Non serve il trash talking, quando hai cinque anelli. Shaquille O’Neal e Bruce Bowen raccontano la grandezza e la “durezza” del centro che ha dominato due decadi con i San Antonio Spurs.

FOTO: NBA.com

Questo contenuto è tratto da un articolo di Mike Wise per Andscape, tradotto in italiano da Davide Corna per Around the Game.


Immagina di essere un virtuoso del clarinetto classico e di scoprire che tutti gli altri candidati per un certo lavoro sperano di andare in tour con i Parliament Funkadelic. Ecco, ora puoi capire Tim Duncan, che uscì dal college nel 1997 proprio mentre Allen Iverson, Latrell Sprewell, Stephon Marbury e diversi altri giocatori NBA erano sul punto di diventare i nuovi eroi della controcultura americana.


Non era un prodotto dei camp adidas o Nike, quelle adunanze giovanili dove gli scout NBA e dei college sbavano dietro a fenomenali atleti quindicenni. Nessuno gli aveva mai detto che era speciale fino al suo quarto anno di college, a Wake Forest; e pochi, pochissimi altri futuri professionisti arrivavano fino al quarto anno.

Duncan giocava in un modo che il tempo ha dimenticato. Aveva il jumper al gomito di Bill Bradley, la capacità di Sam Jones di disegnare traiettorie e angoli quando doveva usare il tabellone; l’inarrivabile economia nei movimenti di Bill Russell, sapeva quando rilassarsi, quando esplodere e l’esatto numero di passi da fare prima di ruotare sull’uomo di qualcun altro; e sì, la sua padronanza dei fondamentali era paragonabile a quella di un certo “hick from French Lick”, conosciuto con il nome di Larry Bird.

Duncan non ha mai desiderato salire sul bus dell’AND1, e non ha mai contemplato i possibili benefici del trash talking contro i suoi avversari (nonostante il tentativo di DeMarcus Cousins…). Il suo gioco all’antica e il comportamento stoico erano talmente ordinari che gli studenti di Duke l’avevano soprannominato “Spock”; e sapeva fin troppo bene ciò che si diceva negli spogliatoi NBA e nelle botteghe dei barbieri: “Non è davvero uno di noi. OK, viene dalle Virgin Islands, ma non è un fratello”.

E ora, più di vent’anni dopo, è fantastico vedere che così tanti compagni e avversari lo considerano parte della famiglia, compresi i suoi più acerrimi rivali sul campo che oggi gli rendono omaggio. “Tim Duncan è la più grande ala forte della storia del gioco. Punto.” – ha detto Shaq dopo aver appreso del suo ritiro.

“Fa parte della famiglia… della famiglia dei migliori lunghi di tutti i tempi. Penso che nessuno l’abbia mai visto davvero come un non-nero. Penso semplicemente che siamo prodotti dell’ambiente che ci circonda. È cresciuto in un’isola circondata dall’acqua ed è diventato un nuotatore. Quando sono andato alle Bahamas, non ho visto trecce, tatuaggi e catenoni d’oro. È un mondo diverso. Ma non ci è voluto molto prima che Tim venisse accettato nel nostro mondo, perché era un tipo a posto e un giocatore sensazionale”.

Shaquille O’Neal

O’Neal era famoso per l’egocentrismo e per i soprannomi che coniava per sè stesso. Lungo la sua carriera, si è creato molti nickname, da “The Big Daddy” a “The Big Aristotle”, spesso andando anche oltre (una volta mi ha detto “Ora sono La Grande Fogna. Sai perché? Perché ho una montagna di merda in arrivo”).

Ma c’era un solo soprannome adatto per Duncan, secondo Shaq.

“L’ho soprannominato The Big Fundamental perché i suoi fondamentali erano semplicemente perfetti. Lo metto allo stesso livello di Larry Bird, che non era veloce né atletico, ma ti mangiava vivo grazie ai suoi fondamentali. Lo stesso faceva Duncan. Io probabilmente ero 80% talento e 20% fondamentali. Tim Duncan era 80% fondamentali e 20% talento. E lui ha vinto cinque anelli, mentre io ne ho quattro. E questa cosa mi fa ancora incazzare…”

Shaquille O’Neal

Bruce Bowen ha vinto tre titoli assieme a Duncan. Ha conosciuto Tim meglio di molti altri, e ride al pensiero dello stereotipo comune su di lui, che lo dipinge come introverso e solitario; quel tipo di persona cui potresti dire che i suoi pantaloncini stanno andando a fuoco, e lui guarderebbe lentamente in basso e commenterebbe tranquillamente “Sì, è vero”…

“È divertente, interessante, pieno di opinioni.,, Ma non si espone molto, se non ti conosce. Comunque, se c’è qualcosa che si può imparare da lui, è la capacità di proteggere la sua sfera privata. Nonostante le telecamere e la fama, lui aveva capito quanto fosse importante tenersi uno spazio per se stessi. Stiamo anche parlando di una persona che ha sempre messo il gruppo davanti a se stesso. Secondo TD il gruppo veniva prima di tutto, sempre. Anche in un periodo in cui si tende a magnificare l’individuo, lui non voleva mai sottrarre nulla ai meriti del gruppo”.

Bruce Bowen

Nessuno della generazione di Duncan ha eguagliato i suoi successi lungo tutta la carriera, con il primo titolo nel 1999 e l’ultimo quindici anni dopo, nel 2014, dopo aver spento 38 candeline. Quando i San Antonio Spurs vinsero l’ultimo titolo, in quella che sarebbe diventata l’ultima stagione di LeBron James a Miami, Duncan è diventato l’unico giocatore nella storia a vincere l’anello da titolare in tre decadi differenti.

Ricordo ancora quando, da ospite del programma “Charlie Rose: The Week” nei primi anni 2000, ero seduto di fronte a Rick Pitino, che fu coach e President of Basketball Operations dei Celtics dal 1997 al 2001. Quando Rose gli chiese se avrebbe accettato quel lavoro ai Celtics (che avevano il maggior numero di possibilità di vincere la Draft Lottery quell’anno), se avesse potuto sapere in anticipo che non avrebbero avuto la possibilità di scegliere Duncan, Pitino ci pensò solo un secondo e rispose: “Onestamente? No, non avrei accettato, se avessi saputo che Tim Duncan non sarebbe stato un Celtic”.

Solo Kareem Adbul-Jabbar nella storia dell’NBA ha avuto un divario più ampio fra due titoli vinti, restando sempre un All-Star, rispetto ai sette anni fra i titoli nel 2007 e nel 2014 di Timmy. Mentalmente e fisicamente, era molto più tosto di quanto potesse sembrare dall’esterno. Ogni grammo della sua credibilità deriva dalla sua capacità di eccellere in maniera duratura.

19 anni e 19 partecipazioni ai Playoffs, del resto, non sono qualcosa di normale in NBA. Quante volte gli Spurs sono stati dati esclusi dalla previsioni per la corsa ai Playoffs, da chi considerava Duncan troppo vecchio per giocare ancora ad altissimi livelli? E quante volte Duncan ha sovvertito le aspettative e ha smentito chi pensava che non avrebbe potuto giocare così bene, così a lungo?

“Questo è ciò che ricorderò sempre di lui: era sempre lì, non potevi scalfirlo”, ha detto Shaq. “Pensandoci, credo che ci sia un incrocio fra Larry Bird e Hakeem Olajuwon”.

“Hakeem era impossibile da spezzare. Potevi puntarlo, insultarlo, giocare duro… lui era sempre lì, ed era sempre al meglio. Tim era uguale. Non importava quello che facevo o che dicevo. Non potevi influenzarlo. Potevo fargli 30 punti in faccia una sera, e la sera dopo era in grado di darmene 30 lui. Niente poteva spezzarlo. E così si è guadagnato il rispetto di tutti”.

Shaquille O’Neal