FOTO: Metropolitans 92 (J.C. Verhaegen)

Sempre più, nell’ultimo periodo, vediamo affibbiare il termine “generazionale” a giovani(ssimi) prospetti i quali mostrano flash, sprazzi, lampi di cosa potrebbero essere in un futuro. La sovraesposizione mediatica alla quale questi ragazzi sono soggetti ci porta spesso ad overreactare (orrendo anglicismo), pensando ed immaginando ciò che quei 15 secondi di clip visti su Twitter potrebbero dare a intendere sulla futura carriera di un giocatore.

Questa deriva sta prendendo piede a qualsiasi livello, ma coloro che ne sono particolarmente esposti sono i Cameron Boozer della situazione, 14enni fisicamente e tecnicamente di un’altra categoria, che mostrano una distanza abissale con i pari età, seppur con pochissimo (e relativamente utile) materiale a disposizione.


I risultati di questa situazione sono stati fino ad ora ambivalenti: se da una parte possiamo infatti avere Zion Williamson e LaMelo Ball come esempi di “fenomeni social” riusciti poi ad affermarsi anche ad alti livelli, dall’altro capo dello spettro possiamo annoverare Emoni Bates, forse ancor più hypato dei summenzionati ma, non credo sia precoce dirlo, incapace di rispettare le aspettative e ormai ombra di ciò che sarebbe potuto essere (seppur in netta risalita ad Eastern Michigan).

Tutto ciò è facilmente spiegabile: il livello di talento e, ancor di più, di assorbimento del talento, inteso come capacità delle leghe professionistiche di riconoscerlo e valorizzarlo, su scala globale, è senza precedenti e la sua parabola ascendente non accenna a rallentare. Il bacino di praticanti è esponenzialmente cresciuto ed ormai è possibile vedere cose straordinarie da parte di centinaia, ma davvero centinaia, di teenager; motivo per il quale, appunto, è molto semplice andare in confusione e rischiare di inflazionare l’uso di tale aggettivo, quando è ormai all’ordine del giorno vedere cose che fino a pochissimi anni fa erano una rarità.

L’obiettivo di questo articolo è cercare di capire, attraverso l’analisi di due esempi particolarmente calzanti, come si possa davvero definire un prospetto generazionale nel 2023, quanto e se possa impattare fin da subito e quali caratteristiche debba possedere, con un focus specifico su cosa ciò significhi nell’ottica del Draft 2023, quando verrà chiamato uno dei nomi più attesi di tutti i tempi (che rischia, tra l’altro, di non essere l’unico a meritare, davvero, tale appellativo).

Il punto iniziale dal quale credo sia doveroso partire riguarda una banalità, che deve però essere messa in chiaro: essere un prospetto generazionale è molto diverso dall’essere un giocatore generazionale. L’una non esclude l’altra, ma nemmeno la implica.

Facciamo anche qui un esempio, restando su annate recenti: l’unica stagione alla corte di Coach Calipari di Anthony Davis è stata, senza mezzi termini, la più incredibile dimostrazione di dominio difensivo da parte di un freshman (ma potremmo allargare) dell’era moderna. La sua componente fisica, unita alla fluidità di movimento e alla capacità di leggere le situazioni hanno fatto della sua prima chiamata una semplice formalità. Nel senso più stretto della parola, un unicum nella storia del gioco fino ad allora. OK, ora, dato per buono questo: vi sentireste di definire la carriera di Anthony Davis “generazionale”? Io, personalmente, no. Il talento, ciò che si era intravisto negli anni fra l’HS e Kentucky si è poi tradotto sì in un giocatore straordinario, che a volte meriterebbe più riconoscimento di quanto gliene venga dato, ma non in un fenomeno capace di rivoluzionare l’intero panorama NBA.

Assodata questa fondamentale distinzione, rimane comunque il problema di identificare cosa renda un prospetto generazionale. Iniziamo dal distinguere due macrocategorie. Da una parte abbiamo i “sublimatori”: quei giocatori in grado di portare ad un livello superiore un archetipo già esistente, elevandone le caratteristiche e riuscendo ad aggiungere pezzi di gioco, più o meno piccoli, prima inesistenti all’interno di una cornice alla quale siamo però già abituati. Dall’altra parte ci sono invece i “rivoluzionari”: quelli che, per caratteristiche fisiche e/o tecniche, rappresentano una prima volta per l’intero panorama cestistico, talmente distanti da quanto siamo avvezzi a vedere da stranire, da costringerci quasi a rivalutare intere convinzioni su come funzioni il gioco della pallacanestro.

Il Draft 2023 sembra il perfetto esempio di quanto appena detto.

Abbiamo già visto point guard con una forza e un’accelerazione/rapidità incredibili, abbiamo già visto giocatori in grado di decelerare e usare la parte superiore del corpo per creare separazione e spazio vicino al ferro; abbiamo anche già visto, e non di rado, point guard con un pull-up game prolifico, e potremmo andare avanti in eterno. Ma abbiamo mai visto un 17/18enne, con tutte queste caratteristiche unite e potenziate? Ecco, questo è Scoot Henderson. Parliamo un po’ del suo gioco e di cosa lo renda un prospetto così sensazionale.

Henderson è una PG iper-atletica di circa 1.90m con un primo passo allucinante, che sarà serenamente tra i migliori della lega fin dal giorno zero. Ma non solo è rapido, è un atleta completo: potente ed esplosivo, ma anche in grado di fermarsi nello spazio di pochi centimetri o di cambiare direzione in un attimo, non solo accelerando, ma anche rallentando per mandare fuori ritmo la difesa. Ha inoltre mostrato un’ottima capacità di contorcersi, sia a mezz’aria che con i piedi a terra.

Il tutto, sempre sotto controllo: non atterra come il primo Derrick Rose o l’attuale Ja Morant, appare sempre in equilibrio e la sua tecnica di caduta pare già molto buona. L’unica pecca sembra, per ora, la capacità di finire al ferro nonostante i contatti, un aspetto che dovrà indubbiamente migliorare per rendersi più costante in uno spot nel quale vivrà la sua carriera NBA, ovvero gli ultimi 2 metri di campo. Quanto appena descritto lo rende comunque una macchina genera tiri liberi virtualmente inarrestabile: con le regole NBA, avrebbe finito almeno già sei partire con 8 FTA.

Una delle skills che non ti aspetteresti da un giocatore con questo profilo fisico e atletico è la produzione dal mid-range, specie sin da così giovane: l’anno scorso 1/3 dei tiri di Scoot è arrivato in pull-up, situazione che ha convertito con un insensato 48.6%. La forma di tiro è ottima e avere già nel proprio arsenale una freccia del genere non permette alle difese di attuare in situazioni di pick&roll una drop-coverage costante con leggerezza. Certo, il range di tiro andrebbe ulteriormente ampliato: 2.4 3PA convertiti con un misero 22%, con la scusante però di essersi dovuto adattare “presto” alla distanza della linea NBA (l’inizio di stagione da questo punto di vista è incoraggiante, 47%, seppur con un volume ancora basso, 2.8). In ogni caso, il movimento e le percentuali da tutte le altre zone del campo, e soprattutto ai tiri liberi, sono indicatori estremamente positivi per un crescita anche da questo punto di vista. I presupposti ci sono tutti, dunque non sembrano esserci motivi di preoccupazione per il suo tiro, al momento.

Sapete un’altra cosa non comune? Un giocatore con questa esplosività e un pull-up game del genere che sta già aggiungendo un floater/runner rispettabile al suo gioco, un’ulteriore opzione sul P&R. Per capirci, Morant lo ha aggiunto in NBA, Harden dopo anni in NBA.

Un ulteriore aspetto intrigante è il passing. Henderson non è sicuramente – e probabilmente non sarà mai – un passatore d’élite, ma ha già mostrato letture interessanti in situazioni di P&R o di drive and kick, ovvero, presumibilmente, quelle nelle quali si troverà più spesso al livello superiore. É già in grado di sfruttare la sua gravity al ferro e come slasher per trovare il tiratore libero, mostrandosi inoltre capace di manipolare ad un livello più che decente la difesa sul lato debole e in situazioni di P&R.

Ovviamente il suo gioco necessita ancora molte rifiniture. Uno dei difetti più facilmente riscontrabili è l’eccesso di palle perse, ma è davvero raro trovarsi di fronte a un ragazzo così giovane con una varietà di movimenti così vasta: up-fakes, no-look, pump-fakes, tutti eseguiti con un’esplosività sotto controllo davvero mai vista. Manca ancora qualcosa, forse, a livello di shot-selection, difetto abbastanza comprensibile per un talento con questa quantità di soluzioni, che ancora deve trovare un bilanciamento riguardo come e quando cercare i corretti spot sul campo.

Dal punto di vista difensivo è estremamente incline a commettere falli superflui, risultato di qualche mancanza tecnica e/o di effort, in particolare quando costretto a passare sui blocchi o gestire rotazioni più complesse. Anche in questo caso, però, l’upside è più che evidente. Ha già mostrato di saper tenere ottimamente il suo accoppiamento in situazioni di 1vs1 e anche qualche flash non banale sulle linee di passaggio e in roaming. Dev’essere più disciplinato e limitare i tentativi di palla rubata, specie quando non necessari, ma nel giusto ambiente potrà anche avere un impatto positivo, specie per una guardia, come difensore dal lato debole.

Victor Wembanyama – sì, siamo finalmente giunti a lui – è invece una questione completamente diversa, che meriterebbe tantissime parole per essere spiegata. Non abbiamo mai visto nulla di nemmeno lontanamente simile a lui, sia offensivamente che, ancor di più (e fa quasi paura dirlo), difensivamente. Siamo di fronte a qualcosa che potrebbe cambiare le geometrie di un attacco e come questo debba muoversi in campo, per la sua sola presenza. Proviamo a spiegare questo concetto.

Wembanyama è il profilo fisico più impressionante che si sia mai visto: 2.25m scalzo con sostanzialmente 2.45m di apertura alare che si muovono in maniera fluida per il campo, in grado di stoppare tiri che partono quando lui è a quasi 3 metri di distanza, in grado di stoppare tiri mentre nega una ricezione in post, in grado di stoppare tiri al ferro mentre è con entrambi i piedi fuori dall’area, in grado di switchare su una guardia e impedirle il tiro standole al contempo a una distanza tale da non farsi battere, e, nel caso, rendere comunque difficile la conclusione pur rimanendo dietro, o dopo aver ricevuto un bump. Insomma, ha tutti, ma davvero tutti, i tool per essere il difensore con maggiore impatto che si sia visto dai tempi di Bill Russell, sicuramente quello che richiederà più adattamenti da parte degli attacchi, non abituati, come noi e come tutti, a trovarsi di fronte un atleta del genere.

Offensivamente è quello che stiamo vedendo tutti. Inutile girarci intorno, credo sia impossibile non aver visto nulla, almeno negli ultimi 2 mesi. É proprio quello che tira le triple su un piede dopo aver palleggiato a 20cm da terra per 10 secondi, al quale non puoi contestare un tiro dal mid nemmeno volendo.

Wemby, inoltre, si prospetta come un lob target incredibile appena messo piede su un campo NBA, con in più una serie di letture e un’intelligenza cestistica totalmente inedite per chi è stato dotato di tanta grazia fin dal principio. Non a caso, infatti, si sta rivelando anche una calamita per falli e tiri liberi.

Si potrebbe forse dire che il suo profilo da tiratore possa essere leggermente sopravvalutato (ed anche in questo caso la shot-selection è ad oggi un problema), ma per essere completi bisogna prendere in considerazione il coefficiente di difficoltà dei tiri che si sta prendendo, oltre alla shooting versatility che già sta mostrando, sostanzialmente con pochissimi paragoni nella storia di questo sport, almeno a quell’età. Non avrà problemi nemmeno da questo punto di vista, al minimo parleremo di un tiratore sopra la media, che già sarebbe più-che-abbastanza.

Certo, dovrà sicuramente migliorare dal punto di vista delle letture e mitigare la sua propensione ad affidarsi principalmente alle doti fisiche, ma saremmo dei folli a negare l’evidenza rispetto a ciò che stiamo vedendo.

Tutto quello che si è detto su Scoot, e ancor di più su Wemby, significa che questo impatto, quello che per loro stiamo immaginando, appunto “proiettando”, lo avranno fin da subito? No, assolutamente. Potrebbero, ma non è detto che succeda.

É probabile, molto probabile, che skillset di questo tipo si traslino velocemente, ma non dovrà essere il primo mese al 40% dal campo di Scoot, o la prima partita da 2/9 da 3 di Victor, a farci mettere in dubbio il loro upside. Kevin Durant ha tirato con il 26% da tre nella sua prima stagione NBA, dico Kevin Durant, uno dei più fulgidi esempi di prospetto generazionale diventato poi anche giocatore generazionale. E non mi pare che KD abbia avuto difficoltà in carriera, o che sia stato in qualche modo limitato da questo punto di vista, anzi.

Ciò che inoltre rende ancor più intriganti i due nomi è come il loro skillset aderisca perfettamente alla pallacanestro giocata oggigiorno: una point guard di quel tipo non può che godere offensivamente di enormi spazi nei quali operare, esattamente come un lungo con quella mobilità laterale può adesso più che mai avere un impatto diverso da chiunque altro, proprio perché gli spazi dei quali stiamo parlando va a ridurli, a comprimerli (cosa fino a 10 anni fa nemmeno necessaria, in quanto questi non sarebbero, già da principio, stati disponibili per l’attacco).

Avere e sviluppare delle soluzioni che si adattino a come il gioco viene eseguito nella propria epoca di riferimento, con la possibilità di evolverlo o rivoluzionarlo: questo rende prima un prospetto, e poi un giocatore, generazionale (cries in Kevin Garnett draftato nel 1995, ndr).