
FOTO: Chicago Tribune
Dopo che tutto e il contrario di tutto è stato detto su The Last Dance, ci siamo divertiti a immaginare cinque possibili documentari – alcuni dei quali impossibili da realizzare, o costruiti su premesse quanto meno discutibili – che potrebbero integrare la narrazione della serie di ESPN e Netflix e presentarsi, ognuno, come un particolare e non necessario spin-off della serie che ha riportato il mondo pandemizzato negli anni ’90.
Cercando di dare qualche soddisfazione a tutti quelli che avrebbero voluto che The Last Dance fosse un documentario d’inchiesta e dietro a questa loro convinzione ne hanno mancato il punto, non ne hanno apprezzato gli elementi più evidenti e grandiosi, le opportunità uniche (si entra nella testa di uno che è stato il migliore di sempre a fare qualcosa, e anziché stanze luminose e pareti dorate ci troviamo davanti le macerie della solitudine più nuda); e a quelli che quindi, poi: “Questa è un’operazione di restaurazione”, “The Last Dance sta a Jordan come il De Bello Gallico sta a Cesare”, “Vogliamo la verità”…
Soprattutto, a chi semplicemente di The Last Dance avrebbe guardato altre dieci ore e avrebbe voluto vedere approfonditi vicende e temi che invece (anche inevitabilmente) rimangono sullo sfondo, o non sono affatto trattati.
Abbiamo evitato di proporre documentari su altri giocatori che compaiono in TLD o su alcune delle squadre affrontate da Jordan in quel periodo. Probabilmente a molti interesserà sapere che, per dire, su Dennis Rodman la ESPN ha già prodotto un documentario all’interno dell’ultima sezione della sua collana “30 for 30” (qui trovate il trailer).
1. LA VERSIONE DI JERRY
Per chi non ha vissuto gli anni dei Bulls di Jordan, Jerry Krause è la grande “scoperta” di TLD.
Fin dal primo episodio viene presentato – la serie segue logiche di narrazione piuttosto banali, questo è il suo più grande difetto, una faciloneria posta come necessaria per le logiche del mercato e la necessità di arrivare a un pubblico il più vasto possibile – come il cattivo della vicenda. E fin dal primo episodio appare chiaro, complice anche e soprattutto il fatto che Krause non sia più in vita, che la serie non gli farà giustizia, che le sue decisioni e ragioni non verranno analizzate come meriterebbero.
Krause è un personaggio larger than life, un ex scout di baseball che riesce a convincere Jerry Reinsdorf ad appuntarlo General Manager dei Chicago Bulls quando questi compra la franchigia (e già questo passaggio merita approfondimento). E’ l’uomo che farà di quella franchigia la più grande squadra di ogni tempo in ogni sport e la disgregherà prima del tempo.

La Versione di Jerry ricostruisce minuziosamente tutte le scelte e le trattative che Krause ha dovuto affrontare di volta in volta per rendere i Bulls la macchina perfetta che diventano nel tempo (per esempio: senza il contratto scandaloso di Pippen, avremmo visto i due three-peat?). Cerca di entrare nel privato della sua vita per farci capire cosa lo muovesse e cosa lo ferisse, come sia stato realmente negli anni il suo rapporto con Jackson, perché sia andato decisamente e inevitabilmente a sud.
Da TLD appare chiaro come Krause venisse trattato dai giocatori in modo francamente indifendibile ed emerge abbastanza preciso il disegno di Phil Jackson di portare la sua squadra a giocare contro la dirigenza per renderla ancora più unita e invincibile, secondo una logica del nemico comune (interno o esterno) che allenatori nei più vari sport hanno fatto loro negli anni e di cui Jackson sembra essere un maestro ogni epoca, affascinante manipolatore.
La Versione di Jerry vuole arrivare a raccontare come sia stato possibile disgregare quella squadra senza darle la possibilità di essere sconfitta sul campo. Il perché e il contesto di una scelta (forse ormai inevitabile) che vista da fuori appare semplicemente inconcepibile. Il bisogno di riconoscimento che finisce per oscurare tutto, forse? Che conduce all’autolesionismo, quasi di sicuro.
Sia quel che sia, Krause è un personaggio che merita il giusto spazio, la sua versione dei fatti e un processo di debanalizzazione. Nel documentario seguiamo anche la stentorea ricostruzione dei Bulls dopo l’era Jordan e la contemporanea ascesa californiana della coppia Jackson-Winter, e divaghiamo cercando di spiegare al meglio il rapporto tra Jackson e l’uomo che Phil chiamava “coach”.
2. IL CASO JAMES JORDAN
Un documentario morboso, sensazionalista e complottista. Sul modello true crime che Netflix ha inflazionato al punto da renderlo detestabile, magari prodotto da Fox News. Si dà voce a chiunque abbia negatività da dire su MJ, a quei membri della famiglia che in TLD non compaiono mai. Si costruisce una nuova verità, ben più compromessa di quella eventualmente creata da TLD. Si cerca il torbido, sempre e comunque.
E così si indaga nelle zone d’ombra della vita di Jordan. Legami con la criminalità organizzata, la dipendenza dal gioco d’azzardo che sfocia nella sospensione travestita da ritiro, una ben poco lusinghiera nuova immagine del padre di Jordan e una serie di avvenimenti che portano non casualmente al suo omicidio, e che sì, hanno anche a che fare con Michael e i suoi problemi fuori dal campo.
Un’indagine approfondita e confusionaria, che raggiunge l’obiettivo di far riaprire il processo verso i due ragazzi condannati per l’omicidio di Jordan Sr. e che sembra gettare un’ombra definitivamente negativa sulla carriera di MJ, per la gioia del pubblico anti-Jordanesco nel mondo intero.
Peccato che un giorno i due documentaristi dimentichino un microfono acceso mentre fanno colazione e confessino di essersi inventati di sana pianta metà delle informazioni da cui il documentario prende le mosse. Questo momento rientra clamorosamente nel montaggio finale della serie, nel suo ultimo episodio, non si capisce perché, e getta un velo di mistero sull’intera operazione. Naturalmente il delirio dei fan non fa che aumentare. Dopo la mesa in onda della serie i registi non si trovano da nessuna parte. Sarebbe facile pensare che Jordan c’entri qualcosa, ma ormai nessuno ha più il coraggio di investigare.
Intanto, su Netflix per il filone sport e true crime: Nella mente di un killer: Aaron Hernandez.
3. IL BASKET COME ESPERIENZA RELIGIOSA
Una partita di Jordan, più o meno importante, vinta o persa, seguita da 40 telecamere che puntano, dai più diversi angoli, sempre e solo sul numero 23. Senza musica, senza commento. Un’operazione alla ricerca della verità del gesto e della bellezza immortale. Un’operazione sulle orme di “Zidane – Un Ritratto del Ventunesimo Secolo” e di “McEnroe – L’Impero della Perfezione” , che stia allo sport come “Shine a Light” sta alla musica dal vivo.
“Hoop Dreams” è probabilmente il miglior documentario mai prodotto sul basket e trovarlo non è particolarmente difficile. Qui sotto invece trovate il documentario dei fratelli Safdie che si muove nell’eredità del capolavoro di Steve James e che racconta la storia di Lenny Cooke, una promessa liceale del livello di LeBron James e Carmelo Anthony, che non ce l’ha mai fatta.