Con l’arrivo di Gobert, i Timberwolves si candidano ad essere una mina vagante per la corsa alle Western Conference Finals, nonostante una concorrenza serrata e agguerrita.

FOTO: NBA.com

La partenza era già praticamente annunciata, visto il rapporto ormai ai ferri corti con l’altra star di Utah, Donovan Mitchell (approdato ai Cleveland Cavaliers), ma quella che ha portato Rudy Gobert ad accasarsi ai Minnesota Timberwolves è stata una delle trade più discusse dell’estate, se non la più discussa – in primis, proprio da noi, QUI. Accolta sicuramente con favore dal padrone di casa Karl-Anthony Towns, che ha commentato così:

È una strana piega degli eventi, essere avversari e ritrovarsi compagni. Non lo avevo di sicuro previsto quest’estate, ma sono molto felice di poter migliorare insieme a lui. Rudy è un talento generazionale in difesa, io credo di esserlo in attacco. Come ci completeremo sui due lati del campo sarà fantastico”.

La franchigia di Minneapolis si trova quindi con due centri di caratura All-Star, seppur completamente diversi per caratteristiche, e una quadra tattica da trovare in fretta per puntare in alto.


The Stifle Tower comunque non è l’unica firma del front office, solo la più illustre. Ad aggiungersi al roster sono arrivati anche Kyle Anderson al prezzo della full Mid-Level Exception, Austin Rivers e Bryn Forbes, firmati nella Free Agency, Eric Paschall con un Two-Way contract, così come l’appena confermato Luka Garza, e Wendell Moore Jr con un Rookie contract, aggiungendo quindi un mix di profondità ed esperienza alla panchina.

La scommessa è chiara: puntare tutto sul prime di Towns e sulla freschezza di Anthony Edwards, affiancando loro una stella difensiva e una squadra lunga nelle rotazioni. La situazione contrattuale dopo la cessione delle scelte al Draft, con Ant-Man ancora nel Rookie contract, ha permesso una grossa firma, ma ora scatta la clessidra: se alla fine del ciclo produttivo dei suoi protagonisti i Timberwolves non avranno raggiunto traguardi di livello si ritroveranno con niente in mano e una ricostruzione estremamente complicata da dover portare avanti.

Dati: Spotrac

Il quintetto

Le prime indicazioni di coach Chris Finch danno una prospettiva abbastanza chiara su quello che sarà lo starting five dei Wolves:

StartingBackup 1Backup 2Backup 3
D. RussellJ. McLaughlinA. Rivers
A. EdwardsJ. NowellB. Forbes
J. McDanielsT. PrinceW. Moore JrJ. Minott
K. TownsK. AndersonL. GarzaE. Paschall
R. GobertN. ReidN. Knight
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Partiamo dall’evidenza: l’innesto di Gobert garantisce un salto di livello difensivo non indifferente. Parliamo di un tre volte Defensive Player of The Year, capace di marcare più posizioni e spaziare dal perimetro all’area. La sua presenza è un fattore fondamentale: lo scorso anno il defensive rating di Utah era nel 90esimo percentile con lui in campo (106.9), nel 28esimo (!) percentile con lui fuori (115.2). Si è classificato primo per media rimbalzi (14.7), percentuale di rimbalzi difensivi catturati dopo un errore avversario al tiro (30.7) e percentuale di rimbalzi totali (25.0), un aspetto da non sottovalutare se consideriamo che Minnesota lo scorso anno era penultima per DRB%, tredicesima per defensive rating.

Offensivamente parlando, per quanto le percentuali e i numeri siano dalla sua, i limiti sono evidenti. Tolto dall’area, il range di tiro diventa praticamente nullo: il 90% dei suoi tiri arriva entro i 4 piedi (1.2 metri) dal ferro, con quasi tutto il restante 10% all’interno della linea del tiro libero.

La sua presenza nel pitturato, però, apre altre possibilità alle manovre della squadra: Russell è un eccellente passatore da pick&roll; Towns ha le qualità tecniche per giocare in qualsiasi zona del campo, specialmente dal perimetro, non andando necessariamente ad intasare l’area insieme a Gobert – non ultimo anche lo sfruttamento del pick&pop con lo stesso Russell, o magari qualche gioco a tre come Chicago action o Spain pick&roll.

Essenziale sarà il ruolo di Anthony Edwards. Le qualità di scorer sono sotto gli occhi di tutti: 21.3 punti a partita (secondo miglior marcatore della squadra) con il 44% dal campo e il 35% da tre punti. Poca attenzione però per l’aspetto di playmaking, nonostante il bagaglio tecnico gli sia amico. Sarà interessante vedere se si metterà di più al servizio della squadra e come questo influenzerà il gioco dei Timberwolves.

Il suo miglioramento nella metà campo difensiva rispetto al primo anno è uno degli aspetti più positivi ed incoraggianti, e ha rivelato un marcatore on-ball arcigno da superare, dando alla squadra un’arma in più da affiancare a Gobert e Jaden McDaniels.

La panchina è un altro aspetto potenzialmente positivo: le firme di Anderson, Rivers e Forbes in particolare aggiungono buone opzioni ad una second unit rimaneggiata con le partenze di Beverley e Beasley. Il core di base è praticamente lo stesso, con Naz Reid, Nathan Knight, Jaylen Nowell e Jordan McLaughlin come componenti ben rodati.

Come cambia il gioco

La scorsa stagione Minnesota si è classificata prima per tiri da tre punti presi e segnati: 41.3 e 13.8. L’innesto di Gobert cambia poco su questo fronte, se si pensa che Utah nella stessa classifica era seconda.

Oltretutto, Towns è il lungo con la percentuale più alta dall’arco (41%), per 3PM (2.0) e secondo per tentativi (4.9): vederlo giocare da esterno puro con tanto spazio oltre il perimetro è tutto fuorché fantascienza. Il già menzionato pick&pop con Russell aumenterebbe di molto la mole di triple del prodotto di Kentucky, lasciando spazio anche all’opzione pick&roll-lob con il lungo francese – soluzione che vedremo probabilmente con i già citati Spain pick&roll, Chicago action o qualche horns flare.

Il fit tra D-Lo e Gobert sarà fondamentale, sia in termini tattici che in prospettiva futura. Se le cose non dovessero andare nel migliore dei modi questa potrebbe essere l’ultima di una serie di stagioni altalenanti per D’Angelo a Minneapolis. Il Max Contract è pesato, e pesa tuttora, sulle aspettative finora non soddisfatte, nonostante la grande amicizia con Towns, e l’intesa con il nuovo centro sarà il punto cardine su cui basare il futuro.

Dati alla mano, i numeri sembrano voler dare speranza. Russell viene dalla sua miglior stagione in termini di assist, 7.1 a partita, con dodici doppie-doppie e un totale di 460 passaggi chiave. Numeri potenzialmente in crescita, visto che Gobert ha una percentuale del 71.4% di eFG% nel pick&roll e 1.32 punti-per-possesso, andando a posizionarsi in uno dei percentili più alti (82esimo) tra i giocatori con almeno 10 minuti a partita e 10 possessi giocati. Coach Finch dovrà adoperarsi per sfruttare al meglio le qualità del francese.

Veniamo a Edwards: il talento è indiscutibilmente di livello All-Star, ma il jump shot non è ancora affidabile e i momenti di vuoto non sono così rari. La mole di tiri in compenso è la più alta della squadra, 17.3 con 8.4 dall’arco: Towns, per capirci, prende un tiro in meno a partita dal campo e quattro in meno da tre punti. Un aspetto su cui sicuramente Ant-Man dovrà lavorare, così come il suo ruolo da portatore di palla che potrebbe diventare davvero un fattore in post-season.

Bene invece, come già detto, il lavoro nella metà campo amica: avere un giocatore nel backcourt che sopperisce alle mancanze di Russell su questo fronte è imperativo per essere competitivi, soprattutto in post-season. Ant-Man sta dimostrando di essere un ottimo difensore on-ball grazie alla sua forza e alla sua velocità, coprendo bene le linee di passaggio.

La second unit varierà a seconda di quanti minuti spenderanno insieme le Twin Towers. La soluzione più funzionale li vedrebbe nello stesso momento sul parquet per non più di venti minuti a partita, dando così modo di avere sempre un centro di spessore in campo. Ovviamente gli schemi cambieranno a seconda di chi ci sarà dei due, ma per le qualità di passatori di Anderson, McLaughlin, Nowell il fit più indicato è forse Gobert. Compito da 3&D per Rivers e Forbes, con triple garantite in una squadra che già normalmente ne genera molte.

Dove possono arrivare

I Playoffs non dovrebbero essere in discussione. La scorsa stagione la squadra si è qualificata settima in Regular Season dopo aver battuto i Clippers al Play-In, anche se quest’anno la concorrenza sarà sicuramente più alta: gli stessi losangelini sono di nuovo al completo, con George e Leonard pienamente recuperati; i Pelicans potranno contare nuovamente su Zion Williamson; ogni squadra di fascia medio-alta, insomma, sembra avere le carte in regola per puntare quantomeno alla qualificazione.

Gobert dovrebbe essere il tassello mancante per essere competitivi al massimo, e vedremo come sarà l’integrazione nel nuovo roster dopo un normale periodo iniziale di assestamento. A livello di proiezioni, i dati danno i Timberwolves con un record di 48-34, più che sufficiente per arrivare al primo turno senza passare dagli spareggi. Da qui in avanti, però, il discorso cambia e i limiti del francese ai Playoffs andranno mascherati o corretti nel minor tempo possibile. Discorso uguale per quasi tutti i giocatori della squadra che, per mancanza di tempo o opportunità, hanno visto la post-season poche volte in carriera. Lo stesso KAT al momento ha giocato più All Star Game che serie ai Playoffs.

Realisticamente vedremo la migliore versione di Minnesota il prossimo anno, quando i meccanismi saranno ben oliati e il periodo di adattamento di Gobert sarà alle spalle, guardando con ottimismo a una eventuale permanenza di Russell e un maggiore altruismo di Edwards. La squadra passa da un quintetto basso ad un front court con due lunghi e mezzo, perciò i risultati saranno difficilmente immediati, specialmente per un innesto delicato (anche e soprattutto per le aspettative) come quello del nuovo centro.

Le potenzialità per divertirsi e divertire però ci sono tutte, le qualità per essere solidi sia in difesa che in attacco anche. I Minnesota Timberwolves possono quindi permettersi di sognare in grande anche se, come ha detto John Hollinger di The Athletic:

“Quando non vinci una serie di Playoffs da 18 anni, il primo passo è arrivarci”.