Superstar sì, futuro top 5 della lega… forse. Il punto sulle qualità (e sulle piccole lacune) di Shai Gilgeous-Alexander

La Regular Season NBA 2022-23 verrà ricordata, tra le altre cose, come quella dell’ascesa di una nuova stella: Shai Gilgeous-Alexander.

Dopo i primi anni di sviluppo e un paio di stagioni macchiate da infortuni e squadra molto poco competitiva, Shai ha ricevuto le chiavi dei nuovi Oklahoma City Thunder, e ne ha fatto un ottimo utilizzo, prendendosi la scena e trascinando i compagni verso un’insperata apparizione al Play-In Tournament.

Il suo rendimento è andato ben oltre quello sufficiente per ottenere una qualificazione all’All-Star Game. 31.4 punti di media (quarto in NBA) con 5.5 assist e il 63% di True Shooting. Cifre da vera superstar.


Finito il periodo dello stupore, è l’ora di fare il punto sullo skillset del 25enne. Qual è il suo livello? Quali sono le sue qualità? Può davvero diventare il primo violino di una squadra da titolo?

Qualità da scorer strepitoso

Il più grande pregio di Shai è piuttosto semplice da individuare: in un modo o nell’altro, sa trovare la via del canestro con grande facilità. Il suo stile di gioco è leggermente atipico rispetto ad altri grandi creator on-ball, ma non per questo meno efficace, anzi; difficilmente brucia gli avversari dal palleggio usando il primo passo, più spesso invece li cuoce a fuoco lento, portandoli esattamente dove vuole lui, quando vuole lui.

E, dati alla mano, funziona.

I suoi Pick&Roll producono 1.018 punti per possesso, efficienza che gli vale un posto nei primi 25 della lega nella specialità, nonostante un supporting cast non esattamente ideale. Ma soprattutto, i suoi isolamenti producono 1.056 punti per possesso: decimo nella lega tra i giocatori con almeno cinque isolamenti a partita, davanti a gente del calibro di Kevin Durant, Kyrie Irving, Jayson Tatum, Anthony Edwards, Devin Booker, Giannis Antetokounmpo e LeBron James.

I suoi spot prediletti sono tre: mid-range, ferro e lunetta. Converte con il 64% i tentativi nella restricted area, con il 47% nella zona dello short mid-range (dallo “smile” alla linea del tiro libero) e con il 45% dal long mid-range (dalla linea del tiro libero alla linea che delimita l’area). Non si tratta di percentuali strepitose (l’eccellenza nella specialità, ovvero KD, tira nei due spot del mid-range rispettivamente con 60% e 57%), ma sicuramente più che buone, considerando l’elevato volume con cui ricorre a quel tipo di conclusioni.

Dove Shai scava il solco rispetto a molti altri giocatori nella lega è nella capacità di subire falli. Il numero 2 viaggia a più di 10 tiri liberi in media a partita, e subisce fallo nel 19.6% dei tentativi di tiro: dato ineguagliabile per qualsiasi pari ruolo, e inferiore solamente a Joel Embiid, Giannis Antetokounmpo, Jimmy Butler e Zion Williamson, se prendiamo in considerazione anche i giocatori più alti e grossi.

Semplicemente, sempre andando al suo ritmo piuttosto compassato, sa riconoscere quando il diretto marcatore ha le braccia fuori posto o è in precario equilibrio, e sa come indurlo in inganno ed approfittarsene. Sebbene possa risultare una pratica quasi subdola, frutta punti facili (soprattutto per chi, come lui, tira i tiri liberi con il 90%) e carica di falli e nervosismo l’avversario, oltre a togliergli ritmo.

In questo modo Shai è diventato un vero e proprio incubo per quasi tutte le difese NBA durante l’anno.

Pochi difetti, ma non trascurabili

Ormai l’avrete capito, Shai è forte, molto forte. Ma per portare una squadra alla vittoria di un titolo NBA, essere molto forti non basta. Bisogna sapersi adattare a più contesti e avere uno stile di gioco digeribile per i compagni di squadra e idoneo agli alti livelli che contraddistinguono i Playoffs. Sotto questo punto di vista, il prodotto di Kentucky mostra ancora diverse lacune.

Molti dei suoi difetti sono direttamente correlati con i suoi pregi, e questo preoccupa ulteriormente.

Ad esempio, se è vero che è abilissimo nel segnare o portare a casa un viaggio in lunetta nelle situazioni di isolamento, è altrettanto vero che per farlo gli servono spesso parecchi secondi. Secondo quanto rilevato da NBA Stats, il 40% dei tiri di Shai arriva dopo sette o più palleggi. Pensando al quadro generale, è una virtù che, oltre a togliere talvolta ritmo ai compagni, rischia di troncare sul nascere la possibilità di costruirgli intorno un sistema di movimento e condivisione rapida del pallone.

Inoltre, se è vero che l’abilità nel guadagnarsi tiri liberi è preziosissima e che praticamente nessuno lo fa come lui, è anche vero che il “foul hunting” non è mai stata una strategia particolarmente remunerativa ai Playoffs, dove il metro arbitrale cambia e ai difensori è concessa più fisicità.

Come detto sopra, la sua True Shooting Percentage (statistica che tiene in considerazione i tiri liberi nel calcolo dell’efficienza al tiro) è al 62%, quattro punti percentuali sopra la media della lega; al contempo, la sua Effective Goal Percentage (statistica che calcola l’efficienza assegnando un valore superiore al tiro da tre punti, ma senza contare i tiri liberi) è ferma al 53%, un punto percentuale al di sotto della media della lega.

Affidandosi molto al mid-range, è matematicamente molto complicato che l’efficienza di Shai possa toccare livelli più alti di questi. E per quanto tutto sommato buono, il suo passing non è certo quello di Luka Doncic. Si limita a reagire alla difesa, senza riuscire ad anticiparla. Contro sistemi difensivi preparati e concentrati su di lui per intere serie Playoffs, questo potrebbe causare palle perse e prevedibilità offensiva.

Infine, l’ultimo fattore che potrebbe complicare la convivenza con altre star in squadre ben più competitive di questi Thunder è il suo rapporto con il tiro da tre punti. Shai tira poco e male dal perimetro, e soprattutto converte solamente con il 31.8% le triple in Catch&Shoot, percentuale che lo renderebbe facilmente “battezzabile” dalle difese. L’alta percentuale dalla lunetta lascia ben sperare per un miglioramento sotto questo punto di vista, ma rimane un aspetto da tenere d’occhio.

Per usare il gergo, possiamo dire che fino a questo momento SGA ha dimostrato di essere un buonissimo “floor raiser”, capace con il suo skillset di portare una squadra sulla carta mediocre ad avere ambizioni insperate. Sono però molto pochi i giocatori in grado di fare il passo successivo utilizzando uno stile di gioco “eliocentrico”, e solo LeBron James è riuscito a vincere un titolo intraprendendo quella strada.

Il dubbio è quindi sulla dimensione da “ceiling raiser” di Shai. Riuscirà ad adattare il suo gioco a compagni più forti? Riuscirà a rendere il suo modo di giocare più funzionale ai grandi palcoscenici?

Se la risposta a queste domande sarà “sì”, ci farà divertire. Altrimenti, il rischio sarà quello di trovarsi davanti la versione tirata a lucido di DeMar DeRozan, con tutto il rispetto per la star dei Chicago Bulls.

Il primo esame arriverà non più tardi della prossima stagione, quando Shai potrà contare su Chet Holmgren e un Jalen Williams sophomore al suo fianco. L’età è ancora dalla sua parte, il talento pure.