Da una fattoria del Wyoming, Kenny Sailors ha sviluppato il gesto che oggi conosciamo tutti. Ma il tiro in sospensione non è l’unico traguardo che ha raggiunto nella sua vita.

Per battere il fratello, Kenny Sailors deve inventarsi qualcosa di nuovo: come il tiro in sospensione. È il 1934. In una fattoria del Wyoming, Bud e Kenny si sfidano uno-contro-uno. Bud è più grande di 5 anni ed è più alto di 30 cm. Ogni volta che Kenny si avvicina a canestro, gli scaraventa via la palla e poi lo deride.

“Lascia perdere Kenny. Dovresti trovare un altro sport. Questo non fa per te”. Ma lui non si arrende. Vuole superare le braccia del fratello. E allora salta, porta la palla sopra la testa e la lascia andare. Bud stavolta non riesce a fermarlo. È il primo tiro in sospensione.

“Niente male Kenny. Dovresti svilupparlo”. Il fratello lo sprona, ma nessun coach è in grado di insegnare al giovane Sailors qualcosa che non ha mai visto prima. Lui, però, continua a fare pratica. Ha bisogno di perfezionare il movimento. Quando salta, infatti, cade in avanti, finisce addosso agli avversari e gli arbitri fischiano sfondamento. Inizia allora ad andare su in verticale e il suo tiro diventa immarcabile.

Nel 1940 viene preso all’Università del Wyoming. E tre anni più tardi porta la squadra al Titolo. A quel tempo gli allenatori non possono parlare con i giocatori. Allora chi dà le indicazioni in campo? Il capitano: Kenny Sailors.

Contro Georgetown finisce 46 a 34. Sailors vince l’MVP delle Finali e il premio come miglior giocatore del college basket. Nella finale al Madison Square Garden segna 16 punti galleggiando in aria. A New York nessuno aveva visto prima nulla di simile.

Il fotografo Eric Shaal immortala il momento. E il numero della rivista LIFE vende milioni di copie. Tutti in America guardano quel nuovo modo di segnare e iniziano a imitarlo. I campetti si riempiono di ragazzi che tirano in sospensione. E il gioco comincia a cambiare, soprattutto nel punteggio.

Se nei primi 11 campionati NCAA si realizzano in media 50 punti a partita, dal 1950 al 59 se ne segnano ben 75. Merito anche del nuovo modo di tirare.

FOTO: New York Times

Ma non tutti lo apprezzano.

Il jumpshot sta rovinando questo sport”, scrive il giornalista Jimmy Breslin sul New York Daily News,non c’è più sforzo di squadra. Giusto un atleta che può saltare e tirare con una precisione da laboratorio”.

Anche gli allenatori non vedono di buon occhio quel nuovo modo di tirare. Quando nel 1946 Kenny Sailors approda nel basket professionistico, si scontra con Dutch Dehnert. Appena il coach dei Cleveland Rebels lo vede tirare, ferma il giocatore e gli dice: “Ragazzo, non ce la farai mai in questa Lega con quel tiro. Ti insegno io a tirare due mani piedi per terra”.

Sailors non ha nessuna intenzione di modificare il suo tiro. Dehnert viene esonerato e Kenny porta la squadra ai Playoffs, segnando 10 punti a partita al primo turno contro i New York Knicks.

Nel 1950, a Denver, registra la sua miglior stagione: finisce quarto nella classifica dei migliori realizzatori con oltre 17 punti di media. Ma ormai non è più l’unico a tirare in quel modo. La maggior parte dei giocatori NBA ha iniziato a tirare in sospensione. E il gesto si evolve, diventa sempre più efficace, spettacolare e immortale.

Quando Michael Jordan segna The Shot nel 1989 è a un metro dal parquet, Ray Allen mette dentro la tripla decisiva nelle Finals nel 2013 mentre sta cadendo indietro. Tiri presi tutti sospesi in aria e tutti che vengono dalla stessa fattoria del Wyoming. Da un uomo che ha saputo prima superare i limiti fisici e poi i dubbi degli scettici. Per creare qualcosa di nuovo, che rimarrà per sempre sospeso nel tempo.

Ma Kenny Sailors non è stato solo un pioniere del tiro in sospensione.

Quando nel 1951 si ritira dal basket giocato, va a vivere in Alaska. La moglie non sta bene e i medici gli suggeriscono di andare via dalla città. Così nella piccola Glennallen inizia la sua carriera da allenatore. È il coach delle Panthers, una squadra femminile.

In quegli anni, però, per le donne non c’è un torneo statale tra le scuole pubbliche, viene organizzato solo tra quelle private. E anche le regole di gioco sono limitanti: solo tre giocatrici alla volta possono attaccare, le altre devono aspettare dietro la metà campo. Vengono considerate fragili e si pensa che in questo modo si stanchino meno velocemente. Non Sailors, che ha una figlia giovane e conosce l’atletismo delle ragazze. L’uomo del Nebraska inizia allora a girare i clinic in giro per l’America e a battersi per il basket femminile. Intanto inizia a rivoluzionare la sua squadra, partendo dalle native dell’Alaska.

Considerate poco adatte alla pallacanestro, spesso alle indigene non veniva dato molto spazio. Basse e poco agili, non erano considerate adatte. Lui insegna loro la tecnica, la perseveranza e la fiducia in se stesse. Peculiarità che gli avevano permesso di arrivare in NBA.

E così, alla guida delle Panthers, Sailors porta la squadra a vincere 68 partite consecutive tre Titoli dello Stato.

A 70 anni si ritira da ogni attività legata alla pallacanestro. E nel 2012 viene introdotto nella Hall of Fame del college basket. Tutto tace invece a Springfield, sede della Basketball Hall of Fame. Nel 2015 emittenti televisive, giocatori NBA, commentatori sportivi e tanti altri si spendono per lui, perché possa essere inserito tra i nomi che hanno segnato la pallacanestro. Ma non viene scelto. Kenny Sailors non sarà (ancora) un membro della Hall of Fame, ma la sua storia vive nei film, nei libri e nella mente di tutti degli appassionati di basket.