Per essere un top player NBA devi avere talento. Ma da solo questo non è una garanzia per raggiungere l’apice. Strani scherzi del destino, limiti fisici o caratteriali hanno impedito ad alcuni predestinati di entrare nella leggenda.

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Springfield, Massachussets. Sono da poco passate le 20 dell’ 8 settembre 2018 e, alla Symphony Hall, Amahd Rashad sta conducendo la serata di introduzione nella Basketball Hall of Fame. Il noto giornalista si avvicina al microfono e si rivolge ad un distinto 71enne in platea: “Calvin, quando giocavi, durante un’intervista, dicesti che avevi un figlio che sarebbe diventato molto forte. Beh, avevi ragione”.


Grant Henry Hill nasce a Dallas il 5 ottobre 1972, figlio di Janet, procuratrice e consulente finanziario, e di Calvin, running back NFL (scelto, dai Dallas Cowboys, con la ventiquattresima scelta assoluta del draft 1969, quattro volte Pro Bowl e primo giocatore della storia dei San Diego Chargers a correre più di 1.000 yards in una stagione).

La vita del giovane Grant non è quindi quella del ragazzo che sfrutta il basket per sfuggire ai pericoli della strada e che vuole diventare professionista per aiutare la famiglia. Hill cresce in una famiglia benestante, con regole severissime, che plasmano il carattere dell’unico figlio di Calvin e Janet: timido, educato, riservato, non vuole mai apparire migliore dei propri amici, ma essere semplicemente uno di loro. Per questo cerca di rivelare il meno possibile di essere figlio di un giocatore NFL e pretende che i genitori lo accompagnino a scuola con una vecchia Volkswagen, anziché con altre lussuose quattro ruote che popolavano il nutrito parco auto di casa.

La famiglia Hill, dopo il termine della carriera pro di Calvin, si trasferisce definitivamente a Reston, in Virginia e Grant frequenta la locale South Lakes High School. Non segue le orme sportive del padre, come si potrebbe immaginare, proprio perché quest’ultimo lo spinge verso la palla a spicchi.

Al suo primo anno a South Lakes, il padre e il coach della squadra premono per aggregarlo subito alla prima squadra della scuola, la Varsity; ma Grant, per non dare adito a voci su eventuali favoritismi, chiede di poter far parte della Junior Varsity, come tutti i suoi coetanei. Nonostante viva ancora il basket come un gioco e non pensi alla NBA se non come a grande un sogno, il talento del giovane Hill è già sotto l’occhio di tutti. Tanto da mettere subito in mostra le proprie qualità, una volta passato alla Varsity. Nei quattro anni a Reston, Hill porta la squadra due volte alle finali di Stato e viene inserito nell’All-American Team del 1990.

Al momento di scegliere il college, Calvin vorrebbe che il figlio si iscrivesse a North Carolina, ma Grant intimamente non aspira a divenire un Tar Heel ed è invece attratto dalla vicina Georgetown di coach Thompson – per la gioia di mamma Janet. L’università di Washington DC tuttavia perde clamorosamente la possibilità di assicurarsi il talentino quando questi, in visita al campus, si trova in una stanza con l’Academic Adviser, Mary Fenlon. La donna porge un libro a Grant, invitandolo a iniziare a leggere a voce alta. Il ragazzo, perplesso, procede senza battere ciglio, ma dopo una sola pagina viene interrotto dalla donna che gli chiede di ripetere ciò che ha appena letto. Offeso dal gesto, Hill lascia la stanza, tanti saluti a Mrs. Fenlon e anche a Georgetown.

A beneficiare della situazione è Duke, che riesce ad assicurarsi il prodotto di Reston. Coach Krzyzewski, nella stagione 1990/91, si trova così per le mani una squadra di primissimo livello, che può vantare anche il junior Christian Leattner e il sophmore Bobby Hurley.

Grant, fin dai suoi primi giorni a Durham, mostra il proprio arsenale, caratterizzato non solo da eccellenti doti atletiche e realizzative, ma anche dall’abilità nel servire i compagni e nel farsi valere sotto le plance.

Il fatturato della sua prima stagione lo vede infatti chiudere con 11.2 punti, 5.1 rimbalzi e il 51.6% dal campo. I Blue Devils perdono la finale della ACC contro i rivali di North Carolina, ma fanno percorso netto nel torneo NCAA, vincendo il titolo nazionale battendo Kansas in finale.

La stagione successiva Duke mantiene tutti i suoi pezzi pregiati ed è un vero e proprio rullo compressore. Hill incrementa le proprie cifre (14 pts, 5.7 rb e 4.1 ast e 61.1% dal campo) e i Blue Devils vincono il titolo ACC puntando a ripetersi anche nel torneo NCAA del 1992. La finale dei Regionals vede i ragazzi di coach K affrontare la Kentucky di coach Pitino. È una partita tiratissima, che si gioca sul filo fino all’ultimo secondo. Grant segna 11 punti e cattura 10 rimbalzi, condendo il tutto con 7 assist. Ed è proprio quel settimo passaggio a fare la storia, non solo di Duke, ma del torneo stesso.

Con 2.1 secondi da giocare nel supplementare, Kentucky conduce 103 a 102. Hill effettua la rimessa da fondo campo, passaggio stile quarterback, di precisione millimetrica, che viene ricevuto da Leattner sulla lunetta opposta. Un palleggio sul posto, fade away e tiro. Suona la sirena.

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