test alt text

 

Nel 1998 è uscito nelle sale cinematografiche “Sliding Doors”, film di Peter Howitt in cui la protagonista interpretata da Gwyneth Paltrow raggiunge la metropolitana nell’esatto momento in cui le porte del treno si stanno chiudendo. La storia prosegue mostrando l’evolversi dei fatti nei due casi in cui la ragazza riesca a prendere la metro e in cui rimanga chiusa fuori. La morale del film vuole evidenziare come ogni più piccolo avvenimento della nostra vita possa influenzare gli eventi futuri, anche in modo considerevole.

Inutile dire che, nella vita di Tracy McGrady, le sliding doors siano state numerose e decisive. Ma andiamo con ordine.



Tracy Lamar McGrady Jr. nasce il 24 maggio 1979 a Barton, Florida. Tracy Senior si dimostra fin da subito latitante come figura paterna, e tutto il peso genitoriale cade sulle spalle della madre, Melanise Williford, appena uscita dall’high school. Sola e troppo giovane per gestire la situazione, Melanise si trasferisce ad Auburnadale dalla madre; la figura della nonna materna sarà talmente importante nella crescita del nipote che egli stesso dichiarerà sempre di avere avuto due madri.

Auburnadale è una piccola città di 9mila anime, e il quartiere frequentato da Tracy e i suoi amici, the Hill, non è certo il massimo della sicurezza. Come per tanti altri coetanei, è lo sport a tenere T-Mac lontano dalla strada.

All’inizio, ad attirarlo, è una palla ben diversa da quella a spicchi: sembra infatti destinato a puntare tutte le proprie doti sul baseball. A strappare il ragazzo al diamante ci pensa… Penny Hardaway. Il giocatore di Memphis, scelto dagli Orlando Magic al Draft 1993, fa letteralmente perdere la testa al giovane Tracy, che ne ammira il gioco a tal punto – come raccontato da lui stesso – da decidere di provare a seguire le sue orme sul parquet.

Frequenta quindi la locale Auburnadale High School dove esplode letteralmente nel terzo anno, diventando dominante in ogni aspetto del gioco e chiudendo con 23 punti e 12 rimbalzi di media. Carriera in discesa e pronti per il grande salto? Neanche per idea, perché al grande talento sul parquet si contrappone uno studente pigro e poco avvezzo a frequentare le lezioni. La situazione degenera quanto McGrady viene cacciato dalla squadra della scuola dopo un alterco con un insegnate.

Con la seria prospettiva di finire di nuovo a frequentare le strade di The Hill, eccoci alla prima sliding door, e questa ha un nome e un cognome: Alvis Smith. È l’allenatore della lega estiva AAU, oltre ad essere un uomo di Sonny Vaccaro, importante manager di Nike prima e ora di adidas, e n. 1 dell’ABCD Camp, il più importante camp estivo di basket destinato ai migliori liceali a livello nazionale.

Al di fuori della Florida nessuno conosce Tracy, ma Smith convince Vaccaro a dare al ragazzo una possibilità. Nell’estate del 1996, prende parte all’ABCD Camp con la divisa n. 175, il numero dell’ultimo posto disponibile.

test alt text

I suoi compagni lo mettono in guardia “Dovrai marcare uno dei migliori del paese, Lamar Odom da New York, un 2.08m che gioca da point guard”. Il nativo di Barton, che ha sempre giocato in un campionato dove i centri raggiungevno al massimo i 195cm, non si scompone più di tanto e annienta Odom alla prima sfida, dominando poi per il resto del camp.

Scelto ovviamente per giocare l’All-Star Game finale della manifestazione, si rende protagonista dell’highlight della serata: una schiacciata impressionante in contropiede, una windmill di potenza maestosa, eseguita in faccia al povero James Felton, accorso per provare a stoppare e finito invece dal lato sbagliato del poster.

Quel camp finalmente mette Tracy sulla mappa.

Considerati i fatti avvenuti a Auburnadale, il nuovo fenomeno nazionale cambia scuola su consiglio di Alvis Smith, iscrivendosi alla Mount Zion Christian Academy di Durham, North Carolina. È il posto perfetto per lui: lontano dalle cattive compagnie della Florida, in una squadra costantemente ai vertici del ranking nazionale e allenata da Joel Hopkins, un coach ruvido e severo tutto disciplina e lavoro duro. Tracy si tuffa a capofitto nel rigido programma del coach.

Ne esce un giocatore dominante, che gioca indistintamente in tutti i ruoli e trascina la propria squadra al numero 2 del ranking nazionale. Il fatturato della stagione 1996/97 è di 27.5 punti, 8.7 rimbalzi e 7.7 assist. Ovviamente gioca il McDonald’s All American e riceve proposte dai migliori college.

L’università che sembra aver fatto maggiormente breccia sembra essere Kentucky e il talento di Mount Zion è ormai a un passo dal recarsi alla corte di Rick Pitino per diventare un Wildcat. Ma ecco la seconda sliding door nella carriera del ragazzo: cominciano a circolare voci dal panorama NBA, che lo vedono tra le prime scelte del prossimo Draft. Se si escludono i nomi di Tim Duncan e Keith Van Horn, del resto, la classe del 1997 non presenta nomi altisonanti.

Il dubbio se saltare il college e andare direttamente tra i pro si fa sempre più grande nella testa di T-Mac. Il suo enturage spinge per i pro, forti anche di una moda – quella di passare diretti dalla high school al professionismo – che negli ultimi anni ha visto i casi di Kevin Garnett nel 1995 e Kobe Bryant nel 1996.

“Sorry Coach Pitino, I’m gonna be an NBA player”.

Le squadre interessate a McGrady sono più di una, tra cui i Chicago Bulls campioni NBA. Il Genaral Manager Jerry Krause vorrebbe imbastire uno scambio con i Vancouver Grizzlies, mandando in Canada nientemeno che Scottie Pippen in cambio della loro scelta n. 4, per prender Tracy. Salta tutto solo per il veto decisivo di Michael Jordan.

Alla n. 9 scelgono i Toronto Raptors, il cui GM, Isiah Thomas, era stato a un passo dallo scegliere Kevin Garnett nel 1995 e stavolta non vuole rinunciare al talento dell’high school. L’ex Mount Zion si stabilisce quindi nello stato della foglia d’acero, forte del sostegno di coach Hopkins e di Alvis Smith, recatisi in loco. Lo stesso Smith, insieme a Sonny Vaccaro, con cui Tracy è rimasto in ottimi rapporti dopo il fortunato ABCD Camp, fanno firmare al ragazzo un contratto milionario pluriennale con adidas.

I Raptors 1997/98 sono una squadra con un futuro roseo all’orizzonte, forti dei giovani talenti Damon Stoudamire e Marcus Camby, e con l’aggiunta di McGrady nel motore. La stagione, però, si rivela ben al di sotto delle aspettative. La squadra è falcidiata dagli infortuni, Camby in primis.

Tracy gioca solo pochi scampoli di partita. L’allenatore di Toronto, Darrel Walker, lo critica aspramente, lamentando scarso impegno ed etica lavorativa, e McGrady per tutta risposta si chiude a riccio e passa le sue giornate a dormire. Un po’ ovunque: in aereo, in bus, a casa, anche per più di 20 ore al giorno.

test alt text

La squadra è già allo sbando dopo solo un quarto di stagione, con una penosa striscia di 17 sconfitte consecutive. Isiah Thomas abbandona la barca da lui creata per diventare analista per la NBC, coach Walker viene licenziato e tramite uno scambio a tre, lasciano il Canada vari giocatori tra cui Stoudemire.

Altra sliding door, perché il nuovo allenatore dei Raptors è Butch Carter, che sarà fondamentale per la crescita di T-Mac. Nonostante i fidi Hopkins e Smith gli ripetano che Carter sia la scelta sbagliata, il nuovo arrivato sulla panchina canadese, forte dell’esperienza come coach di high school in Ohio, sa perfettamente che il proprio compito è quello di plasmare il talento grezzo di T-Mac senza gettarlo nell’arena fuori controllo.

Carter ha un programma ben preciso: si scontra fortemente con Tracy, lasciandolo anche fuori dalle rotazioni per un paio di partite, ma a quel punto ottiene l’attenzione e il rispetto del ragazzo, e lo sottopone ad un duro allenamento per irrobustire il fisico, oltre che a un lavoro intensivo sulla tecnica. “Dovrai essere un gran giocatore in allenamento, prima di essere uno starter NBA.”

I Raptors chiudono la Regular Season con un mediocre record di 16-66, ma la produzione del n. 1, con coach Carter, inizia a crescere. Chiude il suo anno da rookie con 7 punti, 4.2 rimbalzi e 1.5 assist, con una seconda parte di stagione interessante: season high contro i Nets da 22 punti e 8 rimbalzi, starting five per le ultime 11 partite dell’anno.

Al Draft 1998, poi, i Raptors scelgono Vince Carter, da North Carolina. Tracy conosce bene il nuovo arrivato: i due, oltre a essersi conosciuti ai tornei AAU della Florida, sono infatti parenti alla lontana, essendo cugine le rispettive nonne.

L’estate del 1998 e il periodo fino a dicembre – mese di inizio della Regular Season 1998/99, causa del lockout – è fondamentale per Tracy: si sottopone ad un duro lavoro fisico per irrobustire il suo agile ma altrettanto fragile fisico. Con i consigli di coach Williams e di un preparatore, McGrady mette su ben 7 kg di muscoli. Coach Carter è soddisfatto, vede che il ragazzo è determinato a fare un ulteriore step.

Per la nuova stagione, oltre a Vince Carter, i Raptors hanno aggiunto tonnellaggio ed esperienza, con Charles Oakley e Kevin Willis. Il miglioramento della squadra è notevole.

Carter incanta l’NBA e diventa presto l’idolo del pubblico di Toronto, il record di squadra è a un passo dal 50% (23-27). T-Mac prosegue il suo processo di crescita, chiudendo con 9.3 punti, 5.7 rimbalzi e 2.3 assist in 22.6 minuti; e un fondamentale ruolo in uscita dalla panchina, pur essendo sempre in campo nei momenti cruciali.

L’amicizia con Carter, intanto, si fa sempre più stretta. I due passano molto tempo insieme fuori dal campo, diventano l’uno il punto di riferimento dell’altro in spogliatoio.

Per la stagione 1999/00 i Raptors rinforzano ulteriormente il backcourt con un altro veterano come Antonio Davis e rimpolpano il perimetro con un tiratore come Dell Curry. La squadra compie un ulteriore passo in avanti.

Il prodotto di Mount Zion inizia l’anno ancora dalla panchina, ma è sempre in campo nei momenti decisivi. È nettamente il miglior difensore a roster: ha fisico, braccia lunghe e rapidità per fermare qualunque attaccante si trovi davanti. All’All-Star break i Raptors sono 22-19, nuovo record di franchigia.

Ed è proprio nel weekend delle stelle di Oakland che Vince Carter e Tracy McGrady prendono parte ad una grande edizione dello Slam Dunk Contest. È una gara sconvolgente, considerata da molti la migliore di sempre. Se non ve la ricordate, beh… buona visione:

Vince Carter domina la scena e vince il contest. McGrady è terzo, con una schiacciata incredibile passata forse troppo in sordina: una double pump in 360 con palla presa al volo che lascia senza parole. Ora di tornare al vero basket.

Rituffatosi nella stagione, Tracy ottiene finalmente l’ambito posto in quintetto. I Raptors sono competitivi a Est e la Regular Season si chiude con un record di 45-37, che vale il sesto seed. McGrady termina con 15.4 PTS, 6.3 REB, 3.3 AST e 1.9 BLK – migliore in squadra – in 31 minuti a sera.

I Playoffs si chiudono con una prematura eliminazione per 0-3 contro i Knicks, ma T-Mac si mette ancora più in luce, incrementando le proprie cifre, col lampo dei 25 punti e 10 rimbalzi di Gara 1. La sua ascesa ad alto livello NBA lo rende molto appetibile al momento di affrontare la prima free agency della carriera.

Nuova sliding door: restare con la squadra che l’ha scelto e lo sta facendo crescere, o ascoltare le sirene delle altre franchigie interessate?

La situazione a Toronto si è un po’ incrinata. T-Mac non ha mai nascosto di non gradire l’esclusione dal quintetto, mentre i Raptors gli hanno sempre rimproverato l’incostante applicazione e il rendimento altalenante. Quando rifiuta l’offerta di rinnovo ricevuta dai canadesi, si capisce che la sua destinazione sarà verso altri lidi, anche perché il suo mentore, coach Carter, è stato licenziato.

Gli Orlando Magic sono una squadra in grande ascesa, con un allenatore carismatico come Doc Rivers e con tanti soldi da spendere in quel mercato dei free agent. Tre gli obiettivi dichiarati: Tim Duncan, Grant Hill e proprio McGrady. I primi due sono i più ambiti, in quanto star già affermate, ma se Hill decide di lasciare Detroit, altrettanto non fa Duncan che non si muove da San Antonio; Tracy esige più spazio in campo, non vuole più vivere all’ombra del cugino e apprezza di poter tornare a casa in Florida.

È deciso: volerà a Orlando, dove indosserà la divisa n.1 dei Magic. La stessa del suo idolo Penny Hardaway.

La stagione 2000/01 per Orlando non va esattamente come previsto: Grant Hill gioca solo 4 partite per un infortunio alla caviglia che condizionerà la sua carriera. Tutta la squadra è chiamata a un effort maggiore per l’assenza del n. 33. Per T-Mac questo diventa un vero trampolino di lancio.

È il leader indiscusso della franchigia. Segna 26.8 punti, 7.5 rimbalzi e 4.6 assist di media. Viene convocato per il suo primo All-Star Game, inserito nel secondo quintetto All-NBA e vince il premio di Most Improved Player. Non pago, trascina i Magic ai Playoffs (record 43-39), dove eleva ulteriormente il proprio livello: contro l’avversario del primo turno, i Milwaukee Bucks, l’ex Raptors mette in piedi uno show offensivo e difensivo incredibile. 33.8 punti, 6.5 rimbalzi e 8.3 assist di media nella serie, con il povero Glenn Robinson dei Bucks dominato in ogni possesso.

I Magic escono sconfitti 3 -1, ma c’è la sensazione che T-Mac sia pronto a dominare la Lega negli anni a venire.

Nella stagione 2001-02 è ancora il leader assoluto del team, al netto delle sole 14 partite giocate da Hill. Chiude con 25.6 punti di media e un season high da 47 rifilato ai Clippers in gennaio, 7.9 rimbalzi e 5.3 rimbalzi; oltre all’inclusione nel primo quintetto All-NBA e l’highlight n. 1 dell’All-Star Game 2002, con auto passaggio al vetro e bimane in mezzo al traffico. Orlando, però, esce sconfitta al primo turno in cinque gare contro Charlotte.

Nuovo anno, nuovo step. Nel 2002-03 T-Mac alza ancora l’asticella. Vince il primo titolo di miglior realizzatore della Lega, con 32.1 punti a sera. E’ una pantera virtualmente inarrestabile, sia al ferro che nel tiro da fuori. I Magic però stentano, finendo ottavi a Est e trovando i Pistons al primo turno.

Orlando va in vantaggio 3-1, la serie sembra scritta. McGrady comincia già a parlare di secondo turno. Grave errore: Detroit recupera e chiude la serie in Gara 7.

L’ennesima eliminazione al primo turno porta alla luce varie critiche nei confronti del n. 1 di Orlando. Ancora una volta viene evidenziata la sua proverbiale mancanza di continuità e pigrizia, che lo portano a non dare sempre il 100%. Anche il suo fisico comincia a dare segni di cedimento, con la schiena gli dà continui problemi e lo costringe a saltare alcune gare.

La stagione 2003/04 lo vede ancora top scorer NBA con 28 punti e il career-high di 62 contro Washington, ma a livello di squadra le cose vanno male. Falcidiati dagli infortuni, i Magic chiudono col peggior record a Est (21-61), con coach Rivers licenziato dopo 11 partite. La mossa porta una certa frizione nel rapporto tra la stella e il GM, John Weisbrod.

La sua permanenza in Florida è giunta al capolinea. Nel giugno del 2004, McGrady viene spedito agli Houston Rockets in cambio di un pacchetto di giocatori tra cui Steve Francis.

Il Texas è destinazione a lui gradita, impaziente com’è di poter giocare con un centro dominante come Yao Ming e convinto di poter formare un asse da titolo. 

In effetti il front office dei Rockets costruisce un supporting cast interessante, con Jimmy Jackson, David Wesley, Bob Sura, Juwan Howard, Mike James, John Barry e Dickembe Mutombo, con la prospettiva di posizionarsi subito ai vertici della Lega. In teoria, perché l’inizio sembra un horror, con 16 vittorie e 17 sconfitte.

Terminato il periodo di rodaggio, però, si accende T-Mac, che trascina i suoi con 9 vittorie su 15 partite; oltre a essere assoluto protagonista della performance che ha sconvolto il mondo cestistico intero: 13 punti in 33 secondi e rimonta impensabile sugli Spurs.

McGrady chiude la stagione con 25.7 punti, 6.2 rimbalzi e 5.7 assist di media. I Rockets mantengono un andamento altalenante e chiudono al quinto posto a Ovest, affrontando al primo turno Playoffs i Mavericks.

È una serie avvincente, che si chiude solo a Gara 7, dove tuttavia Houston viene spazzata via di 40 punti. L’ex Magic è straordinario, con 30 punti di media nella serie e spendendosi in difesa su Nowitzki, ma ancora una volta non riesce a scrollarsi di dosso l’atavica critica di chi non ha mai superato un turno di Playoffs.

La stagione 2005/06 porta in serbo per T-Mac numerosi problemi fisici – mal di schiena su tutti – che lo portano a indossare la canotta bianco-rossa solo per 47 partite e che lo martorieranno nel periodo che dovrebbe rappresentare il top per la carriera di un’atleta. Segna comunque 24.4 punti, con 6.5 rimbalzi e 4.8 assist a sera, ma i Rockets soffrono la sua lunga assenza e finiscono addirittura ultimi nella Southwest Division e fuori dalla post season.

Anche nel 2006/07 la schiena è il suo peggior avversario; ciononostante mantiene comunque alto il suo livello di gioco e, coadiuvato da una grande stagione di Yao Ming, riporta Houston ai Playoffs. L’esito finale è sempre lo stesso: eliminazione al primo turno da parte di Utah per 4–3.

Le successive due stagioni in Texas rispecchiano lo stesso copione: problemi fisici – solo 66 e 35 partite nelle due annate – e prestazioni in calo (21.6 / 5.1 / 5.9 e 15.6 / 4.4 / 5.0 le medie di punti, rimbalzi e assist a partita). Si alimentano ulteriormente i dubbi sulla sua possibilità di essere ancora un giocatore determinante.

Nella stagione 2009/10 T-Mac è ancora reduce dai gravi infortuni dell’anno passato. Resta fuori fino a metà gennaio, rientra ma non è più lui. Il 18 febbraio 2010 viene spedito a New York via trade. Il declino è iniziato, inesorabile.

Nella Grande Mela inizia col botto, segnando 26 punti nella sconfitta in OT contro i Thunder. È solo un fuoco di paglia però, perché in maglia bianco-blu-arancio chiude con soli 9.4 punti e 3.9 assist in 24 partite. Le due stagioni successive sverna tra Detroit e Atlanta, alle prese con gli ormai abituali problemi fisici e career low nelle voci statistiche.

Nella stagione 2012/13 decide di seguire la strada battuta da tanti giocatori NBA a fine carriera e vola a monetizzare nel campionato cinese, firmando con i Qingdao DoubleStar. Cifre ovviamente monstre (25 punti e 7.2 rimbalzi di media), considerato anche il livello del tecnico del torneo.

Poi, però, si palesa la possibilità di lottare per l’anello NBA, perché viene ingaggiato dagli Spurs per i Playoffs 2013. Gioca solo 6 gare e pressochè unicamente garbage time, ma riesce quantomeno a superare un primo turno di post-season, e non solo. Il titolo, però, va a Miami, che batte in finale San Antonio 4-3.

È veramente l’ora dei saluti. Il 26 agosto, Tracy annuncia il proprio ritiro.

Un giocatore dal talento fisico e tecnico ancora oggi difficilmente avvicinabili – che gli hanno garantito il meritato ingresso nella Hall of Fame nel 2017 – capace di dominare su tutti i 28 metri, sia in attacco che in difesa; ma anche un potenziale mai pienamente espresso e l’accusa costante di scarso impegno da parte di allenatori, dirigenti e compagni di squadra.

Tutto questo rende T-Mac uno dei più grandi what if di sempre. E un giocatore che, pur con evidenti limiti caratteriali, è riuscito a entrare nel cuore degli appassionati. Fino in profondità.