Questo contenuto è tratto da un articolo di Sean Guest per DoubleClutchUK, tradotto in italiano da Marco Cavalletti per Around the Game.


Correva l’anno 2000. Sony lanciava sul mercato la Playstation 2, Toy Story usciva nelle sale ed eBay faceva il suo debutto sul web.


Al tempo erano i San Antonio Spurs i campioni in carica, ma qui ci concentreremo su un’altra forza della Western Conference: i Seattle SuperSonics, e la loro point guard Gary Payton.

Vent’anni fa, Payton divenne il leader di punti segnati nella storia della franchigia, sorpassando “Downtown” Fred Brown e i suoi 14.018 punti. Fu un traguardo significativo, permesso dal fatto che Payton – conosciuto più che mai per la sua difesa – fece registrare 21.1 punti a partita nelle stagioni fra il 1994/95 e il 1999/00.

Ovviamente, questo traguardo fu raggiunto quando ormai i migliori anni di Payton a Seattle erano passati. The Glove e Shawn Kemp avevano reso la squadra una corazzata nel corso degli anni ’90, ma la partenza di Kemp nel 1997, seguita da quella di coach George Karl, li ridusse da contender a squadra che faticava a raggiungere il 50% di vittorie, negli ultimi anni di Payton a Seattle.

Arrivato il 2003, Payton lasciò i Sonics e – dopo Milwaukee, Los Angeles e Boston – vinse il suo primo titolo con i Miami Heat di Dwyane Wade, nel 2006. Ma non è per questo che verrà ricordato Payton.

The Glove verrà ricordato per gli anni a Seattle, che qualsiasi ragazzo cresciuto con l’NBA degli anni ’90 non dimenticherà mai. Verrà ricordato per essere stato uno dei migliori difensori (e trash talker) della Lega. E verrà ricordato per la sfida con Michael Jordan nelle Finals 1996, epitome del giocatore che fu.

In quella stagione i Sonics vinsero la bellezza di 64 partite, conquistando la vetta della Western Conference. Ne avevano vinte 63 nel 1993/94, prima di subire una scioccante sconfitta al primo round per mano dei Nuggets, ma l’esperienza fu maestra.

Seattle cominciò i Playoffs del ’96 annientando in quattro gare i Kings, prima di fare lo stesso con i Rockets, campioni uscenti, al secondo round. Proseguirono poi sconfiggendo i Jazz di Jerry Sloan nelle Conference Finals, raggiungendo le prime NBA Finals della franchigia dal 1979. Purtroppo per loro, però, dovettero fronteggiare i Chicago Bulls... più Chicago Bulls di sempre.

Esatto, la squadra delle 72 vittorie a seguito del ritorno di Jordan dal suo anno sabbatico. Quelli al primo posto nella Lega per punti segnati su 100 possessi (115.2) e per punti concessi (101.8). Quelli il cui margine medio di vittoria era stato un insensato 12.24 in stagione regolare.

Jordan, Pippen e Rodman fecero sentire la superiorità dei Bulls nelle prime tre partite, spazzando via i Sonics in Gara 1 e Gara 3, e vincendo comunque una combattuta Gara 2.

Sull’orlo dell’eliminazione, George Karl attuò un aggiustamento, permettendo finalmente a Payton (che stava combattendo un infortunio al polpaccio) di marcare MJ. La guardia dei Sonics era 5 centimetri abbondanti più basso di Jordan, nonché 10 chili più leggero. Eppure, gli si attaccò come un francobollo, difendendolo davanti in post (andate al decimo secondo del video sotto), cercando sempre di sporcargli la palla e… non chiudendo un secondo la bocca in tutta Gara 4.

La strategia funzionò, con Payton che limitò Jordan a 23 punti con il 32% al tiro, segnando dall’altra parte 21 punti con 11 assist, in una vittoria per 86-107 di Seattle.

Gara 5 vide un andamento simile. Pur tirando con il 50% dal campo, Jordan segnò solo 26 punti, limitato da un ottimo lavoro di Payton, autore anche di 23 punti. I Sonics vinsero 78-89, ma dovettero poi soccombere all’inevitabile in Gara 6, con i Bulls che misero le mani su un altro titolo.

Ormai è una domanda sentita e risentita: se Payton avesse marcato Jordan dall’inizio, le cose sarebbero potute andare diversamente? Nelle prime tre partite, MJ tenne una media di 31 punti, tirando col 46% dal campo e il 50% da tre; nelle ultime tre la musica cambiò, e non poco, con The Glove che contribuì a limitarlo a 23.7 punti con il 37% dal campo e l’11% da tre.

Payton ne parlò nel 2010, spiegando come riuscì a limitare Jordan, facendolo stancare e costringendolo a lavorare più del solito per ricevere la palla:

Parlò anche della sua delusione quando la franchigia decise di smantellare il proprio nucleo, convinto che quel gruppo – che comprendeva anche Detlef Schrempf e Nate McMillan – avrebbe potuto vincere un titolo, se fosse rimasto unito.

Payton divenne un giocatore dei Los Angeles Lakers nel 2004. Avete presente, quelli che accostarono Shaquille O’Neal e Kobe Bryant a lui e Karl Malone? Nonostante la presenza di quattro futuri Hall of Famers, l’esperimento non ebbe propriamente successo, anzi. E il titolo tanto agognato dai nuovi arrivati (che rinunciarono a molti soldi per trasferirsi a LA) non arrivò.

Come detto, Payton riuscì poi a conquistare il suo primo anello a Miami.

Nel frattempo, i Sonics ricostruirono in assenza di Payton, attraversando l’era di Ray Allen e Rashard Lewis prima di draftare Kevin Durant con la seconda scelta assoluta nel 2007. Come è noto, la franchigia si spostò poi a Oklahoma City nel 2008, dopo che la proprietà fallì nell’assicurarsi i fondi per un nuovo impianto sportivo nell’area di Seattle.

Restando estremamente fedele alla franchigia che lo scelse e alla città in cui giocò per la maggior parte della carriera, Payton espresse il desiderio di non far ritirare la sua maglia da Oklahoma City, e ancora oggi The Glove rimane sostenitore attivo della causa che intende riportare i Sonics a Seattle.

Payton è stato introdotto nella Hall of Fame nel 2013, concludendo la carriera con nove All-Star Game, due primi quintetti All-NBA, cinque secondi quintetti e due terzi quintetti. Ha vinto il premio di Miglior Difensore dell’Anno nel 1996 ed è stato nove volte nel miglior quintetto difensivo della Lega.

Payton è tuttora il leader all-time dei SuperSonics per punti segnati (18.207), minuti giocati (36.858), assist (7.384) e palle rubate (2.107), nonché terzo per rimbalzi (4.240). Infine, The Glove è ancora decimo nella classifica ogni epoca di assist della Lega (8.966) e 35esimo in quella per punti segnati (21.813).

We’re still Gloving you, Gary.