
Sei tornato alle Finals dopo due anni in cui hai mancato l’accesso ai Playoffs. Quanto è bello essere di nuovo qui?
Ripensando alle ultime due stagioni, molto. Shaun Livingston e Andre Iguodala ci hanno sempre detto che non conoscevamo la vera NBA, che non sapevamo cosa significasse perdere. Averlo capito non è stato affatto divertente [Golden State ha concluso il 2019/20 con un record di 15-50].
Essere tornati in questa posizione, giocando come sappiamo, è molto soddisfacente. A questi livelli tiri fuori il meglio e affronti il meglio. Abbiamo la chance di mostrare ancora il nostro talento di fronte al mondo, sapendo che tutti ci stanno guardando. Dopo aver conosciuto il sapore delle sconfitte, capisco maggiormente il valore di tutto ciò.
Vincere l’Oro olimpico ha il sapore di un titolo NBA?
Sì, al 100%. Volevamo vincerlo, ricordo di aver detto a voi giornalisti che ce l‘avremmo fatta, e che poi avremmo vinto anche le Finals. Aver partecipato mi ha portato a ragionare in modo vincente; una volta lì, ti trovi accanto ai migliori del mondo, per poi tornare in NBA e poter aiutare la tua squadra a crescere.
A prescindere dall’esito finale, cosa significa aver raggiunto 6 Finals in 8 anni?
Dimostra la continuità e il livello a cui abbiamo lavorato, ma soprattutto lo spirito competitivo che ci contraddistingue da tempo. Quando abbiamo iniziato questo lungo viaggio, anni fa, non ci saremmo aspettati tutto questo. Sapevamo però di essere un gruppo giovane che, lavorando bene, avrebbe potuto dire la propria per molto tempo. Vedere tutto questo realizzarsi è speciale.
Cosa ti ha fatto credere in un ritorno di questo tipo, durante gli ultimi due anni?
Al completo, nessuno ci ha mai battuti. Mai. Nel 2016 mi hanno squalificato nelle Finals, nel 2019 Durant si è infortunato. Ci dicevano che eravamo finiti, ma nessuno l’ha ancora dimostrato in campo. Quindi, perché non credere in noi stessi? E infatti siamo di nuovo qui. Siamo stati sfortunati, capita a tutti, ma non per questo eravamo finiti. Ho pensato che ce l’avremmo fatta a tornare di nuovo, ed è stato così.
Puoi considerare la dinastia Warriors al pari di quelle Spurs, Bulls, Lakers e Celtics?
Sì, ma già prima di quest’anno. Non è cambiato nulla, abbiamo solo amplificato il tutto.
Qual è stato il giorno più buio delle ultime due stagioni?
Il giorno in cui non ci siamo qualificati ai Playoffs. Avevo smaltito l’assenza nella bubble, ero con la mia famiglia e stavo bene. L’anno scorso, dopo aver perso contro i Lakers al Play-In, è stato brutto; avevamo ancora una possibilità, ma abbiamo perso di nuovo contro Memphis.
Ero triste perché quei Lakers non avrebbero dovuto batterci, ma l’hanno fatto, e per due anni non abbiamo visto la post-season. Ovviamente ho passato brutte giornate anche nel 2020, ma giocavamo così male che ho rimosso tutto. L’anno scorso avremmo potuto battere gli Utah Jazz al primo turno.
Un eventuale titolo quest’anno sarebbe più importante di quello del 2015 per te?
Tutti vivono il proprio percorso, e apprezzano determinate cose che quel percorso ti regala. Ma credo che questo titolo sarebbe più memorabile rispetto a quelli vinti in passato. Sarebbe bello zittire chi parlava male di noi… ancora meglio che zittire i tifosi di Memphis.
Sei stato scelto al secondo giro al Draft e giocavi poco in Summer League. Che effetto ti fa pensare che tu possa entrare nella Hall of Fame, con 3 o 4 titoli e numerosi riconoscimenti personali? Cosa si può imparare dal tuo percorso?
Tutto ruota attorno a ciò in cui crediamo. La gente prende decisioni per noi, ma non sa ciò che fa. Non hanno una formula esatta per capire chi sia quello giusto per loro, e prima lo capiscono, meglio è. Non incolliamoci troppo a ciò che dicono di noi. Bisogna capire come e dove migliorare. All’inizio le squadre hanno in mente certe caratteristiche che reputano cruciali per vincere, e cercano giocatori in grado di incorporale. Poi, però, se sei bravo abbastanza e credi in ciò che sai fare, saranno loro ad adattarsi a te.
Ciò che la gente può imparare è non avere paura degli “espertoni”: non lo sono, studiano esattamente come qualunque altro professionista, e portano avanti ciò che per loro sembra la decisione migliore. A volte sbagliano, e dobbiamo esserne consapevoli e credere nel nostro lavoro, senza dire “oh no, questa persona ha detto questo e quest’altro”. No, insegui ciò in cui credi, perché se finisci per vivere la storia che raccontano gli altri, allora buona fortuna.
Di una cosa sono sicuro: nessuno racconterà la tua vera storia, il percorso che hai in mente in testa. La gente scrive con un punto di vista totalmente differente. Vuoi seguire gli altri? Va bene, affari tuoi. Io preferisco vivere come dico io.
Nessuno deciderà mai al mio posto.