sportivo.

Gara 3 delle Finals 2011 – vinta da Miami contro Dallas di due punti – rappresentò una seconda ghiotta occasione. Nel recap su Yahoo! condì una “opaca” prestazione di James da 17 punti, 3 rimbalzi e 9 assist con 6/14 dal campo affermando che avrebbe dovuto prendere coscienza del suo nuovo ruolo: quello di secondo violino. Concentrando tutta la propria attenzione sul solo James, diementicandosi di menzionare il tiro decisivo di Bosh (e quelli prima di Chalmers) e la difesa degli Heat.

Fu nuovamente sommerso di critiche per una scarsa oggettività nei giudizi di LeBron. Alle quali rispose rivendicando la propria libertà di giudizio controcorrente.


Do ut des.Do affinchè tu mi dia”.

Un meccanismo che va ben oltre il quotidiano “I get my ass kicked”, col quale ha motivato la sua ultra-competitività in un’intervista in occasione del suo principesco passaggio da un contratto quadriennale da 9 milioni e mezzo circa (!!!) di dollari con Yahoo! ad uno ben più sostanzioso, ma ignoto, presentatogli – proprio così – dalle “cheerleader di ESPN“.

Una strategia machiavellica, nella quale i fini giustificano i mezzi. Senza però dimenticare la quasi sacrale dedizione verso la propria professione, che ha portato Woj ad essere una delle personalità più importanti ed influenti dell’intero circus NBA.

Nel 2014 fu stilata una classifica, nel tentativo di delineare quali fossero state le personalità più influenti dell’estate nel mondo NBA. Se il primo posto fu dominato da LeBron e dal suo ritorno a Cleveland, al quinto vi fu posto proprio lui. Woj. Perché “Quando una notizia arriva da Woj, state certi che al 99% è vera”.

Purché non vi chiediate da dove arrivi.