Come iniziare? Beh, dalla fine. Kevin Durant è un nuovo giocatore dei Phoenix Suns (ne abbiamo parlato QUI), da poco, circa un’oretta nel momento in cui scriviamo, con Adrian Wojnarowski che non ha avuto nemmeno un briciolo di pietà nel rovesciare una secchiata di acqua fredda su una redazione che cercava giusto un paio di ore cumulative di sonno in queste 48 ore.
Ma non è stato ovviamente tutto. Se nei giorni scorsi la trade Kyrie Irving ci sembrava il massimo raggiungibile entro il 9 febbraio, adesso vorremmo tornare indietro, dare una pacca sulla spalla ai “noi” del passato e spiegare il perché, dopo questi giorni, non vorremo bere mai più caffè. Tra ieri sera e la notte scorsa è stato infatti definito il passaggio di Russell Westbrook ai Utah Jazz, con una trade a 3 squadre rivelatasi un affarone da parte dei Lakers, e di cui vi abbiamo parlato QUI.
Sebbene il nostro stato psicofisico sia difficilmente rappresentabile al momento, probabilmente pari alla condizione di Jimmy Butler dopo Gara 5 delle Finals 2020, cerchiamo di fornire delle impressioni a caldo su cosa questo significhi al momento per la Lega , con un capitolo necessariamente riservato alla Western Conference, nel tentativo di decifrare questa benedetta trade deadline.
La triade capitolata
Sebbene tutti sopra i 30, ci sembrava ingeneroso usare un riferimento antico come la “triade capitolina” per parlare di KD, Kyrie e Russ, così come l’ultima versione di Russell Westbrook è la cosa più lontana da una divinità che si possa immaginare. “Capitolata” nel senso di “stipulata con un accordo”, il che potrebbe sembrare una forzatura ma solo perché non avete una visione distorta della realtà come la sola che è in grado di suggerirci il nostro encefalo. Dicevamo? Ah, sì, i tre scambi. Facciamo un quadro per capirci qualcosa, prima di parlare di come si possano riverberare sul resto.
- Lakers-Jazz-Wolves e l’asset più grande: lo spazio salariale
Una rivoluzione del genere nel raggio di meno di 96 ore nel bel mezzo di una regular season è una qualcosa che non si vede tutti i giorni. Se, da una parte, vedere una franchigia dal potere di spesa infinito come i Nets capitolare (questa volta l’uso è più consono) ci strappi almeno un sorriso, tutt’altro succede pensando ai Los Angeles Lakers, che hanno tirato fuori un coniglio dal cilindro niente male. Accaparrarsi due role player del calibro di Jarred Vanderbilt e Malik Beasley, assieme a un contratto in scadenza come quello di D’Angelo Russell, per un Westbrook dal valore di mercato irrisorio, un paio di contrattuncoli e una prima scelta protetta top-4, per di più con clausola estremamente favorevole, è davvero senza senso.
Il filo comune che lega le tre squadre e ha concesso una trade del genere è uno: lo spazio salariale. Un allineamento di pianeti ha fatto sì che i Jazz fossero disposti ad assorbire il contratto di Westbrook a un prezzo ridicolo per fare in modo di liberare oltre $60 milioni di cap space nella prossima stagione, con il giocatore che verrà probabilmente liberato tramite buyout nel breve (QUI la lista delle favorite). Con un Draft capital di già 14 scelte, una più o una meno che sia la first-rounder dei Lakers nel 2027, Utah ha praticamente completato un retooling che la vedrà rifondare dal basso mantenendosi flessibile, con i vantaggio di avere il deserto davanti che sono dati da versatilità infinita non tanto nella firma dei free agent, ma nelle eventuali estensioni dei pezzi buoni che si verranno a sviluppare.
E lo stesso riguarda, in misura minore, i Timberwolves. D’Angelo Russell non sarebbe stato probabilmente rinnovato, e il livello delle prestazioni tra i passati Playoffs e questa prima metà di stagione non è parso incoraggiante, nonostante le cifre gonfiate anche dall’assenza di Towns e dal tipo di responsabilità riservategli da Minnesota. Di conseguenza, il rischio di arrivare in offseason, magari nel tentativo di imbastire una sign&trade, con un valore di mercato ancora più basso e margine di errore più alto, qualcosa che a Minneapolis non è più contemplabile dopo la trade Gobert che ha dissanguato le risorse. E, quindi, mossa dal minimo rischio: dentro un veterano, pagato un po’ troppo, ma sempre meno di DLo, con un contratto parzialmente garantito per la prossima stagione (peserà $14.3 milioni, 24.4 solo se non tagliato entro 48 ore dal Draft 2023) e comunque in scadenza a fine 2024, quando le estensioni tassative di Anthony Edwards e Jaden McDaniels potrebbero iniziare a pesare, e non poco. Liberare questo spazio potrebbe rivelarsi essenziale pro futuro per una squadra che ha solo questa finestra, con questo core, per mantenersi competitiva, al netto di quello che era ed è lo scarsissimo margine di manovra.
Beneficiando di questi bisogni di due mercati più piccoli, i Lakers hanno avuto modo di trovare i contratti perfetti per la situazione: DLo in scadenza, Malik Beasley con team option per la prossima stagione, Jarred Vanderbilt garantito per soli $300.000 dollari se tagliato entro il 30 giugno 2023. In poche parole, vedremo dove questo roster arriverà e si potrà decidere il da farsi, con la possibile firma fantasma di Kyrie Irving in offseason che ancora penzola fra le nostre teste malandate.
- giusto, Kyrie Irving!
Ve ne stavate quasi dimenticando, giusto? I Dallas Mavericks hanno approfittato della più classica delle rotture fra giocatore e società con la mossa forse più da deadline di queste tre. Anche qui, resterà da vedere dove il nucleo arriverà. Il debutto di Irving in maglia Mavs è iniziato con una vittoria contro i Clippers, ma (e questo sarà scioccante) non saranno questi 24 punti a garantirgli il rinnovo.
Dallas per il momento si sta guardando dal pensare a un’estensione entro fine stagione, per la quale si parlerebbe di un biennale da circa $80 milioni, e fa bene, vista l’uscita recente del giocatore. Ma con una Western Conference così competitiva, soprattutto dopo i rinforzi di Lakers e Suns, potranno fare altrimenti?
Gli asset sacrificati non sono proprio marginali, e l’idea che Kyrie possa prolungare la propria avventura texana appare quasi inevitabile, se si parla di mero volere del front office dei Mavs. Con Ayton probabilmente fuori dai giochi, questa potrebbe apparire come la versione potenzialmente più competitiva possibile che Dallas sarebbe in grado di offrire in termini di back court nel giro di un paio di anni. Quel che succederà, poi, sarà sempre in mano dell’ormai ex stare dei Nets.
- lo shock, Kevin Durant
Infine, il fulmine che si è abbattuto su noi comuni mortali. Sì, proprio così, TJ Warren torna a casa. No, scherzi a parte, il crollo dei Nets è forse uno dei capitoli più drammatici della storia recente, e solo il fatto che si tratti di un “Big market” può consolare. Anzi, se c’è una minuscola soddisfazione che può esserci trasmessa in questo momento di stanchezza, è vedere due progetti che hanno provato a puntare sui “Big 3” fallire miseramente, soprattutto se si parla di Lakers e Nets.
Gli stessi Suns escono dalla trade con 13 contratti garantiti a roster, una crescita di $36 milioni nel luxury tax bill, stando a Bobby Marks, e nessuna scelta scambiabile di qui e mai. Insomma, la finestra per fare qualcosa di interessante, è ora o, in alternativa, adesso. Al prezzo di formare un nucleo incentrato principalmente sulla forza degli starter e non troppo profondo, sebbene il trio KD-Booker-Ayton, coadiuvato da Chris Paul, sia più scalabile di altri, in primis di quelli visti proprio con Brooklyn e, soprattutto, Los Angeles.
La partenza di Durant (così come di Irving e Westbrook) riapre comunque una problematica: il fatto che i “big market” firmino grossi nomi e poi facciano di tutto per accontentarli, anche al prezzo di fare dei sacrifici non troppo logici, porta necessariamente a un incremento esagerato dell’influenza della superstar, che va a ripercuotersi sul roster e, con un ritorno di fiamma, sulla franchigia stessa. KD ha appena esteso, e se è partito, fidatevi, è perché la trade di Irving ha creato qualcosa di insanabile. Westbrook è arrivato ai Lakers sostituendo in un colpo solo un nucleo che aveva dominato nella Bubble poco prima, e che poco dopo sembrava diventato disfunzionale a causa di un’uscita al primo turno contro un pessimo accoppiamento e con le due star in condizioni fisiche pessime. Un miraggio collettivo che ha portato a una mossa disperata, smantellando un nucleo in realtà pure più profondo di quello della Bolla, e che difficilmente non può essere stata frutto del volere delle due star – se non di una.
Il mondo dei Big Market è tanto privilegiato, quanto crudele, e difficilmente tendenze del genere potranno essere arginate senza limitare: A, il potere di spesa di determinate franchigie; B, la possibilità di superstar sotto contratto pluriennale di potersene andare così, dal nulla, in poche ore. Ne risente lo spettacolo, per quanto questa trade deadline pirotecnica ci abbia divertiti temporaneamente, dopotutto.
Ma torniamo a noi…
Tutto questo pippone per dire che, sì, la Lega ha gerarchie decisamente diverse. La Western Conference ha gerarchie decisamente diverse. I Phoenix Suns adesso dovranno fare il possibile per valorizzare questo nucleo incentrato sullo star power, probabilmente pescando qualcosa dal mercato dei buyout, così come Lakers e Mavericks ne escono rinforzati sulla carta, in attesa di vedere se ci sarà qualche altra mossa per completare i roster nel miglior modo possibile – per i texani ricordiamo che Wood e Hardaway Jr. sono sul mercato, mentre i giallo-viola starebbero puntando anche Bogdan Bogdanovic degli Hawks.
In tutto questo, come reagisce la Western Conference? Rendendo la trade deadline ancora più folle. Le altre squadre con ambizioni, quali Golden State Warriors, New Orleans Pelicans o Memphis Grizzlies, per dirne solo alcune, vorranno fare il possibile per migliorare le proprie chance di vittoria. Un nome già emerso tra quelli più caldi è OG Anunoby, citato da Adrian Wojnarowski in relazione al fatto che il suo valore di mercato si sarebbe alzato tra le contender dell’ovest dopo la trade KD (e citiamo Pels e Grizzlies per questo motivo QUI).
Inoltre, i Nets, con la situazione completamente ribaltata, sono diventati un potenziale negozio sia per queste ultime ore, sia pensando alla offseason. Ali two-way del calibro di Mikal Bridges e Dorian Finney-Smith, tiratori d’élite quali Joe Harris e Seth Curry, un candidato al DPOY come Nic Claxton… tutti profili che sembrano creati appositamente per rendere la vostra squadra Playoffs una contender. Tanto che Jae Crowder è già, neanche il tempo di leggere il tweet, nuovamente in uscita.
I mercati come la già citata Toronto, già in via di smantellamento, ma anche solo quelli più chiacchierati come i Chicago Bulls, per citarne uno al momento in stato quiescente, potrebbero essere assaltati in una specie di isteria collettiva dai richiami apocalittici. Adesso tutti vogliono una fetta di qualcosa per diventare competitivi, soprattutto a ovest, rischiando di ampliare un gap che adesso appare più rimarcato fra le squadre in retooling/rebuilding e quelle con ambizioni Playoffs.
I Nets crolleranno, i Raptors potrebbero, considerando che una cessione di Anunoby potrebbe innescare una reazione a catena che vedrebbe coinvolti Fred VanVleet, accostato ai Clippers, a proposito di ovest, e/o Pascal Siakam, per cui tutti sarebbero pronti a fare follie. I Jazz hanno ancora nomi minori potenzialmente in uscita. Dopo la trade di Kevin Durant, l’ultima di una serie di mosse sconvolgenti, nessuno è al sicuro. E noi siamo stanchi, anzi, non ci capiamo più niente. Ma aspetteremo qui la prossima Woj Bomb.